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Il lupo salva FrancescoNatale ci regala una Chiara Frugoni storica da una parte e narratrice dall’altra. Nelle vetrine delle librerie sono giunte due novità pubblicate entrambe da Feltrinelli, quasi contemporaneamente: «Perfino le stelle devono separarsi», che è un viaggio a ritroso nel tempo, dentro gli anni dell’infanzia, serena e fors’anche felice, e «San Francesco e il lupo», dove ci si trova di fronte a un interessante rovesciamento di ruoli. Docente di Storia medievale alle Università di Pisa, Roma e Parigi, Chiara Frugoni ha pubblicato numerosi saggi sulle figure di santa Chiara e san Francesco. Il più recente, «La storia di Chiara e Francesco» (Einaudi), ha conosciuto un notevole successo di critica e di diffusione. Ora, con «Perfino le stelle devono separarsi», ha voluto ripercorrere un itinerario che le è caro: Solto Collina, un paese delle Prealpi orobiche, che è un po’ l’icona di una certa civiltà contadina, ideale per un affondo di microsociologia. Anzi, per la studiosa di storia, questo villaggio, che è un balcone sul lago d’Iseo, tra Brescia e Bergamo, è stato l’ultimo lembo di Medioevo. Con l’altro libro, invece, «San Francesco e il lupo», Chiara Frugoni propone una storia delicata, piena di poesia, dove, leggendo e scorrendo le pagine, par di cogliere il quieto brusio del bosco, il conversare di Francesco con i suoi frati, mentre si mettono alla ricerca del lupo che semina paura e povertà fra i contadini. La scrittrice fa percepire e pulsare il «Cantico delle creature», quindi l’attenzione e il rispetto per la natura, anche per il lupo cattivo, che si converte al fascino trascinante della bontà. Se il lupo di Gubbio fu ammansito da Francesco, in questa interpretazione è addirittura il lupo a salvare Francesco, accucciandosi accanto e scaldandolo nel freddo del bosco innevato. Anche i lupi sentono il profumo (e il richiamo) della bontà e della mitezza e si arrendono. Frugoni cesella le parole, che scorrono agili come i passi dei frati nei boschi; Felice Feltracco, scenografo e pittore di meritata fama, ha illustrato i momenti della narrazione, che è carica di colori, di intensità, con tinte calde, che riescono magicamente ad immergere in un mondo fiabesco. Destinatari naturali del libro sono i bambini, ma questo testo in realtà si rivolge a tutti e regala anche agli adulti, ai genitori che lo leggeranno ai figli piccoli, attimi di stupore, di incanto, anche di tenerezza. Partiamo da «Perfino le stelle devono separarsi»: una medievista che si tuffa nel periodo che studia e che insegna. Che effetto le ha fatto? Solto, che fino a metà Novecento era rimasto, per la sua povertà, un paese isolato e dunque pienamente medievale nell’aspetto e nella mentalità dei suoi abitanti, mi ha aiutato molto ad amare il Medioevo. Ai miei scolari dicevo di essere l’ultima testimone del Medioevo, perché alcune esperienze che leggevo nei testi medievali io le avevo provate di persona. Poiché mi occupo di storia, anche i luminosissimi Francesco e Chiara per me non sono senza tempo, ma calati pienamente nella società in cui vissero. Tenendo presente questo, li ho potuti ammirare e, spero, capire meglio. Si coglie un complessivo bilancio sereno, con punte d’amaro, nella sua rivisitazione di Solto, cui aveva già dedicato il libro «Da stelle a stelle»… Risalendo i ciottoli che dalle rive del lago portano a metà collina, rivivo quel tempo e quelle figure, con i pochi terrieri che se la spassavano bene e gli altri, quasi tutti i mezzadri, che dovevano tirare la cinghia. Mi trovavo divisa tra due classi sociali: padroncina perché nipote di proprietari terrieri; compagna di giochi, alla pari, dei figli dei mezzadri, che i nonni consideravano invece loro sottoposti. Chi doveva sgobbare senza pausa e chi, padrone, viveva la sindrome di poter essere derubato da operai infedeli, costretti alla fame e a salti mortali per dare una fetta di polenta alla famiglia. Erano anni duri, inimmaginabili per i ragazzi d’oggi… Allora santa Lucia portava a quasi tutti i bambini, nella notte tra il 12 e 13 dicembre, soltanto un po’ di noci e le arance di numero, una per ciascuno. A tavola la precedenza doveva essere data alla frutta già marcia e si finiva sempre per mangiare solo quella. L’atmosfera era proprio tetra, cupa, fra avarizia, tirchieria, spilorceria. Per colorare il latte dei bambini o rafforzare il finto caffè degli adulti si usava l’estratto di cicoria. Tutti punivano fisicamente i bambini e, in aggiunta alle botte di casa, i genitori ci tenevano che ci fossero anche quelle educative dei maestri. Io giocavo carica d’entusiasmo, ma i miei amici di Solto non dimenticavano che le loro scarpe della domenica erano diventate le mie troppo strette. Che cosa salverebbe di quel tempo di stenti e di miseria che costringeva a spaccarsi la schiena lavorando i campi oppure a far la valigia e andar lontano in cerca di lavoro? La nostalgia è per il tempo passato e capito lentamente nella sua bellezza e irrimediabilmente svanito: come ricorda un proverbio francese, “se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse”. L'infanzia era certamente più libera e più socialmente sana, non c'era la droga e il controllo sociale faceva sì che io mi muovessi nei boschi in solitudine, con una disinvoltura che nemmeno oggi ho, perché un drogato o un balordo o un ubriaco non badano agli anni di chi incontra. Salverei una saldezza morale del mondo contadino che non c'è più, perché quel mondo è scomparso. Nello stesso tempo penso a quante vite, per povertà, non hanno avuto un futuro, bocci appassiti e non espansi. Venendo al suo secondo libro, «San Francesco e il lupo», perché quest'originale, avvincente esperienza? Mi piaceva con una favola fare arrivare ai bambini alcuni messaggi: la lealtà, il dovere di mantenere la parola data, vincere la paura, la necessità di non dare la colpa agli altri, ma, invece, di agire e dare il buon esempio: Francesco, abbandonato dai frati, non li sgrida, ma continua ad avanzare. E soprattutto volevo far riflettere bambini e genitori su un valore oggi fuori moda, la bontà. San Francesco e il lupo: una scelta molto precisa e particolare. Per quale ragione il lupo piuttosto che altre creature? Il lupo è nell'immaginario collettivo, soprattutto infantile, basti pensare a Cappuccetto Rosso… Cosa prova una storica come lei, passando dal rigore di persone, date e luoghi all'espressione più libera e creativa che una favola rappresenta? Molta difficoltà e molta fatica. Il testo è stato scritto e riscritto molte volte, ma mi sembrava che potesse attrarre i bambini l'idea ribaltata di un lupo che vede in Francesco la sua prossima e facile preda. Ci si può attendere anche una Chiara Frugoni narratrice? Forse, dipende molto dalla collaborazione con Felice Feltracco. San Francesco, dopo otto secoli, resta un protagonista di straordinaria attualità. Da storica, come vede questo tempo, così convulso e superficiale? Fra qualche secolo lo storico farà più fatica, nel suo compito, o sarà facilitato rispetto al passato? Si saranno accumulate più notizie e più cose da ricordare e da meditare. Ma alcuni eventi saranno diventati più chiari. Penso che una figura come Francesco sia sempre fuori tempo e insieme attuale, come il Vangelo cui si è sempre ispirato. GIUSEPPE ZOIS
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