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Piffetti, il re degli ebanistiPiffetti, basta il nome. A conferma, poche altre volte il titolo di una mostra è così azzeccato: «Pietro Piffetti. Il re degli ebanisti, l’ebanista del re». La rassegna, allestita nelle due prestigiose sedi torinesi di Palazzo Lascaris e del Museo Accorsi-Ometto, nasce dal recente acquisto da parte di quest’ultimo di un «cofano forte» dell’artista, che si aggiunge ai sette suoi precedenti capolavori, e che ora sono proposti affiancati a una ventina di altre opere, alcune inedite, prestate da privati. Altro dettaglio: Piffetti non ha mai avuto l’onore di una mostra monografica, e così questa pur piccola rassegna è il primo vero omaggio al più grande ebanista italiano del Settecento. Pietro Piffetti, infatti, nasce a Torino il 17 agosto 1701 (cinque anni prima dell’assedio, dove il duca Vittorio Amedeo II e il principe Eugenio sconfissero i francesi di Luigi XIV). È figlio del falegname Giuseppe Piffetti, che ha altri due figli, Paolo e Francesco; il nonno, “maestro di bosco”, insegna a tutti l’arte di intagliatore, ma è Pietro a dimostrare maggior talento. Da alcuni documenti, risulta che nel 1727 Pietro vive ancora a Torino, poi parte per Roma. Un soggiorno in parte avvolto nel mistero, durante il quale Piffetti sviluppa uno stile personale, fondendo la monumentalità italiana delle forme con la ricerca del particolare ornamentale erede, invece, della cultura del centro-nord Europa. A Roma è apprezzato dal conte di Gros, ambasciatore del re di Sardegna presso il Papa, che lo segnala al marchese Vincenzo Ferrero d’Ormea (1680-1745), e attraverso questi il nostro entra in contatto con la corte torinese. Così, nel 1731 torna nella città natale dove, proprio per la sua maestria, il coetaneo re Carlo Emanuele III (1701-1773) lo nomina «primo ebanista di corte». Piffetti ricopre questo ruolo sino alla morte, a Torino, il 20 maggio 1777, realizzando non meno di 220 tra mobili, cassette, tavoli, inginocchiatoi e altri oggetti, tra i quali il paliotto della chiesa di San Filippo a Torino e una fastosa scrivania per il duca di Chiablese. Di questi capolavori - in genere con forme curve e intarsiati con legni pregiati, avorio, tartaruga, osso e madreperla e con applicazioni in bronzo - oggi sono noti soltanto una settantina, conservati a Palazzo Reale, Palazzo Madama e nel Museo Accorsi-Ometto di Torino, nella Palazzina di Caccia di Stupinigi, nel Palazzo del Quirinale a Roma e in qualche collezione privata. Dopo la morte, anche per il mutare del gusto, il suo nome è scivolato un po’ nell’oblio. Ma viene riscoperto alla fine dell’Ottocento, cioè da quando, nel contesto di un processo industriale ormai avviato, i suoi “pezzi” diventano modelli di bravura tecnica e di virtuosismo creativo. L’ebanista ottiene un crescente apprezzamento grazie anche ad alcune mostre, come quelle a Venezia nel 1929 ed a Torino nel 1937 e nel 1963 (entrambe organizzate da Vittorio Viale, con l’aiuto, tra gli altri, di Pietro Accorsi). Oggi Piffetti è considerato non soltanto il più importante ebanista dell’epoca, ma un artista a tutti gli effetti, tanto che per lo storico dell’arte Alvar Gonzales-Palacios è il «maggior ebanista della Penisola nel Settecento e anche uno dei più originali protagonisti del supremo arredamento dell’intero mondo occidentale». A tutto questo va aggiunto un aspetto meno noto o citato: Piffetti è stato anche uomo di fede, di impegno sociale e amministratore dei beni dell’Arciconfraternita dello Spirito Santo di Torino. Ebbene, la rassegna allestita nel Museo Accorsi-Ometto propone una sezione dedicata alle più numerose opere profane, che si apre con il rarissimo «cofano forte» appena acquisito, e un’altra a quelle (più rare) di ambito sacro. Qui è opportuno ricordare che tra le opere documentate negli archivi regi, il Piffetti realizza per re Carlo Emanuele III tre «cofani forti»: uno nel 1732, uno nel 1745 e l’ultimo nel 1760. Proprio uno di questi è il «coffre» acquistato dalla Fondazione per il Museo: un oggetto molto raro anche per il tipo di mobile. In pratica, una specie di cassaforte trasportabile, che poteva essere chiusa con una complicata serratura, e quanto mai raffinata per i decori in avorio graffito e policromo. Accanto a questo capolavoro, in mostra ci sono un arcolaio, ammirato l’ultima volta nel lontano 1963, durante la mostra sul Barocco piemontese; due cofanetti, uno dei quali di proprietà della Regione Piemonte e affidato alla Reggia di Venaria, firmato e datato «Petrus Piffetti fecit et schulpi Taurini 1738»; poi, uno scrittoio in legno di rosa e avori, un paio di cassettoni e alcuni raffinati tavolini, come quello di Palazzo Madama, prestato per l’occasione e impreziosito sul ripiano della mensa da un gioco d’inganno ottico. La sezione dedicata alle opere sacre propone un inginocchiatoio da parete, in legno e avorio, databile agli anni 1755-1760, e uno dei due splendidi tabernacoli custoditi insieme a Bene Vagienna (Cuneo). Realizzati molto probabilmente per il convento cappuccino di Carrù, sono un capolavoro d’arte sacra barocca: strutturati come una piccola cappella, sono tutti intarsiati in madreperla e avori policromi. A Palazzo Lascaris, sede del Consiglio regionale del Piemonte, è allestita un’altra piccola sezione della mostra. Vi si ammirano il secondo dei due tabernacoli di Bene Vagienna e la coppia di armadietti del Museo Accorsi-Ometto di Torino. Questi due pezzi, ignoti sino a pochi anni fa, presentano preziose decorazioni in avorio, sulle quali compaiono pirografate scene tradotte da «L’art de tourner en perfection» del frate Charles Plumier, famoso trattato sulle tecniche di tornitura dell’avorio, stampato a Lione nel 1701. La mostra «Pietro Piffetti. Il re degli ebanisti, l’ebanista del re» è allestita a Palazzo Lascaris (in via Alfieri 15) a Torino, fino al 12 gennaio 2014. Orario: da lunedì a venerdì, 10-18; sabato 10-12.30; domenica chiuso. Ingresso libero. Informazioni: tel. 011.57.57.211. Al Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto (via Po 55) sempre a Torino sino al 12 gennaio 2014. Orario: da martedì a venerdì, 10-13 e 14-18; sabato e domenica, 10-13 e 14-19; lunedì chiuso. Info, tel. 011.837.688 (int. 3). Michele Gota
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