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La Sardegna ce la faIl cielo plumbeo, la pioggia che continua a cadere. Scampoli di tregua, poi ancora acqua. Impietosa, potente, inesorabile, crudele. Al grigio incombente si aggiunge il marrone del fango che, come un mantello, avvolge strade, paesi, città fino a macchiare il mare cristallino, vanto e risorsa di una regione ferita. Il rumore delle ruspe e dei mezzi, le voci di quanti tentano di riparare quel che possono o distribuiscono beni di prima necessità fanno da colonna sonora ai giorni che seguono la tragedia, mentre l’odore di benzina e gasolio impregnano l’aria che trasuda umidità. Il ciclone Cleopatra è passato, scaricando sull’isola quella che gli esperti chiamano una vera e propria «bomba d’acqua»: in 24 ore è caduto un quantitativo di pioggia che normalmente si registra in sei mesi. Ora la Sardegna, stretta nella morsa del gelo, alza gli occhi al cielo e tenta di risollevarsi. Con dignità si rimbocca le maniche, si arma di pale e di scope, cerca il coraggio di buttare via - insieme ai mobili agli oggetti zuppi di acqua - anni di sacrifici o sogni che avevano iniziato a concretizzarsi. Sono più di 40 mila le persone colpite dall’alluvione del 18 novembre scorso, 20 mila nella sola area di Olbia, circa 800 gli sfollati, che al momento hanno trovato ospitalità da parenti e amici, in strutture alberghiere e comunali. Ben sessanta i comuni interessati, 11 dei quali nella provincia di Olbia-Tempio, 16 in quella di Nuoro, 10 in quella di Oristano, 16 tra quella di Cagliari e del Medio Campidano, 7 in quella dell’Ogliastra. Sedici le vittime, di cui 13 nella zona della Gallura: tra queste un’intera famiglia di origine brasiliana, sorpresa nello scantinato in cui abitava ad Arzachena; la piccola Morgana, di appena due anni, inghiottita dalla piena con la mamma Patrizia mentre erano in auto; Enrico, di soli tre anni, portato via dal fiume di acqua con il papà Francesco che ha cercato disperatamente di metterlo al riparo da quell’inferno; il poliziotto Luca Tanzi, morto dopo che il Land Rover su cui viaggiava con alcuni colleghi per scortare un’ambulanza è sprofondato in una voragine apertasi sulla provinciale che collega Oliena a Dorgali. «La mano dell'uomo non è estranea a questa catastrofe. Bisogna imparare a rispettare il creato, le sue leggi e i suoi ritmi, far tesoro della storia che gli eventi ci stanno consegnando», ha scandito il vescovo di Tempio-Ampurias, mons. Sebastiano Sanguinetti, celebrando ad Olbia i funerali di alcune delle vittime. «È stato un incubo, le strade erano invase da due metri di acqua. Le auto erano sommerse, non si capiva se dentro ci fossero delle persone perché alcune erano andate in cortocircuito e dunque avevano le luci accese. Nelle prime due, tre ore, ognuno ha cercato di mettersi in salvo, molti letteralmente a nuoto, altri invece sono stati portati via dalle loro case con gommoni e canotti», racconta Vincenzo Gentile, di Olbia. Vincenzo, che abita in via Lazio, a Baratta, uno dei quartieri più colpiti, era a lavoro quando il figlio lo ha chiamato per avvertirlo che l’acqua aveva sfondato il portone, allagando il piano terra. «Mia moglie e il ragazzo», continua, «si sono salvati andando al piano superiore. Io ho lasciato l’automobile in una zona rialzata e mi sono avviato pian piano a piedi verso casa. Era buio, pioveva, le vie erano fiumi d’acqua. Ad un certo punto, ho intravisto le luci delle candele filtrare dalle finestre della mansarda. Ero arrivato, l’orologio segnava le 5 di mattina». Vincenzo ha perso tutto quello che si trovava al piano terra della sua abitazione, ma si ritiene «fortunato». «Qui intorno i danni sono notevoli, per tornare alla normalità ci vorranno molto tempo e molto denaro», sottolinea. «Ci hanno portato abbigliamento, detersivi e cibo: la solidarietà è tanta, si sono attivate associazioni laiche e religiose, ma ripartire non sarà facile», dice Vincenzo per il quale l’alluvione ha assestato «un colpo mortale» ad una città già duramente provata dalla crisi. All’indomani del dramma si fa i conti con il grande spavento e con la paura che possa accadere di nuovo. Serviranno un paio di mesi per avere una stima dei danni provocati da Cleopatra, ha fatto sapere Giorgio Cicalò, commissario straordinario per l’emergenza. Tuttavia, i detriti ammassati ai lati delle strade, i locali commerciali devastati, le strade inagibili, i ponti crollati, i depuratori e i potabilizzatori messi fuori uso, parlano da soli. Mentre rimbalzano le polemiche sulle responsabilità (sono cinque le inchieste aperte dalle procure di Tempio e Nuoro), si chiede giustizia per le vittime e si provano a ricacciare in gola lacrime e singhiozzi. Popolo fiero e orgoglioso quello sardo, si fa coraggio e giura che ce la farà. Da lunedì sera prosegue, senza sosta, il lavoro delle forze dell’ordine e della Protezione Civile: in campo mezzi e uomini impegnati nei soccorsi e in interventi di diverso tipo. Efficace e tempestiva, si è messa in moto anche la macchina della solidarietà. Ai 25 milioni totali stanziati dal Governo, si aggiungono il milione di euro destinato dalla Conferenza episcopale italiana e 100 mila euro messi a disposizione dalla Caritas. Sono tante – una fra tutte la raccolta fondi lanciata dalla Croce Rossa – le iniziative promosse per reperire denaro utile sia per affrontare l’emergenza che per avviare la ricostruzione. Alcuni istituti di credito hanno stabilito una moratoria di un anno su mutui e prestiti ed è già partito il piano operativo che consente agli alluvionati di avere un contributo economico (200 euro mensili a persona fino ad un massimo di 600 per famiglia). Immediata è stata la mobilitazione delle Caritas diocesane. «Nella Chiesa di Sant’Antonio distribuiamo vestiti e pasti caldi», spiega Melinda, diciassettenne olbiese che insieme ad alcune amiche e compagni di classe sta facendo la volontaria in uno dei centri di raccolta della città. Sono davvero tanti i giovani che hanno indossato gli stivaloni di gomma e, pale alla mano, si stanno dando da fare per cancellare i segni più evidenti del passaggio del ciclone: c’è chi ha risposto all’appello lanciato su facebook per ripulire la scuola allagata, chi ha preso un permesso dal lavoro, chi fa la spola dai paesi vicini con camioncini carichi di materassi e indumenti. Due fratellini di Carbonia hanno voluto contribuire regalando alcuni dei loro giocattoli ai coetanei che hanno perso tutto, un centinaio di universitari sono arrivati in pullman da Cagliari, una famiglia di senegalesi ha cucinato il cous-cous per i volontari impegnati nella zona di Isticadeddu, ad Olbia. L’abbraccio della solidarietà squarcia quel velo di tristezza e di paura che copre la Sardegna. Un raggio di sole, uno spiraglio di luce. Come quelle tre statuette – due della Madonna e una di Gesù – rimaste perfettamente in piedi e completamente pulite su un tavolino, trascinato per diversi metri, all’interno di uno dei capannoni di un grande negozio di arredamenti di Arzachena, messo a soqquadro dalla furia dell’acqua. Un segno positivo. Che infonde coraggio, invita a sperare. Nonostante tutto. Stefania Careddu
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