Troppe le cause ai medici

Sbagli sui medicinali, errori in sala operatoria, diagnosi tardive, mancata osservanza dei protocolli ospedalieri. Questi i motivi più frequenti per cui i malati in Italia ricorrono al giudice. In Italia ci sono quasi novanta denunce per presunti errori medici ogni giorno. A illustrare i dati, relativi al 2011, è stata l’Associazione nazionale imprese assicuratrici (Ania), durante un’audizione in materia di responsabilità professionale del personale sanitario in Commissione Affari sociali della Camera.

Una cifra impressionante. Nel 2011 sono partite dagli studi legali 31.500 denunce contro i camici bianchi o strutture sanitarie pubbliche e private, per i presunti danni causati da ricoveri, intervento o terapie “sbagliate”. Fra queste, i due terzi sono relative a polizze stipulate dalle strutture sanitarie. Il dato è in calo del 6,7 per cento rispetto al 2010, ma non basta a ridimensionare un fenomeno che in Italia condiziona pesantemente la professione medica e, con il boom della cosiddetta medicina difensiva, i costi del servizio sanitario pubblico. «Il numero si riferisce ai contenziosi», spiega Elio Borgonovi, presidente del Cergas (Centro di Ricerche sulla Gestione dell’assistenza Sanitaria Sociale) dell’Università Bocconi di Milano. «Questo significa che quello che è cambiato è la cultura dei cittadini, che hanno meno fiducia nelle istituzioni e nel vivere collettivo. Se questo fenomeno si dovesse espandere non sarebbe positivo, perché obbligherebbe i medici a servirsi di pratiche mediche inutili, ma necessarie per tutelarsi, con una perdita di tempo e di denaro che in realtà non serve a niente e a nessuno».

Dello stesso avviso anche Carlo Garofolini, presidente dell’associazione dei consumatori Adico: «Questo fenomeno, nell’ultimo decennio, ha riguardato molti Paesi sviluppati. Non è un caso circoscritto all’Italia. Le principali cause sono una maggiore consapevolezza dei pazienti sulle cure ricevute, un aumento degli importi dei risarcimenti e sicuramente l’ampliamento dei casi da risarcire da parte della giurisprudenza».

Nel corso del 2011 le imprese assicuratrici italiane hanno raccolto oltre 500 milioni per polizze stipulate da medici e Asl. In tutto 525 milioni: il 57 per cento relativo a polizze stipulate dalle strutture sanitarie e il restante 43 per cento a quelle stipulate dai singoli professionisti. Il fenomeno delle denunce e della cause di risarcimento in sede civile è al centro, a sua volta, delle ripetute querele delle organizzazioni dei medici e dei sindacati ospedalieri. E per molti specialisti, come gli ortopedici e i ginecologi, l’altissimo numero di denunce (gran parte delle quali, secondo i medici, finirebbe con una archiviazione) allontana molti giovani dalla scelta della professione medica o della specializzazione in settori più esposti.

«Presso la Scuola di specializzazione in chirurgia della mia Facoltà», spiega il professor Pietro Forestieri, presidente del Collegio italiano dei chirurghi, «fino a pochi anni fa gli aspiranti erano oltre 200 per venti posti: oggi sono qualche decina. In alcune sedi universitarie i posti disponibili a volte non sono stati neppure coperti. Il timore dell’alto rischio di contenzioso medico-legale spinge i giovani a scegliere altri campi».

Aumento dei risarcimenti dovuti ai pazienti e del costo delle eventuali coperture assicurative, difficoltà e sfiducia nei rapporti tra medico e paziente e incremento dei costi indiretti derivanti dal ricorso alla cosiddetta “medicina difensiva”. Il numero dei contenziosi contro medici e Asl fa sentire inevitabilmente il suo peso sul Sistema sanitario nazionale. «Un costo molto alto, soprattutto per la diffusione della medicina difensiva che spinge i medici a moltiplicare accertamenti, esami diagnostici e trattamenti terapeutici, non tanto per la salute del paziente, ma per cautelarsi contro eventuali cause», precisa Borgonovi. «Come Cergas  abbiamo recentemente stimato che il numero di analisi e controlli non necessari sfiora il 10 per cento, circa 13 miliardi della spesa sanitaria complessiva di tutta la nazione».

E i tagli alla sanità certo non aiutano. «Quando si parla di tagli agli ospedali si pensa sempre e solo ai posti letto. Il problema invece riguarda anche la diminuzione degli infermieri e l’aumento di lavoro per medici e reparti», commenta Carlo Garofolini. La nuova legge ha imposto la disponibilità dei medici di base 24 ore su 24, revisione del prontuario dei farmaci, disciplina dell’attività intramoenia. Ma non basta. «Quello che veramente conta è una valutazione del costo-efficacia delle tecnologie e della loro appropriatezza all’interno dei percorsi di cura», continua Borgonovi. «Un’analisi di questo genere permetterebbe di evidenziare i margini di miglioramento e di risparmio salvaguardando la qualità delle cure. Oggi gli strumenti di management forniscono grandi opportunità per il miglioramento delle performance aziendali e dovremmo cominciare a usarli molto di più».

A questo proposito il Cergas sta portando avanti un’indagine comparativa sulla valutazione delle performance delle aziende sanitarie e ospedaliere. «Alcune sono ad altissimo livello, altre meno e lì bisogna incidere con l’implementazione di strumenti manageriali adeguati», aggiunge. I medici, poi, non sono abituati a ragionare in termini di dati, ma solo sulla singolarità del paziente. «Nel nostro Paese c’è spesso un gap con le linee guida nazionali e internazionali. I professionisti non guardano i dati, gli ospedali non hanno sistemi informativi adeguati. Bisogna agire insieme agli operatori sanitari, senza imporre nulla, coinvolgendoli e rendendoli partecipi. Metterli di fronte ai dati e aiutarli a capire. Altrimenti si trincereranno dietro la loro autonomia clinica e al giuramento di Ippocrate e si produrrà un forte scontro sociale, come per altro stiamo già rischiando di avere».

Burocrazia, sovrapposizioni di competenze, ticket alle stelle e lunghe liste di attesa sono invece le difficoltà con cui ogni giorno devono scontrarsi i cittadini, nonostante la spending review e la nuova legge sulla sanità, ormai operativa da tempo. «Non è possibile», incalza Garofolini, «che per una visita con il Servizio sanitario nazionale si debba spendere soltanto un euro meno di quella privata, magari anche nello stesso ospedale. Anzi, in alcuni laboratori oggi, paradossalmente, il ticket regionale è talmente elevato da essere più costoso dell’esame per cui lo si paga: insomma, andare dai privati è più conveniente. L’accesso alle cure sanitarie è un diritto che deve essere concesso a tutti in tempi ragionevoli».

Per venire incontro alle persone che stanno affrontando le difficoltà dovute alla crisi economica, sarebbe poi importante favorire iniziative low cost di assistenza sanitaria. «Oggi già si vede qualche esempio sia nei centri no profit che in quelli for profit, che offrono esami di routine e radiografie a prezzi scontati o in abbonamento», conclude Garofolini. «Queste iniziative, però, sarebbero sicuramente più efficaci se fossero coordinate dalla Regione o comunque svolte in sinergia con l’attività delle singole Asl: il privato potrebbe, per esempio, impegnarsi a offrire alcuni tipi di prestazioni a basso costo e così le aziende pubbliche potrebbero concentrarsi su servizi più onerosi».

Cristina Conti



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