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Quel fumo che uccideTaranto e il caso Ilva, Taranto che deve scegliere tra lavoro e vita: una storia tutta italiana. L’Europa ha appena avviato due indagini. C’è una procedura di infrazione richiesta dalla corte europea di Bruxelles e un’inchiesta della corte di Strasburgo per violazione dei diritti umani. E mentre l’Europa accende i suoi riflettori, in Italia, passata l’emergenza (con il sequestro dell’impianto siderurgico nell’estate del 2012), l’attenzione dei media sembra calata. Un libro, però, dà voce a Taranto e racconta cosa è accaduto negli ultimi anni, come si è arrivati a questa silenziosa strage, che divide una città tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Si tratta di «Veleno» (edito da Sperling & Kupfer) un «romanzo civile», un réportage scritto dalla giornalista di «Repubblica» Cristina Zagaria. La protagonista, Daniela Spera, è una chimica, da anni impegnata sul fronte dell’ambientalismo. La Zagaria parte dalla storia vera di Daniela Spera e dalle persone che la giovane chimica ha incontrato per realizzare il suo dossier (fino a diventare consulente di parte nell’indagine che vede il colosso dell’acciaio sott’inchiesta). Tutti i personaggi di «Veleno», i vivi e i morti, sono veri. Cristina Zagaria, come è nata l’idea di scrivere questo libro? Sono tarantina e la storia dell’Ilva, l’acciaieria più grande d’Europa che, in deroga a ogni limite o legge, produce acciaio, quasi il 10 per cento della produzione italiana, inquinando terra, acqua e aria e avvelenando cibo, animali e uomini, fa parte della mia vita. Ho scritto questo romanzo prima che venisse alla luce l’inchiesta della procura di Taranto, che il 26 luglio 2012 ha portato al sequestro del gruppo a caldo dell’acciaieria, ma l’ho aggiornato fino agli ultimi eventi del 2013, sul filo della cronaca. Per me era un bisogno e allo stesso tempo un dovere raccontare cosa accade nella mia città. A volte sui giornali non c’è spazio, non c’è tempo. Un libro invece ti permette di spiegare, raccontare, appassionare, chiarire. Un libro, spero, lascia un segno. Ma è un romanzo o un réportage giornalistico? Tutti e due. Ho raccolto il materiale lavorando come una giornalista, incontrando e intervistando tutti i “personaggi”, con l’aiuto di Daniela Spera, e poi ho fuso le storie in forma narrativa. C’è un personaggio, per esempio, come quello di Tina, una bimba di otto anni, affetta da una rara forma di asma, che non esiste, ma che è il simbolo di tutti i bambini ammalati di Taranto. Ho scelto la forma narrativa del romanzo perché volevo avvicinare, coinvolgere, e appassionare più lettori possibili al problema “industria-lavoro-inquinamento-malattia”. Un saggio o un réportage interessano gli addetti ai lavori, io vorrei, invece, che «Veleno» portasse la storia di Taranto in tutte le case d’Italia, perché quello che accade a Taranto è lo specchio della nostra Italia, di un sistema industriale imposto dall’alto ai danni dei cittadini e di un governo che tutela la produzione e il Pil nazionale, ma non la vita degli italiani. Quest’estate è stato diagnosticato un cancro a quattro bambini di Taranto nel giro di un mese e ci sono stati contemporaneamente altri sei casi sospetti nel reparto ospedaliero di pediatria. Dieci casi di tumore in bimbi appena nati. Il dato è impressionante. Quanto è grave la situazione a Taranto? Come dice sempre Daniela Spera, «a Taranto c’è un’emergenza sanitaria. Quando sono i bambini ad ammalarsi, vuol dire che siamo andati oltre ogni limite. Sono a rischio le generazioni future». Oggi cominciano a contarsi gli ammalati e i morti e i numeri fanno paura. C’è uno studio del governo, lo studio Sentieri, che certifica che a Taranto i casi di cancro nelle donne sono passati da +24 per cento, rispetto al resto della provincia, nel periodo 1995-2002, al +100 per cento dal 2003 al 2009. Sempre secondo questo studio la mortalità nell'area di Taranto in generale continua ad aumentare: nel periodo 2003-2009 è dell'11 per cento superiore rispetto alle aspettative di morte dei cittadini residenti nella provincia. E a Taranto la mortalità dei bambini nel primo anno di vita è maggiore del 20 per cento rispetto al resto della Puglia. Ma è solo l’inizio: il picco delle malattie, secondo gli esperti, sarà nei prossimi anni. «Veleno», però, non è nato per turbare i lettori con storie strappalacrime o per contare i morti... No. Per questo, purtroppo, a volte bastano i servizi televisivi. Daniela Spera mi ha insegnato che bisogna choccare con l’informazione, con la consapevolezza. Ho cercato storie di coraggio e storie di lotta. Daniela Spera, la protagonista, è la prima che non si è mai arresa in questi anni di lotta. In «Veleno» racconto i sogni di Enzo Pignatelli, ex operaio Ilva, che credeva di essere un «guerriero dell’acciaio», l’orgoglio delle figlie di Peppino Corisi, anche lui operaio Ilva morto nel febbraio 2012, che ha voluto una targa sotto casa per ricordare che lui è «l’ennesima vittima dell’inquinamento», la vita di Elisa Stallo, che si è ammalata di Mcs, un’allergia multisistemica a tutti gli elementi chimici, la battaglia di Cesare Nachira e di sua madre Anna, finita su una sedia a rotelle per un eccesso di metalli pesanti presenti nel suo organismo… Racconto storie come quella di Elisa De Lillo, che quando è morta sua madre ha deciso di fare ricorso alla Corte dei diritti umani, perché a Taranto non trovava giustizia. La corte dei Diritti umani di Strasburgo ha aperto un’inchiesta sul caso Taranto… Si, proprio partendo dal ricorso di Elisa De Lillo, una donna fragile e fortissima che amava sua madre e che si è gettata in questa battaglia legale proprio per amore dei suoi figli e della sua città. La mamma di Elisa, Giuseppina Smaltini, è deceduta di leucemia il 21 dicembre 2012. Si era ammalata nel 2006. Elisa ha presentato subito una denuncia alla procura di Taranto contro il siderurgico, ritenendo le emissioni dell’Ilva, fuori controllo, responsabili della malattia. Ma la procura ha rigettato il ricorso ben due volte, la prima il 21 novembre del 2007, la seconda il 10 dicembre del 2008, ritenendo insufficienti le prove di un nesso tra emissioni e malattia. Nel ricorso presentato alla Corte europea di Strasburgo nel 2009 i familiari di Giuseppina Smaltini hanno ribadito che la malattia della donna è stata causata dalle emissioni prodotte dall’Ilva. Oggi, nel comunicare al governo italiano la ricezione del ricorso, la Corte di Strasburgo ha chiesto a Roma di dimostrare di «aver fatto quanto doveva e poteva per accertare che non ci fosse alcun nesso tra le emissioni della fabbrica siderurgica e la leucemia che ha ucciso Giuseppina Smaltini». In definitiva, perché leggere «Veleno»? Per conoscere un po’ meglio l’Italia, perché ho cercato di dare informazioni e dati su un caso difficile in una maniera semplice e diretta, e per conoscere Daniela Spera. Noi spesso ci lamentiamo perché in Italia non funziona mai niente. Daniela è una comune cittadina che lavora come farmacista in un centro commerciale, ma per difendere la sua città si è messa in gioco. Qualcuno la chiama la Erin Brockovich italiana. E tra le due storie, la sua e quella dell’attivista americana che nel 1996 vinse la causa intentata contro la Pacific Gas & Electric per la contaminazione con cromo esavalente delle acque della città di Hinkley, in California, facendo pagare al colosso dell'energia il più grande risarcimento nella storia degli Stati Uniti, ci sono molte similitudini. Leggere «Veleno» significa capire che ognuno, nel suo piccolo, facendo bene il suo lavoro o dando un contributo grazie alle proprie competenze, può cambiare questo Paese. Anche quando sembra impossibile. Luca Fontana
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