Baby prostitute: chi le fa nascere

 

«Quello che più mi sconvolge e mi addolora in questa sconcertante vicenda delle cosiddette “baby prostitute” di Roma non è solo la superficialità con cui queste adolescenti fanno uso del proprio corpo, ma il ruolo degli adulti in tutta questa vicenda. A cominciare dalle madri, ma anche da sfruttatori e clienti. È come se si fosse perso completamente il senso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto.

Soprattutto nei confronti delle persone più vulnerabili e indifese, come lo sono i nostri figli. In mezzo, a farne le spese, ci sono proprio loro, ragazzi giovanissimi, poco più che bambini, ai quali, invece di trasmettere i valori fondamentali del rispetto e della dignità della persona e il senso vero delle relazioni, abbiamo saputo solo inculcare una logica consumistica per cui tutto si compra e si vende. Anche se stessi».

È uno sfogo amaro quello di suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, responsabile dell’Ufficio Tratta donne e minori della Conferenza delle religiose italiane e presidente dell’associazione «Slaves no More» («Mai più schiave»). Da vent’anni suor Eugenia si occupa di traffico di esseri umani per lo sfruttamento lavorativo e soprattutto sessuale. Migliaia di donne e ragazze, talvolta minorenni, costrette a prostituirsi da trafficanti e sfruttatori senza scrupoli. Storie drammatiche, ma anche di liberazione e riscatto, grazie alla rete di case di accoglienza, sparse in tutta Italia, che offre protezione e prospettive di futuro a queste donne.

«Quelle di cui ci occupiamo», spiega suor Eugenia, «sono soprattutto donne straniere, che finiscono nelle maglie di una rete di sfruttatori che le comprano e le vendono come se fossero una merce qualsiasi, a disposizione del cliente che, a sua volta, compra e “consuma” queste donne come oggetti “usa e getta”». Certo, il fenomeno delle “baby prostitute”, che va ben oltre i casi di Roma, si configura secondo caratteristiche diverse rispetto al traffico e alla riduzione in schiavitù o semischiavitù di molte donne straniere costrette a prostituirsi. Ma parla comunque di sfruttamento e di mercificazione del corpo della donna, secondo modalità che, di fondo, non sono poi così diverse.

Tutto questo, secondo suor Eugenia Sonetti, che lo ha anche stigmatizzato nel libro «Spezzare le catene» (Rizzoli, 2012), va ricondotto anche «all’immagine che viene trasmessa, in tanti modi e forme, dai media, dalla pubblicità e dagli stessi rapporti quotidiani tra uomo-donna. L’immagine cioè del corpo della donna inteso solamente come oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno, misconoscendo invece l'essenziale che lo stesso corpo umano racchiude: una bellezza infinita e profonda da scoprire, rispettare, apprezzare e valorizzare».

«Non ci rendiamo conto», insiste la missionaria, «che una prostituzione del corpo e dell’immagine della donna è diventata ormai parte integrante di programmi, notizie televisive e della cultura del vivere quotidiano, proposta a tutti, compresi quei bambini che vorremmo e dovremmo tutelare. Tutto questo, purtroppo, educa allo sfruttamento, al sopruso, al piacere, al potere, senza alcuna preoccupazione delle dolorose conseguenze specialmente sui giovani, che vedono modelli da imitare e mete da raggiungere».

Ormai non ci si fa più nemmeno caso: i media ci hanno talmente abituati a carrellate di immagini della donna al limite (e spesso) oltre la volgarità e il senso del pudore, che tutto questo non suscita più né indignazione né protesta. Addirittura, le stesse donne, e ancor più le ragazzine che sono cresciute con questo tipo di rappresentazione della donna, l’hanno introiettato a tal punto da valutare se stesse quasi esclusivamente in base a criteri di esteriorità e desiderabilità. Facendo così propria, più o meno inconsciamente, quella prospettiva maschilista e oggettivante che le battaglie femministe si erano illuse di scalzare.

«Mi chiedo», continua suor Eugenia, «quali altri modelli di donne abbiano di fronte queste giovani, oltre a quelli rappresentati dalla televisione, dalla pubblicità o da Internet. Avrebbero davvero bisogno di modelli reali e positivi di donne concrete e vere, che affrontano tutti i giorni le sfide complesse della vita, che subiscono magari ingiustizie e discriminazioni, ma che lottano per la loro dignità di persone, perché non venga calpestata, sminuita o venduta al miglior cliente. In cambio magari di cose futili e superflue».

Ma come creare questa consapevolezza, tutt’altro che scontata, specialmente tra i più giovani? «Il ruolo della famiglia e della scuola sono fondamentali», sostiene suor Eugenia, che in questi vent’anni di lotta contro la prostituzione coatta è riuscita a salvare, insieme alla rete di religiose che coordina, oltre seimila donne. «Ma anche noi, come Chiesa, dobbiamo fare molto di più, a tutti i livelli. Innanzitutto, sul piano educativo. Anche perché, non va dimenticato, esistono forme di istigazione non solo alla prostituzione, ma anche alla violenza connessa ai fenomeni mediatici».

Basti ricordare, a questo proposito, che in Italia, dal primo agosto 2012 al 31 luglio 2013, sono state uccise 150 donne. Lo scorso 11 ottobre il Parlamento italiano ha approvato una legge contro i cosiddetti «femminicidi». Un passo avanti, ma che non deve far dimenticare di guardare anche indietro. Ovvero a quella cultura maschilista ancora molto radicata nel nostro Paese e che richiede interventi educativi sulle relazioni, sia in famiglia che nella scuola, per essere scardinata. Ma serve anche un deciso cambiamento nella rappresentazione della donna, almeno nella tivù pubblica. Insomma, basta modelli di donne subalterne, continuamente riprodotte non solo sugli schermi, ma anche nei videogiochi e nei videoclip musicali. E basta utilizzo del corpo femminile come strumento pubblicitario. Per vendere. Ma anche in vendita.

«Se davvero crediamo», conclude suor Eugenia, «che ogni persona sia stata creata a immagine e somiglianza di Dio, e dunque portatrice di una dignità irrefutabile, dobbiamo lottare con tutte le nostre forze contro ogni forma di schiavitù. Non solo quella del traffico di esseri umani per lo sfruttamento sessuale, ma anche contro quella più subdola e sofisticata di un consumismo sfrenato e senza regole che ci rende schiavi delle cose e che trasforma anche le persone in merci».

Anna Pozzi

 



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