![]() Accesso utente |
Gina, giustizia e libertà
Il pensiero e l’opera di Gina Lagorio, nella varietà dei suoi percorsi, è stata al centro di una giornata di studio a San Salvatore Monferrato, organizzata dalla Fondazione «Carlo Palmisano-Biennale Piemonte e letteratura», che sta realizzando da 37 anni il sogno di Elio Gioanola e di un sindaco illuminato: dimostrare che città grande non significa semplicemente città popolosa e operosa, ma prendere attivamente parte, aristotelicamente, a qualcosa di più grande, in nome di un progetto affacciato sul futuro. E quel progetto mira a valorizzare un microcosmo esemplare, usando solo strumenti che non tradiscono le fondamenta che stanno all’origine della nostra letteratura, non l’oro, ma l’alloro che produce una ricchezza diversa, necessaria per distinguerci dalle specie animali che popolano le selve oscure di ogni tempo e paese. A loro si unì subito Gianfranco Pittatore, che coinvolse la Fondazione Cassa di risparmio di Alessandria perché questo potesse realizzarsi. Oggi Pier Angelo Taverna, attuale presidente di quell’istituzione, non solo ha raccolto quella fiaccola perché non si spegnesse, ma ha fatto in modo che, in tempi così difficili, la quantità dei tagli non incidesse sulla qualità dei contenuti, nella convinzione che il patrimonio culturale del nostro Paese, patrimonio unico al mondo, potrebbe un giorno essere il petrolio di fiaccole future. Di questa energia s’impregna anche l’opera letteraria di Gina Lagorio, che parla di futuro anche quando è la memoria del passato a scandire il suo impianto narrativo, perché «perdere la memoria, rimuoverla, stravolgerla è un crimine che non ha assoluzione. Il futuro può nascere solo da chi ricorda e la memoria è premessa di libertà». È proprio questa la prima musa che intona la sua opera, memore dell’insegnamento di Dante, una voce di cui lei si è nutrita per tutta la vita, che riteneva la libertà il massimo segno della dignità dell’uomo: «Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse creando, e a la sua bontade / più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, / fu de la volontà la libertate; / di che le creature intelligenti, / e tutte e sole, furo e son dotate» (Par. V 19-24). Restano nella memoria i cenacoli di amici, che Gina riuniva a casa sua perché Dante potesse respirare come un familiare anche tra le mura di casa, non tanto per il piacere estetico della sua poesia, ma per la forza etica del suo insegnamento, affidato all’umanità di ogni tempo. «Esercitare liberamente il proprio ingegno, ecco la vera felicità», commentava lei citando la «Politica» di Aristotele, e quell’ingegno lei seppe esercitarlo non solo nella quotidianità e nella letteratura, ma anche nell’impegno sociale, a fianco degli umili, sui banchi del Parlamento. Non è un caso allora che, nella sala di rappresentanza di «Libera», don Ciotti abbia voluto mettere il suo nome e il suo volto, laici, ma spesi per una religiosità del vivere, comune a ogni dottrina. La libertà era solo uno dei precetti degni di essere incisi in un anello da portare al dito. L’altro era la fame di giustizia e, con la grazia di quel sorriso che sovrastava la «repubblica degli amici» accorsi alla chiamata di un convegno, lei ha saputo condividere quelle parole anche con i suoi lettori. «Appena sposata», raccontava, «in piena guerra, mi ero comprata un anello di resina bianca su cui avevo fatto incollare le mie iniziali, ma nel mio cuore GL voleva dire Giustizia e Libertà» e non semplicemente Gina Lagorio. Erano queste le finalità per le quali ha lottato: una lezione anche «di rigore stilistico e di eticità necessarie a chi fa arte». Queste sono le colonne portanti della sua opera, espresse in un ventaglio di temi e di muse, dove quei precetti si riverberano nei personaggi dei romanzi, nei saggi critici, nelle opere teatrali e musicali, dove si testimonia la decenza quotidiana di gesti, scelte e pensieri. Per citare solo i romanzi che si legano a una delle sue «patrie» e che aggiungevano fraterne ragioni per «respirare Piemonte» (titolo di uno dei suoi primi racconti e del convegno a lei dedicato), basta pensare a «Fuori scena» e alla folla di figure del mondo che si muove «Tra le mura stellate» di Cherasco, che adombrano esperienze minime ma esemplari, appunto, dove c’è un continuo rapporto tra dimensione morale e qualità visiva, offerte alla letteratura per non dimenticare come dovrebbe essere la società civile. Sono personaggi in ombra per la Storia con la maiuscola, ma lei riesce a farli emergere anche quando scrive romanzi storici, come il «Bastardo» di casa Savoia, rigorosamente basato su documenti e ricerche, dove ricostruisce la biografia di un re, Carlo Emanuele I, ma al filtro dell’emarginazione di uno dei suoi figli illegittimi: emarginato per questioni anagrafiche, ma soprattutto per il diverso modo di vivere i suoi privilegi e di amare il suo prossimo. Gina parla di Storia con la maiuscola per raccontare ciò che quella Storia non dice, ma anche di storie minime, che imprimono l’orma di grandezze taciute. Gina Lagorio scrive per questo, perché crede nel potere della letteratura, capace di varcare i confini del tempo, di restituire a parole oggi irrise la dignità di una luce. La sua resistenza al degrado di parole mai disposte a piegarsi alle basse logiche dei «mercatanti» è riapparsa chiaramente nelle relazioni del convegno, che hanno testimoniato che la letteratura degna di questo nome sa sfidare tempo e tempi, ma anche la separazione tra generi artistici, grazie alla convergenza di una circulata melodia di “muse cangianti”. Lo ha messo in luce anche l’intervento di Lorenzo Mondo, che ha aperto i lavori come ospite d’onore. La sera prima aveva ricevuto il premio «Città di San Salvatore Monferrato–Carlo Palmisano». «Allievo nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo torinese di Giovanni Getto, con cui si laureò con una tesi su Cesare Pavese», si legge nella motivazione, «Lorenzo Mondo optò per nostra comune fortuna per la carriera giornalistica, e non per quella del docente universitario, ancorché in quell’ambito possa a pieno merito fregiarsi del titolo di libero docente in Letteratura italiana». E ancora: «Sulla “Gazzetta del Popolo”, dove presto successe a Lorenzo Gigli nella responsabilità dell’accattivante “Diorama Letterario”, alla “Stampa”, dove animò il supplemento “Tuttolibri” e dove si adoperò come esigente e intelligente vicedirettore a fianco del compianto Giorgio Fattori, la sua personalità di critico letterario militante ebbe modo di affinarsi in una costante attenzione agli sviluppi della narrativa italiana dagli anni Settanta ad oggi, come testimoniano i suoi “Interventi sulla narrativa italiana contemporanea, 1973-‘76” e le “Letture negli anni”, 1991: sillogi in cui altre avremmo voluto seguissero, improntate come quelle ad un’ammirevole lucidità di analisi delle singole opere, abbinata ad un’invidiabile limpidezza d’esposizione». Il premio «Città di San Salvatore Monferrato–Carlo Palmisano» ha un albo d’oro che rimanda al vero significato della parola saggistica, che oggi sembra sfuggire alle classifiche di tutti i quotidiani, perché trascende la proprietà mercantile del cibo servito. Il pan degli angeli, avrebbe commentato Gina, non si quota in Borsa. I nomi che negli anni passati hanno preceduto Mondo sul palco del teatro di San Salvatore, lo attestano senza bisogno di discorsi. Sugli spalti di una ferrea resistenza al valore delle parole e delle opere che meritano di restare in libreria, tuttavia, al sorriso oggi segue il pianto nel dover riconoscere che basta un rapido inventario per annettere al degrado che inghiotte come scorie paesaggi e opere d’arte anche libri destinati alla cenere di un sepolcro, dove il sonno della morte di un grande diventa ancora più duro. Giovanna Ioli
|