Sassu e il mistero cristiano

La biennale «Arte e mistero cristiano» di Pinerolo, che, grazie alle iniziative culturali di Mario Marchiando Pacchiola, vede la collaborazione tra la Collezione civica d’arte e il Museo diocesano, è giunta alla XXII edizione con una mostra monografica dedicata alla «Divina Commedia» interpretata da Aligi Sassu (1912-2000).

E’ il commento figurativo al capolavoro della letteratura italiana, un’opera che è insieme, come scrive Maritain nell’«Intuizione creativa nella poesia e nell’arte», unisce insieme le caratteristiche poetiche del «poema», perché è un canto alla donna amata, del «dramma» per la vivacità dell’azione scenica, e del «romanzo» perché i personaggi hanno vita ed un’interiorità esistenziale concreta.

Il catalogo, che è il 66mo quaderno della Collezione civica d’arte, edito dalla TipoLitografia dei padri Giuseppini, è un importante documento per la storia dell’arte, perché non solo presenta a colori tutte le 33 opere, undici per ciascuna delle tre parti dell’opera dantesca, acquarelli e pastelli su carta, del 1981, poco noti, che sono il germe del centinaio di tavole a colori, acrilici su cartone del 1984, ma perché, con altri saggi, riporta il testo che l’artista ha preparato per motivare questo suo impegno creativo.

Mons. Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo, rileva come Dante «attraverso il passaggio dall'Inferno al Purgatorio fino al Paradiso indica un itinerario per porre in atto un ordine nuovo fondato sulla giustizia e sull'amore. Lungo questo percorso, soprattutto nell'Inferno, davanti ai suoi occhi, si presenta la società del suo tempo. Che lui dipinge corrotta, avida di potere, travagliata da guerre intestine e tradimenti. Nel Purgatorio s'accende la speranza e i penitenti, attraverso la sofferenza patita,  prefigurano già l'umanità nuova sul perdono come aurora di pace. Così pure nel Paradiso i beati sono coloro che vengono premiati per essere stati operatori di pace, per aver promosso il bene degli uomini e lavorato per la gloria di Dio. La vittoria ultima è il bene».

Ho conosciuto l’artista in occasione della grande mostra antologica che il Comune di Milano gli ha dedicato nel 1984 a Palazzo Reale e conversammo proprio sulla filosofia di Maritain. L’artista, come Gino Severini, Tullio Garbari, Carlo Carrà,  tramite il critico d’arte Edoardo Persico (1900-1936), aveva conosciuto l’estetica maritainiana negli anni Trenta, ne era rimasto influenzato, e si era allontanato dal futurismo per volgersi verso un realismo primitivista. Al riguardo c’è una successiva conversazione con Elena Pontiggia del 1998 nella quale l’artista ricorda: «In quel periodo per l’influsso di Persico, le letture di san Tommaso, di Maritain e i libri del “Roseau d’or”, sentivo profondamente il problema religioso. Seguivo i riti liturgici, anzi sognavo di assistere a qualche miracolo. Certi temi apparentemente neutri, per me avevano un significato morale. I ciclisti, per esempio: sono la metafora di uno sforzo ascetico, di un impegno che ha come fine la vittoria dell’atleta non sugli altri, ma su se stesso». Questa osservazione bene sottolinea come l’arte per se stessa, nella sua autonomia, abbia qualche cosa di etico e di religioso, sia una aspirazione all’Assoluto.

Aligi Sassu, uomo di cultura socialista, il padre è stato il fondatore del Partito socialista in Sardegna, ha una sala nella «Collezione di arte religiosa moderna» inaugurata con Paolo VI nel 1973, ma la sua arte non può essere considerata «arte sacra», le sue intenzioni sono più etiche che teologiche, lui stesso, parlando delle sue convinzioni scrive: «Mi domando qualche volta in che cosa credo. Come si fa a dire: credo in Dio? E' troppo grande. Non credo negli dei ai quali vengono dati nomi diversi. Il mio è un Dio particolare. Può anche darsi che sia Gesù crocifisso, ma come si fa a dire? Non mi sento di adorare un Dio piuttosto che un altro, ma la mia non è una posizione di dubbio, è una posizione di fede. Io credo qualcosa di grande, da cui noi dipendiamo, da cui siamo stati creati, che ci conduce per mano durante la vita. E credo nell'uomo naturalmente».

A proposito del «suo» Dante aggiunge: «L'esigenza di una moralità pittorica è stata per me continua. Le motivazioni formali non sono mai state costrittive. La continuità è data anche dalla rottura e dai salti compositivi, dalla aggregazione di certi motivi continui, dal costante legame poesia-creazione dell'anima. Stimolato dal rapporto quotidiano della vita e del sogno, in un'unità trascendente sia la morte che la vita. Ho cercato di dare corpo ai miei ideali di lotta contro la matta bestialità latente da sempre nell'uomo. Quella espressione di poesia che la pittura può dare o ha dato alla mia lettura di Dante».

Poi si domanda, proprio a riguardo del soggetto specifico della «Divina Commedia»: «Esiste il peccato? E’ peccato non vivere l’amore». All’artista non si chiede di essere un teologo; non chiediamogli di analizzare il rapporto tra la grazia e il peccato, altrimenti farebbe un’opera didattica, a lui chiediamo di esprimere in bellezza e con sincerità le sue emozioni davanti al Mistero.

Ma veniamo a questi acquerelli, a prima vista non sembrano opera di Aligi Sassu, non hanno i colori violenti, espressionisti, fauves delle sue opere più conosciute, sono al contrario delicatissimi, tracciati in punta di penna; e a ben guardarli rivelano il suo animo, insieme realistico e compassionevole, capace di cogliere tutto il dolore dell’uomo e di farne intuire la speranza di una redenzione. Il suo commento della «Divina Commedia» non è un’opera descrittiva, come quella di Sandro Botticelli (1445-1510) o quella di Gustav Dorè (1832-1883), non vuole «illustrare», «narrare» gli episodi delle tre cantiche, non commenta riga per riga il testo letterario, ma libera la sua intuizione poetica, esprime la sua commozione, sia quando si sofferma su alcune figure, come Virgilio e Beatrice, Paolo e Francesca, Piccarda Donati… sia quando rappresenta gruppi di «peccatori», come gli aravi, gli indovini, di «penitenti», come gli accidiosi, di «santi», come coloro che furono costretti a mancare ai voti.

Ciascuno dei trentatrè acquerelli, di diverso formato, è riferibile ai  precisi versetti e alle terzine del testo poetico, che l’artista ha selezionato per la sua interpretazione. La poesia diventa disegno e colore «in simbiosi con la mia pittura», come dichiara lui stesso commentando la sua opera. «Così i corpi si compenetrano, si fondono come larve infernali o paradisiache o purganti, in un amalgama creato dall'intrecciarsi e fondersi delle anime che nascono e muoiono nel corpo del colore. La violenza bestiale che appare, nella purezza di una lieve deformazione dei corpi, il colore soave del peccato, l'abisso del cielo e la luce bianca dell'Inferno».

Il primo acquerello rappresenta Dante che si smarrisce nella «Selva oscura», un groviglio di alberi sovrasta la figura del poeta che lentamente si incammina nell’esplorazione del mistero. Dante nel quarto cerchio dell’Inferno incontra gli avari e i prodighi, che si sono macchiati di due peccati opposti, il trattenere solo per se o il disperdere al vento i beni; seguendo Aristotele sa che la virtù è un equilibrio, è il giusto mezzo. Il testo poetico introduce la descrizione del castigo di questi peccatori  - trasportare in cerchio pesanti massi e scontrandosi tra di loro - con l’immagine dello scontrarsi nello Stretto di Messina delle acque del Mar Ionio e del Mar Tirreno.

Sassu rappresenta questo scontro con una cascata di massi e di corpi. Nella quarta cornice del Purgatorio gli accidiosi sono costretti a correre in continuità per liberarsi della pigrizia con cui sono vissuti. L’artista disegna in primo piano un corpo stremato, costretto a rialzarsi e a riprendere la corsa. Nel primo cielo del Paradiso, quello della luna, Dante ha un lungo colloquio con Piccarda Donati, monaca nel convento delle Clarisse, che il fratello ha costretto a sposarsi. Piccarda spiega al poeta che le anime del primo cielo non sono invidiose delle anime dei cieli superiori, perché tutti beati nella volontà di Dio trovano la loro pace e la loro felicità.

Sassu traccia in modo marcato in primissimo piano il volto di Donata ed in lontananza in modo sfumato quello di altre anime, perché in questo cielo i volti umani hanno contorni evanescenti, come se fossero visti attraverso un vetro appannato. Aligi Sassu ha rivissuto nella sua fantasia creativa il mondo dantesco, ma è stato fedele al testo poetico, più di Renato Guttuso che nel 1970 ha illustrato il poema per la Mondadori con 56 tavole senza cogliere in profondità lo spirito dell’opera.

Piero Viotto



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016