Caldo, le colpe umane

Il nuovo rapporto dell’Ipcc sui cambiamenti climatici («Intergovernmental panel on climate change») non mancherà di riaccendere la discussione sul riscaldamento globale, di rinfocolare le polemiche tra quanti ancora sono poco convinti dei cambiamenti in atto.

Non sono ancora del tutto spente le polemiche suscitate da «L’ambientalista scettico. Non è vero che la terra è in pericolo», il libro di Bjorn Lomborg, pubblicato nel 2001 dalla Cambridge Università Press e in Italia da Mondadori. Le tesi controverse di Lomborg non avevano suscitato consensi tra gli addetti ai lavori, ma aveva scatenato polemiche tra gli ambientalisti. Bjorn Lomborg è un docente di Statistica e aveva basato il suo ponderoso lavoro sui numeri; tuttavia, proprio l’interpretazione dei numeri è la parte che ha meno convinto gli addetti ai lavori.

Il nuovo Rapporto Ipcc, di cui, per il momento, sono stati pubblicati i risultati del Working group 1, che si occupa dei fondamenti scientifici dei cambiamenti climatici, prospetta scenari piuttosto preoccupanti. E’ sempre più consistente la tesi che a causare i cambiamenti climatici siano le attività dell’uomo. Nella sintesi del «Rapporto» preparata per politici e governi si legge che «è estremamente probabile che più della metà dell’aumento osservato della temperatura superficiale dal 1951 al 2010 è stato provocato dall’effetto antropogenico sul clima (emissioni di gas-serra, aerosol e cambi di uso del suolo)».

I dati di dettaglio mostrano alcune tendenze irreversibili. Nel periodo 1880-2012 la temperatura media superficiale globale ha subito un incremento di 0,85 gradi. Nonostante che negli ultimi quindici anni il tasso di riscaldamento sia diminuito sensibilmente, gli esperti sono concordi nel ritenere che la situazione non sia significativa dal punto di vista statistico. Troppo breve il periodo di pausa per trarre delle conclusioni.

Non va meglio agli oceani. Anche la loro temperatura è in costante aumento. Tra il 1971 e il 2010, ha subito un incremento di 0,11 gradi all’anno nei primi 75 metri di profondità, ed è probabile che il riscaldamento abbia interessato anche le acque più profonde. Il livello del mare indubbiamente sta crescendo, tra il 1901 e il 2010 si è innalzato di 19 centimetri, con un tasso medio che negli ultimi vent’anni ha raggiunto i 3,2 millimetri all’anno. Il fenomeno in parte è dovuto alla  fusione dei ghiacci dei poli e in parte proprio al riscaldamento, che provoca l’espansione termica dei mari.

Neppure i ghiacci sono messi bene. Essi sono tra i più sensibili indicatori dei cambiamenti climatici. «Le calotte glaciali in Groenlandia e Antartide», spiega il Rapporto, «hanno perso massa negli ultimi due decenni. I ghiacciai si sono ridotti quasi in tutto il Pianeta e la diminuzione stagionale estiva della banchisa artica sta aumentando». La velocità di scioglimento dei ghiacci polari è in costante aumento. In Groenlandia, dal 2002 al 2011, ha raggiunto il tasso di 215 giga tonnellate all’anno; in Antartide di 147. Se il ghiaccio si scioglie più velocemente è perché l’accumulo di neve nei periodi invernali è minore. Meno neve, meno ghiacciai.

«La copertura nevosa nell’emisfero Nord», documenta il Rapporto, «è la metà del secolo scorso. Nell’emisfero Nord nel periodo 1967-2012 il valore medio dell’estensione della copertura nevosa è diminuito di 1,6 per cento per decennio nei mesi di marzo e aprile e di 11,7 per cento per decennio nel mese di giugno». Sono tutti indizi di un aumento della temperatura dappertutto nel Pianeta che potrebbe avere effetti imprevedibili. Sempre secondo il Rapporto Ipcc è probabile che le precipitazioni aumentino nelle terre emerse delle medie latitudini mentre nelle altre regioni siano insufficienti; che i terreni perennemente gelati, i permafrost diventino instabili e si sciolgano creando ampie zone paludose e fangose; che aumenti la frequenza degli eventi estremi: precipitazioni di forte intensità, come nel caso del tifone che ha devastato le Filippine.

La colpa è, senza ombra di dubbio, delle attività umane che immettono gas serra nell’atmosfera. «La concentrazione atmosferica globale di anidride carbonica è aumentata di circa 40 per cento dal 1750», precisa il quinto Rapporto Ipcc. «L’incremento è stato causato dall’uso dei combustibili fossili, dalla deforestazione e da un piccolo contributo della produzione cementifera. Tutte le attuali concentrazioni atmosferiche globali di anidride carbonica, metano, protossido di azoto sono maggiori delle concentrazioni registrate nei carotaggi di ghiaccio negli ultimi 800 mila anni. L’incremento è, rispettivamente, di circa il 40, il 150  e il 20 per cento. Dal 1750 al 2011 le emissioni di anidride carbonica provocate dall’uso dei combustibili fossili e dalla produzione cementifera hanno introdotto in atmosfera 365 miliardi di tonnellate di carbonio, mentre la deforestazione e altri cambi di uso del territorio ne hanno introdotto 180 miliardi di tonnellate. Le emissioni cumulative antropogeniche sono 545 miliardi di tonnellate di carbonio». Una quantità enorme.

Parte dell’anidride carbonica è assorbita dagli oceani e parte dai sistemi naturali. Il risultato è che anche gli oceani stanno subendo una lenta acidificazione che potrebbe compromettere la vita di molte specie marine, in particolare quelle che hanno un guscio calcareo, il quale potrebbe sciogliersi. «Le emissioni di gas serra che continuano a crescere», osserva il Rapporto, «provocheranno ulteriore riscaldamento nel sistema climatico. Il riscaldamento causerà cambiamenti nella temperatura dell’aria, degli oceani, nel ciclo dell’acqua, nel livello dei mari, nella criosfera, in alcuni eventi estremi e nella acidificazione oceanica. Molti di questi cambiamenti persisteranno per molti secoli».

Gli scenari più sfavorevoli delineati dal Ipcc sono davvero apocalittici. Il consiglio degli scienziati è molto semplice: ridurre le emissioni di gas serra, ossia cambiare stili di vita. «Al fine di limitare l’entità di questi impatti», dice il Rapporto, «le emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra devono essere ridotte in maniera sostanziale. Limitare il riscaldamento globale causato dalle emissioni antropogeniche a meno di 2oC rispetto al livello preindustriale richiederà che le emissioni cumulative di anidride carbonica  di tutte le sorgenti antropogeniche rimangano sotto i mille gigatonnellate». Nel 2011 erano già 545. Ciò significa che il tempo per una inversione di tendenza è sempre più breve.

Pasquale Pellegrini



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