Ripresa significa più Europa

«Le regole dell'economia» è il titolo del convegno organizzato da Iniziativa Subalpina (associazione di cui è promotore il vicepresidente del Csm, Michele Vietti) nel tradizionale appuntamento annuale di Stresa. Uno spazio di riflessione con il mondo politico ed economico per capire come superare la crisi e come avviare lo sviluppo nel nostro Paese.

Questioni di cui si discute da tempo e di cui si fatica a trovare il bandolo della matassa, perchè non esistono ricette preconfezionate e più che mai risulta dunque indispensabile un impegno del “sistema Paese” nel suo insieme. In quest’ottica, un governo di “larghe intese” come quello attuale dovrebbe rappresentare, almeno sulla carta, la miglior garanzia per affrontare i problemi della nostra economia con assai più vigore di un normale esecutivo, sostenuto da una sola parte politica. Non a caso in Germania proprio in questi giorni sta nascendo una grande coalizione, Cdu-Spd, la più adatta per muoversi lungo quel percorso di equità e sviluppo che pare l'unico praticabile per risalire la china.

Da noi le forze politiche di governo, Pd, Pdl e Scelta civica, tra polemiche quotidiane e smodate ambizioni personali, non sembrano invece cogliere appieno l'opportunità di un esecutivo ad ampio spettro per mettere in cantiere le grandi riforme necessarie a lasciarci alle spalle la grave crisi che ci attanaglia. E bisogna comunque dar atto al presidente del Consiglio di esser riuscito, con indubbia sagacia, a tenere indenne il governo dalle fibrillazioni della sua maggioranza. Eppure troppo spesso siamo qui a domandarci quanto durerà il governo, proprio mentre la stabilità politica viene da tutti considerato il prerequisito per uscire dalla crisi.

Per Camillo Venesio, vice presidente Abi (Associazione bancaria italiana), una certa solidità governativa è un fattore decisivo poiché permette agli operatori economici di ragionare sul medio periodo. «I mercati si adattano a molteplici opzioni politiche, anche a quelle meno ortodosse, ma ciò che proprio non tollerano è l’instabilità perché non consente loro di prendere decisioni». Discorso analogo quello di Ivan Malavasi, presidente di Rete Imprese Italia, che sottolinea come a preoccupare le imprese non sia soltanto il livello, comunque eccessivo, dell'imposizione fiscale, ma anche le continue modifiche cui è sottoposta la normativa tributaria, la cui complessità applicativa è fonte di contenziosi e di costi aggiuntivi a carico delle aziende.

«Il nostro Paese», prosegue Malavasi, «per crescere ha bisogno di capitali internazionali e per attirarli deve diventare “amico delle imprese”. La Banca mondiale segnala che l’Italia è al 73° posto come facilità di fare impresa, mentre la Germania, tanto per fare confronti, si trova in ventesima posizione. Ci sono troppi ostacoli, a cominciare da regole burocratiche fatte per scoraggiare qualsiasi investitore straniero. Da noi il diritto, più che essere il tassello che contribuisce a risolvere i problemi, sembra esser diventato un elemento di complicazione». C'è una legislazione complessa e farraginosa: «Un eccesso di adempimenti», evidenzia Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate, «che crea problemi ai contribuenti e anche agli uffici fiscali, incaricati di far chiarezza sulle normative, con un intrico di circolari esplicative in cui il cittadino viene a perdersi». In pratica, una tassazione occulta che accresce i costi per gli adempimenti fiscali, pesando sulla nostra competitività.

E la politica come risponde? Il sottosegretario all'Economia, Luigi Casero, è dell'idea che le “larghe intese” possano essere il terreno propizio per fare quelle regole che, singolarmente, i due poli non sono riusciti a fare. Una riforma strutturale sulla fiscalità è oggetto di una legge delega, approvata dalla Camera e in discussione al Senato che, tra testo base e decreti attuativi, dovrà essere pronta per la metà del 2014. Sulla Legge di stabilità appena approvata Casero sottolinea come essa consenta di rispettare i vincoli europei senza aggiungere nuove tasse a carico di famiglie ed imprese. «Per reperire nuove risorse da immettere nel circuito dello sviluppo», spiega, «puntiamo a rendere più efficace la lotta all'evasione fiscale. Va peraltro tenuto presente che la manovra attuale non comprende, tra le sue voci, come accadeva sino all'anno scorso, entrate da recupero evasione. Questa partita non è infatti più ammessa dall'Unione europea che, nella costruzione del nostro equilibrio finanziario, pretende gettiti reali e non presunti. Noi però sappiamo sin troppo bene che un certo margine può giungere da quel versante, per cui nel 2014 è probabile che riusciremo a disporre di qualche risorsa aggiuntiva».

Un'altra dote potrebbe arrivare dai risparmi attesi dalla spending review sulla sanità e sulla pubblica amministrazione con l'applicazione dei costi standard. Ancora da definire, invece, la partita delle dismissioni immobiliari, ossia della cessione di beni demaniali. Anche perché, in tempi di crisi, si rischia di svendere anzichè di vendere. Una proposta è quella di creare una “società veicolo” cui conferire il patrimonio immobiliare e poi chiedere agli italiani un prestito forzoso per l'acquisto di questi titoli, così da ridurre debito e interessi. A quel punto, scendendo il debito, anche i livello di tassazione potrebbe ridursi. Un'ipotesi che vede sia la contrarietà delle banche che del governo. Venesio considera questi vincoli controproducenti per i risparmiatori e in antitesi ad un mercato libero. Casero scarta questo percorso, preferendo evitare prelievi che i cittadini assimilerebbero comunque a un aumento dell'imposizione fiscale.

La sanità è uno dei tasti dolenti dei nostri equilibri finanziari. Nessuno mette evidentemente in discussione l'assetto pubblico e universale, anche perchè il sistema privato, di impronta americana, oltre ad essere iniquo incide sul Pil per il 14 per cento. Mediamente il doppio di quelli pubblici, all'europea. In discussione è invece un altro aspetto, assai più dirimente: la competenza regionale del comparto sanitario, visto che di regioni in deficit ce ne sono troppe. Forse sarebbe il caso di pensare ad una centralizzazione della sanità, affidandola totalmente allo Stato, così anche i costi standard di beni e servizi sarebbe deciso, per tutti, alla fonte, senza quelle incredibili sperequazioni tra un'area e l'altra del Paese.

Un altro tema che si incrocia con lo sviluppo è quello degli investimenti esteri. «A parole tutti ne sono favorevoli», afferma Maurizio Sella, presidente Assonime, «poi quando partner stranieri si affacciano sul nostro mercato si assiste ad una levata di scudi di stampo nazionalista. Forse bisognerebbe ragionare in termini europei ed evitare, almeno di fronte ad investimenti provenienti da altri Stati dell'Unione, quelle chiusure protezionistiche che, in genere, finiscono per costare care ai contribuenti, come mostrano alcune vicende di questi ultimi anni. E' chiaro che per ragionare in ottica europea, bisognerebbe che l'integrazione fosse ad uno stadio più avanzato, sia dal lato fiscale che politico».

In effetti, la chiave di molti problemi, lo si è detto parecchie volte e val la pena ripeterlo ancora, è sempre più nell'integrazione europea, poichè la dimensione nazionale dei singoli Paesi (Germania compresa) non è più adatta alle grandi sfide economiche mondiali. In fondo anche l'attuale Legge di stabilità, scritta secondo i canoni prescritti da Bruxelles, è un primo passo in avanti verso il traguardo europeo. Per conseguirlo appieno serve un ulteriore sforzo politico, ma proprio la debolezza della politica ostacola questo processo sia in Europa che in Italia. A risentire di questa inerzia sono la crescita e lo sviluppo, poiché un'economia efficiente non può fare a meno di regole politiche efficaci.

Aldo Novellini

 



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