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Tanti artisti e un teologo per MariaLa «Sagrada Familia» di Antoni Gaudì, recentemente consacrata da Benedetto XVI a Barcellona, è il capolavoro dell’architettura religiosa contemporanea, paragonabile per importanza all’Abbazia di Cluny per l’arte tardo-romanica con i suoi meravigliosi capitelli, purtroppo in gran parte distrutta durante la Rivoluzione francese e alla cattedrale di Chartres per l’arte gotica con le sue magnifiche vetrate. La basilica ha tre facciate, la prima dedicata alla «Natività» è l’unica costruita da Gaudì, perché l’architetto catalano è mancato nel 1926, a causa di un incidente stradale; quella della «Passione» e stata portata a termine da Josep Maria Subirachs nel 1987 e quella della «Gloria» è in costruzione. La facciata della «Natività» si struttura su tre portali che illustrano gli episodi della vita della Sacra famiglia, in una delle cuspidi c’è il matrimonio di Maria e Giuseppe. Partendo dalla contemplazione di questa facciata, che si interessa al sacro nell’arte moderna, ho rintracciato negli scritti mariologici del teologo domenicano Marie Dominique Philippe spunti di riflessione per analizzare il contributo femminile alla redenzione e l’importanza della famiglia nell’educazione di Gesù. Giuseppe non è un vecchio, come immagina certa tradizione preoccupata di difendere la verginità di Maria, ma è un giovane che si innamora di Maria, a cui Maria rivela il suo voto di castità, che accetta di condividere. Per questo Giuseppe è inquieto quando s’accorge della gravidanza di Maria, e probabilmente è lo stesso angelo Gabriele, che ha annunziato a Maria l’incarnazione del Verbo a convincerlo a non lasciare Maria. Il loro è un vero matrimonio, perché l’amore coniugale non consiste solo nella relazione carnale, ma è essenzialmente un’intesa spirituale, un progetto di vita comune, alla quale ciascuno collabora secondo il suo essere uomo e donna. A partire da queste riflessioni ne è nato un volumetto, «La vita di Maria secondo Marie Dominique Philippe», pubblicato nella collana dei tascabili Universale Studium (Roma 2013), con una introduzione di mons. Franco Buzzi, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il libro è illustrato con una serie di capolavori della storia della storia dell’arte da Michelangelo a Dürer, da Donatello a Manzù e segue lo snodarsi della vita di Maria nelle sue diverse tappe a partire dalla sua Immacolata Concezione fino all’Assunzione in Cielo riportando e commentando numerosi brani delle meditazioni del teologo domenicano. Si inizia con la creazione di Eva che padre Philippe commenta secondo la seconda narrazione della «Genesi», quando Dio trae Eva, madre dell’umanità, dalla costola di Adamo, e gliela presenta. Commenta padre Philippe: «Linguaggio è simbolico per farci comprendere che la donna non è né la serva dell’uomo, né quella che deve completare in un certa maniera la sua intelligenza, ma quella che è donata all’uomo affinché impari ad amare» (p. 23). Una formella in terracotta di Donatello, realizzata nel 1405, che riprende lo schema compositivo della formella di Andrea Pisano che ornava il campanile di Giotto a Firenze, illustra questo episodio. Nella tenerezza con cui il Padre abbraccia Eva, che nasce dal corpo di Adamo, si può immaginare come la paternità di Dio comprenda anche la maternità. Non per nulla Rembrandt nel quadro del Padre che accoglie in un abbraccio il figliol prodigo, tornato a casa, rappresenta il Padre con una mano maschile e una mano femminile. La colpa originale dell’umanità, che non è un atto sessuale come qualcuno banalmente immagina, ma un atto di orgoglio, perché l’uomo ha preteso di essere lui nella sua autonomia il fondamento della legge del bene e del male, ha comportato la perdita, umanamente irreparabile, della grazia. L’uomo si è fatto Dio e, per compensare questo peccato, Dio ha dovuto farsi uomo. Il Verbo, Figlio eterno del Padre, ha dovuto diventare Figlio dell’uomo, entrare nel tempo, assumere su di sé il nostro peccato per riparare la nostra colpa. Ma per questa nascita nella storia ci voleva una madre, ci voleva una donna, che non poteva essere macchiata dalla colpa originale. Dante nel canto finale del Paradiso dedicato alla Vergine commenta: «Figlia di suo Figlio» e padre Philippe, sulla base della teologia di san Tommaso, che indaga sulla «grazia preveniente», scrive: «Il mistero dell’Immacolata concezione non è altro che Maria rivestita del sangue dell’Agnello» (p. 28). Per illustrare l’Annunciazione il volumetto di Viotto riporta una bella scultura di Manzù, degli anni Trenta, quando lavorava a decorare la cappella della Università Cattolica di Milano, con le figure di Giuseppe e di Maria, scolpite «dirimpetto» sulle pareti opposte della chiesa, entrambe con in braccio il bambino. Sono, quasi, un commento iconografico a queste parole di padre Philippe: «Parlare di Giuseppe come di un “padre putativo” è molto superficiale. Il motivo di questo genere di espressioni ci è chiaro, ma dobbiamo state attenti a non sminuire la sua paternità, mentre essa è divinamente perfetta; il bambino Gesù, in ciò che ha di più grande, di più nobile, di più divino, è tutto relativo a Giuseppe. E una paternità sostanziale la sua, dono della grazia, che da una parte esige la rinuncia ad essere sorgente di vita e dall'altra esige la rinuncia al rapporto coniugale con Maria. Dio non può domandare una povertà simile, una doppia povertà, se non in vista di un amore più grande, altrimenti egli non sarebbe più Dio, non sarebbe più Padre. A Giuseppe viene chiesta questa doppia povertà, perché egli viva di una paternità divina, riflesso della paternità unica del Padre» (p. 51). I Vangeli ci dicono che tra i primi ad accorrere alla grotta di Betlemme ci furono i magi venuti dall’oriente, potremmo anche dire gli “stranieri”; il che vuol significare che la redenzione non è solo per gli ebrei, ma è per tutta l’umanità. Proprio per questo san Paolo nel primo Concilio a Gerusalemme, come narrano gli Atti degli apostoli, spiega a san Pietro che non è necessaria la circoncisione per ricevere il battesimo. Un capitello romanico della Cattedrale di Autun in Borgogna è stato scelto per presentare l’arrivo dei Magi. Maria di Nazareth partecipa alla Passione di Cristo, a questo mistero di com-passione, non solo in quanto madre, ma anche in quanto donna. Infatti alla Croce, quando, il soldato romano squarcia il cuore di Gesù, il Figlio è già cadavere e non può offrire al Padre queste ultime gocce di sangue: «Chi offre al Padre la ferita del cuore cadaverico di Gesù? E’ Maria; non può essere che Maria; questo atto le era riservato… Alla Croce c’è come un cancellarsi del sacerdozio di Cristo davanti a Maria, perché Maria possa compiere un gesto nuovo, un gesto sacerdotale ultimo, offrire al Padre lo stato vittimale dell’Agnello, l’ultimo stato della vittima… Offrire a Dio una vittima, è un gesto eminentemente sacerdotale, è il prete che offre la vittima» (p. 89). Inoltre padre Philippe osserva che alla Croce Gesù non chiama Maria col nome di «Madre», ma col nome di «Donna», rinuncia a ciò che ha di più caro al mondo, sua madre, per donarla Giovanni e attraverso Giovanni a tutti noi. Come dice san Paolo la redenzione in Cristo è «compiuta», non ha bisogno di integrazioni; ma non è «completa, deve estendersi a tutti noi, chiamati a compartecipare alla redenzione». L’immagine di un particolare dell’ultima «Pietà» di Michelangelo, la quarta, quella del 1564, l’anno della morte dello scultore, dove il volto della Madre ed il volto di Gesù sono affiancati sulla linea verticale, anche se appena abbozzati, proprio nel momento generativo della creazione artistica, bene significa questa comunione nel dolore della Madre e del Figlio. La partecipazione della donna si esplicita anche nel mistero del Sepolcro, quando la madre, per rispettare il Sabato ebraico, deve accettare che venga subito seppellito il corpo di Gesù, padre Philippe commenta: «Una madre fa fatica ad accettare quest'ultima separazione, perché definitiva. Finché può vedere il cadavere di suo figlio, può ancora illudersi della sua presenza fisica; ma quando le mani di estranei stringono quel corpo per portarlo via, quel corpo che una madre considera come un bene proprio, verso cui nutre una sfrenata gelosia a ragione della sua impotenza - lei sola può difenderlo e custodirlo - quella madre diventa folle di dolore» (p. 98). Dopo, Maria rimane si raccoglie in preghiera in attesa della Resurrezione, mentre le pie donne si agitano, preoccupate di preparare gli unguenti per completare la sepoltura. Le Scritture non ci dicono se Gesù risorto sia apparso a Maria, ma padre Philippe lo ritiene probabile. Maria è presente alla Pentecoste, ma non al centro, come sono soliti rappresentarla artisti, perché Maria non ha una funzione gerarchica nella Chiesa, infatti non partecipa alla elezione dell’apostolo Mattia al posto di Giuda. Il compito della donna nella Chiesa si realizza in un sacerdozio di amore, in un sacerdozio mistico che bene esemplifica la Visitazione di Maria ad Elisabetta «dove è Maria quella che dona lo Spirito Santo a Giovanni Battista ed a Elisabetta… Ella è l’aurora del mistero sacerdotale di Cristo» (p. 44). Una xilografia del 1510, tratta alla «Vita di Maria» di Albrech Dürer illustra l’episodio. Questo piccolo libro, che presenta aspetti nuovi nella ricerca della «teologia scientifica», come la mediazione di Maria, la co-redenzione, il sacerdozio mistico che si affianca al sacerdozio ministeriale, può essere un buon libro di meditazione per il mese di ottobre, dedicato al Santo Rosario, per sostenere la devozione con l’intelligenza della fede. Piero Viotto
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