I cattolici e un centro che fa paura

Dopo la guadagnata fiducia del governo Letta, per i cattolici in politica potrebbe aprirsi una fase nuova. Lo si intuisce da come è stato interpretato il passaggio parlamentare del governo. «Vittoria degli eredi della Democrazia cristiana più nobile. Letta, Alfano e Renzi provengono da quella esperienza», osserva Gerardo Bianco, ultimo presidente del Partito popolare italiano. «Con Matteo Renzi segretario ed Enrico Letta premier i loro interessi saranno coincidenti», commenta Dario Franceschini intervistato dal «Corriere della sera».

«Matteo dovrà costruire una forma nuova di partito, aprirlo alla società e cambiare i gruppi dirigenti; Enrico sarà concentrato sul semestre europeo e sulle riforme. Sono due percorsi paralleli che io vorrei fossero profondamente collegati tra loro». Romano Prodi al «Corriere» di Bologna sottolinea che «Andreatta considerava davvero Enrico Letta una promessa del futuro e Letta considerava Andreatta non un maestro, ma il maestro».

Il cerchio potrebbe chiudersi qui, tanto basterebbe per documentare lo scenario inedito e promettente, auspicato anche dal nostro giornale, che si è venuto a creare se non ci fossero anche perplessità. A esplicitarle senza mezzi termini è Graziano Delrio: «Ci siamo liberati dei diktat di Silvio Berlusconi, attenti però a non sognare il Grande centro», dice a «Repubblica». Lo stesso Renzi appare cauto e guardingo. «So che c’è chi tenta un’operazione neocentrista, so che si pensa a una legge proporzionale, ma quando sarò eletto alle primarie e avrò il mandato di milioni di elettori del centro-sinistra porrò il problema: noi saremo per il bipolarismo senza “se e senza ma”, non vogliamo un ritorno all’antico e alla prima Repubblica, non vogliamo un sistema elettorale che istituzionalizzi le “larghe intese”».

Tutto chiaro? Nemmeno per sogno. Con il passare dei giorni si infittiscono i timori che possa riaffacciarsi una formazione di centro che raccolga trasversalmente i cattolici di diversi partiti politici. Il dubbio avanza soprattutto in quella parte del Pd che si richiama a Massimo D’Alema e a Bersani e che vede allontanarsi la possibilità di mettere un’ipoteca sulla segreteria del partito. «Credo», dice Gianni Cuperlo al «Corriere della sera», «che dobbiamo difendere il bipolarismo allontanando tentazioni centriste o neocentriste. Non penso che sia questo il destino del Paese». Cuperlo propone un rassemblement che raccolga sinistra, popolarismo, cattolicesimo democratico, ambientalismo e il pensiero delle donne, con pari dignità. Di fatto, chiede di continuare, in una formula più allargata, la stessa esperienza che ha portato il Pd ad essere sconfitto alle elezioni, che non è riuscito ad eleggere Prodi Presidente della Repubblica e che è stato costretto ad un governo di “larghe intese”.

Tuttavia, se si guarda ai travagli degli altri partiti, i timori del Pd potrebbero non essere del tutto infondati. Infatti la componente Udc presente in Scelta civica è da tempo in fibrillazione e in una fase di ricerca. «Chi vede la possibilità concreta della nascita di un’area politica di centro, moderata e riformista, che dia stabilità a un centro-sinistra di governo, è Giorgio Merlo», scrive Francesco Curridori su «Lettera 43». «Merlo esclude lo sfascio del Partito democratico. Da fonti vicine all’Udc si vocifera che al momento non vi siano all’orizzonte arrivi dal Partito democratico, ma da qui a un anno potrebbe nascere una sorta di Democrazia cristiana 2.0. E allora sì che le file del Pd potrebbero sensibilmente assottigliarsi».

C’è un interesse diffuso su una nuova formazione di centro, ma è difficile prevedere se si concretizzerà in un nuovo partito. I tasselli mancanti sono ancora tanti. Innanzitutto non si sa se i “moderati” del Pdl lasceranno il partito e daranno vita ad un gruppo che si richiami al Partito popolare europeo; poi la legge elettorale. Qui i giochi sono aperti. Si conoscono i veti, ma non le proposte. Un sistema elettorale alla tedesca, basato sul proporzionale, di sicuro avvantaggerebbe il raggruppamento di centro e il governo di “larghe intese”, ma metterebbe fuori gioco Renzi e perciò è stato rapidamente bocciato da Delrio.

Nessuno si vuol sbottonare, è un tempo di tattica in attesa delle riforme costituzionali da cui dipenderà anche la legge elettorale. «Il presidenzialismo, gradito ad entrambi» (Letta e Alfano, ndr), scrive Marco Iasevoli su «Avvenire», «incontrerebbe troppi ostacoli in settori combattivi dell’opinione pubblica. Ma il premierato, accompagnato ad un bicameralismo più snello, in cui le Camere svolgono funzioni complementari e non identiche, può sortire lo stesso effetto di razionalizzazione del sistema istituzionale». Se sarà questa l’indicazione dei saggi lo sapremo a breve. Fino ad allora, però, è prevedibile che la situazione rimanga fluida.

Pasquale Pellegrini

 

 



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