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Quel Dio che è nascostoIl libro inizia con la scena dell’uomo pensoso che cammina sulla spiaggia e trova un bambino affaccendato con un ditale a riempire con l’acqua di mare una buca. Alla domanda su cosa stia facendo, echeggia la risposta spiazzante «sto travasando tutto il mare nella mia buca». «Impossibile! Com’è impossibile», sarà la risposta, «trasportare Dio nella tua testa». E’ con questa riattualizzazione dell’incontro-visione di sant’Agostino che si apre l’ultima opera di Ferruccio Parazzoli, «Il fantasma di Dio», appena pubblicato dalle edizioni del Saggiatore. Perno dell’opera è il tema antico e sempre nuovo dell’esistenza di Dio,e soprattutto della sua clemenza e tenerezza nei confronti dell’uomo. Infatti la domanda più frequente dell’uomo d’oggi è se Dio esiste. E quella che si affaccia subito dopo è, se esiste: è indifferente verso di noi oppure sta dalla nostra parte? Punto nodale di questo «Dio fantasma» è per il nostro autore un percorso labirintico, un avanzare schivando il pessimismo cosmico e al tempo stesso evitando l’acccettazione pura e semplice di schemi ritenuti nel passato esaustivi: il Dio Unico, Perfettissimo, il Creatore del cielo e della terra. Punto e basta. In certe pagine del testo affiora con le iridescenze di una madreperla metafisica l’inquietudine agostiniana. E vi è anche una vibrazione moderna, la constatazione del logorio delle certezze tradizionali e una fame sempre rinnovata di poter trovare all’improvviso, magari in un angolo, una Presenza ineffabile, magari travestita: quel Dio che pare nascondersi nei particolari. Un riverbero di mistica laica, il brivido della lacerazione di una tela che si credeva inconsutile? Dio come morbo, come ribrezzo verso il nulla, come passaggio su un crinale tra due abissi? Racconti non pacifici, non indolori di un autore che non ha paura di essere scomodo, a tratti quasi sgradevole. Vedasi la storia del monaco medioevale Brindano, che se ne era partito dal convento,dopo tante guerre e disastri intorno, «per verificare l’inspiegabile assenza di Dio», o la delusione di Tommaso, omonimo moderno dell’antico apostolo, per il mancato ritorno di Cristo per fare una volta per tutte «i conti con il Male». Dunque l’importanza di un Dio che “riarmonizza” il mondo, venendo a compiere le ultime cose. Parazzoli mette in scena una molteplice rappresentazione teatrale, verrebbe da dire una specie di “sacra rappresentazione laica”, che discende direttamente dal suo ultimo imponente romanzo, «Il mondo è rappresentazione» del 2011, che purtroppo non ha avuto la risonanza che meritava. Nella presente opera siamo di fronte a un puzzle di narrazioni su fatti storicamente accaduti o immaginati che diventano quadri scenici: la vita è teatro e il teatro si fa vita. Un filo logico li unisce e il lettore lo scoprirà poco alla volta. In una navata di cattedrale un vecchio obeso legge passi evangelici e recita: è Erode ricomparso che narra il suo faccia a faccia con Cristo durante la passione. Curioso di Colui che era ritenuto profeta e guaritore, gli aveva chiesto un prodigio, ma l’altro era rimasto muto. Grande la delusione del monarca libidinoso e angosciato che in tale rifiuto aveva visto noncuranza verso le angosce dell’umanità, per questo il suo interesse si era mutato in dileggio. Nessuno ha colpa dell’orrore del mondo e «Dio non può condannare una ragione che non vuole mentire a se stessa». I brani narrativi si riuniscono in piccoli romanzi in fieri, racconti come parabole, confessioni e squarci meditativi che si coagulano in un insieme romanzesco sui generis. Ed ecco le giornate sospese di vecchi preti di campagna che cercano convalide alla loro fede offuscata, e forse la trovano nell’incontro col dolore di bambini straziati dalla malattia. Il dolore degli innocenti, da sempre il grande interrogativo lanciato dall’uomo contro il cielo. Oppure c’è un conferenziere che nella sala incontri di uno sperduto paesino cerca di spiegare l’inspiegabile: come sarà la vita eterna a un uditorio di vecchie signore svanite. Ecco la scena della merciaia che aggiusta pantaloni con miracolosi rammendi e si fa araldo di dialettiche teologiche ed evoca una figura di un prete eccentrico e chiacchierato, don Antonio, sedicente pittore che da giovane in circostanze drammatiche aveva incontrato la Grazia divenendo da allora tramite del perdono divino per quanti lo avrebbero cercato. Incontro con la Grazia, ma anche superbia travestita da follia nella vicenda di Don Sisto, che scrive un’opera sull’Anticristo il cui manoscritto tiene spalancato su un tavolo della canonica. Un progetto che gli aveva allontanato i parrocchiani, nato forse dalla disdetta di non aver potuto, un giorno, resuscitare una bambina nella presunzione di imitare un miracolo evangelico. Molte sono le figure di preti che si muovono in queste pagine, sacerdoti problematici, angustiati,disillusi, spostati, ma che a volte possiedono le stimmate della santità ,nonostante sé stessi e il piccolo inferno spalancatosi con la vocazione che li rende testimoni del Divino, testimoni inascoltati e inciampo per i fratelli. Ma sono loro, per la strana legge del contrappasso, gli annunziatori di un Dio assente e al tempo stesso piaghe vive di un Dio presente che ha il volto sofferente di Cristo. Pagine dell’autore dove circola una nostalgia struggente dell’Assoluto che richiama Bernanos. Nonostante che il tema di Dio, la sua esistenza e azione nel mondo, sia oggi un argomento narrativamente evitato, l’autore ne tratta la ”terribilità” con una leggerezza affabulatoria. Parazzoli riesce infatti col suo mestiere a tenere sempre alta l’asticella dell’attenzione. In tal modo l’argomento, nelle sue sfaccettature e misteriosi percorsi, risulta interessante e invogliante per un lettore che non sia distratto, o peggio, irrimediabilmente guastato da letture dozzinali. Luca Desiato
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