Il giardino perduto

Che emozioni o suggestioni suscita la parola «giardino»? Giardino dell'Eden, ovvero paradiso perduto di innocenza e ingenuità? Giardino delle meraviglie, come ne vediamo ancora in Sicilia o in Andalusia, ricco di piante lussureggianti dai fiori di mille colori? Oppure, seguendo la riflessione di Giacomo Leopardi, giardino come esempio della sofferenza universale a cui sono soggetti anche i fili d'erba?

Partendo dal tema del giardino, Donatella Taverna e Francesco De Caria insieme con fr. Alfredo Centra hanno allestito una mostra molto raffinata e affascinante nelle sale del Collegio San Giuseppe di Torino. Una mostra molto interessante per i criteri su cui si basa e per l'accurata scelta delle opere e degli artisti, accompagnata da un catalogo molto circostanziato e da un quaderno in cui vari autori illustrano il tema del giardino.

L’iniziativa, inoltre, come osserva fratel Alfredo Centra, direttore dell'Istituto e preside della Scuola media e del Liceo, si collega strettamente all'attività didattica del Collegio: questa è la dodicesima mostra organizzata nell'Istituto e, come le precedenti, è aperta all'intera comunità studentesca, che può così vantare un approccio diretto col linguaggio artistico, che produce educazione e cultura. Spiega fratel Centra: «Pensi che quando è stata aperta il 25 aprile 2010 la Manica nuova del Palazzo Reale, dove è stata portata la Galleria Sabauda, i bambini di seconda elementare sono stati capaci di restare un'ora e mezzo a guardare i quadri, le terze un'ora e tre quarti, le quarte un'ora e cinquanta: noi avevamo programmato di soffermarci su una decina di quadri, e loro ci hanno chiesto invece di vederne altri. E questo è il frutto delle mostre organizzate in Istituto. Mostre che vengono visitate da tutta la scuola, ascoltando le spiegazioni della professoressa Taverna e di suo marito. Quindi per i nostri studenti il quadro è qualcosa da vedere e su cui poi fare domande».

«È stato difficile costruire un percorso espositivo per dipinti e sculture di settanta autori», spiega Donatella Taverna, «ciascuno con caratteristiche stilistiche proprie, che evidenziasse fili comuni parallelamente alle diverse individualità. Come pure è stata lunga e laboriosa la ricerca delle opere». Opere di artisti più noti e meno noti, ma tutti degni d'attenzione. Tra i più importanti Marco Calderini, che ben rappresenta la corrente dei paesaggisti tardo-ottocenteschi, con «Villa Fontana a Monasterolo»; oppure Romano Gazzera, celebre per i suoi fiori giganti che si elevano su uno sfondo limpidissimo di cielo; uno dei grandi è Ottavio Mazzonis, torinese, scomparso tre anni fa, un artista puro, le cui moderne scenografie fanno rivivere la leggerezza e la luce del Tiepolo. Di lui sono in mostra tre opere: «Stresa», «Alberi» e «Malinconia».

In quest'ultimo una barca scivola sull'acqua, sulla barca un uomo seduto (l'autoritratto dell'autore) medita mentre si avvia verso l'ombra della morte, raffigurata dalla donna alle sua spalle (Silvia, la sua musa ispiratrice), in piedi. Qui, come negli altri dipinti in mostra, la natura si carica di significati simbolici, poiché nessuna delle opere si limita a una pura descrizione. Infatti «se prescindiamo da una componente mistico-religiosa, il tema del giardino si spegne, diventa la solita pitturetta del solito mazzetto di fiori... Non è un caso che per alcuni artisti lo spunto si trasformi in contemplazione del divino e per altri divenga dolorosa riflessione sulla morte e sulla caducità delle cose», dice la Taverna.

Anche nella produzione dedicata ai semplici mazzi di fiori troviamo tanti significati nascosti: d'altra parte «Il fiore reciso che sta in casa è la nostalgia del giardino», osserva fratel Alfredo. Nostalgia di un paradiso perduto, che può coincidere con l'infanzia. Così nelle bianche «Calle» in vaso di Margherita Costantino (madre della curatrice), vive il rimpianto del giardino della sua infanzia e adolescenza. Più evidente il simbolismo in «Metamorfosi vegetale» di Eugenio Colmo, noto come «Golia», che dietro le linee stilizzate di un fiore fa emergere ironicamente un volto femminile. Tra gli altri "fiori" ricordiamo le «Rose» liberty di Giulio Casanova, noto ai torinesi come autore delle decorazioni del caffè Baratti&Milano, le suggestive «Rose azzurre nel borgo antico» di Elsa Lagorio, che si aprono sullo sfondo del borgo ligure di Bussana Vecchia, presso Sanremo, ripopolato da una colonia di artisti dopo l'abbandono causato da un terremoto. Vi possiamo leggere il desiderio dell'artista di trovare pace e stabilità, rifugio dalle tempeste della vita.

I giardini veri e propri rivestono sembianze diverse, dal giardino-labirinto come «Villa Silvio Pellico a Moncalieri» di Xavier de Maistre ai giardini interiori ricchi d'incanto, come «Ci sono fate nel mio giardino», di Fernando Eandi. Giardino che diventa rifugio gozzaniano in Guido Bertello, nell'ironico intreccio tra vitalità e malinconia che caratterizza le sue «Aspidistre», mentre la visione di Sandro Lobalzo è ispirata al giardino leopardiano, in cui tutto è sofferenza.

Qualcosa di misterioso anche in paesaggi familiari, come in «Quel faggio rosso alla Tesoriera» di Lia Laterza o nel bassorilievo in terracotta «Conversazione in giardino» di Giovanni Taverna. La mostra rende omaggio a Giacomo Soffiantino, scomparso quest'anno, con «Nel parco», stampa da lastra incisa.

Ma il tema ricorrente, sotterraneo o palese, è quello dell'Eden o del paradiso perduto. Lo incontriamo in «Adamo ed Eva e il serpente» di Marina Mavian, veneziana di origine armena che in si rifà alla «Bibbia armena di Sultania», Persia del 1341, come pure nella «Favola n. 2» di Adriano Alloati, una scultura in cui due figure librate in volo sembrano sfidare le leggi fisiche. Opere che rimandano alla nostalgia di una perfetta innocenza e felicità perdute, che potranno essere ritrovate al di là del tempo. Così se un altro scultore, Mario Giansone, disegna in forma stilizzata il leone che azzanna il capride, nell'eleganza delle linee sembra alludere a un tempo futuro in cui i leoni pascoleranno con gli agnelli, secondo la speranza che si ritrova sia nella Bibbia (Isaia), sia nella letteratura latina (Virgilio), che nelle religioni orientali.

Tra le rarità in esposizione, i disegni dell'architetto Enzo Venturelli, che nel 1957 progettava «Edifici del futuro o spazi aperti», caratterizzati da giardini pensili e passaggi pedonali aerei a risolvere il problema dell'eccessiva occupazione del suolo. Anche questa, in fondo, un'utopia per riconquistare un Eden perduto.

La mostra «Egli creò il giardino del Tempo e dello Spazio (Giami, Persia, XV sec.). Opere di 70 artisti» è aperta fino al 19 ottobre al Collegio San Giuseppe (via San Francesco da Paola 23) a Torino. Orario: lunedì- venerdì dalle 10 alle 12 e dalla 16 alle 18. Ingresso libero.

Gianna Montanari



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