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Una Carta che non va oltraggiataLa Costituzione è come lo scheletro, la struttura portante di uno Stato: essa contiene ed esprime i principi generali; le regole fondamentali (tra cui, più fondamentale di tutte, quella sulle modificazioni: per l’Italia è l’art. 138); i valori costitutivi, sui quali si è formata nella storia la cultura sociale e politica di una Nazione; i rapporti dei cittadini tra loro e con lo Stato; i diritti e i doveri riconosciuti e richiesti loro. Ai tempi di Giorgio La Pira si diceva e scriveva che la Costituzione è «l’architettura dello Stato». Ma la Costituzione è altresì l’immagine di una società: per questo deve durare. Quanto più è stabile una Costituzione, tanto più è solida e coesa la società che essa regola e manifesta: la Costituzione degli Stati Uniti d’America risale al 1774; la Confederazione svizzera ha avuto per due secoli la stessa Costituzione, e soltanto pochi lustri fa l’ha cambiata, in concomitanza con il varo delle nuove Costituzioni dei singoli Cantoni, diventati Stati. Si possono cambiare i meccanismi e gli strumenti (e per questo ci sono le leggi ordinarie) e si possono altresì cambiare le strutture delle istituzioni e i rapporti fra di loro (e per questo ci sono le regole esplicitamente previste dalle Costituzioni per le proprie modifiche). Ma è un grave errore travolgere, con i mezzi, anche i fini. Fra i valori costitutivi ce ne sono alcuni che riguardano la persona, i suoi diritti, le sue aggregazioni (come la famiglia); altri che riguardano la società e i suoi meccanismi, lo Stato e i suoi poteri: i principi dei rapporti fra i poteri dello Stato (come per es. la separazione fra potere legislativo, esecutivo, giudiziario: oggi si direbbe fra politica e magistratura) risalgono al 1748, anno di pubblicazione dello «Spirito delle leggi» di Montesquieu. Ma il principio fondamentale, il valore veramente costitutivo, nella specie, della Costituzione italiana è quello del bene comune. L’errore capitale del costituzionalismo liberale (che pure ha avuto tanti meriti e costituisce il nucleo portante delle nostre democrazie) è di aver pensato e lasciato pensare che il bene comune non fosse altro che la somma aritmetica dei beni particolari: non è così, come ben sanno tutti quanti hanno vissuto nella storia le dolorose e spesso violente manifestazioni delle diverse “questioni sociali”. Il bene comune è, anch’esso, un’architettura, un progetto. In Italia la Costituzione repubblicana esprime questo concetto con diversi modi: «doveri di solidarietà» (art. 2); «uguaglianza» (art. 3); «partecipazione» (art. 3); «concorso al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4); «metodo democratico» (art. 49), e così via. Tutto ciò è riassunto in quell’espressione, quasi sempre ignorata ma sempre presente nei tribunali, «la legge è uguale per tutti». La Costituzione è uguale per tutti. E’ uguale per tutti lo spirito della Costituzione, che non è un giocattolo fatto con il Lego, che si può smontare e rimontare a piacere, ma è un soggetto unitario costruito su complessi e articolati equilibri per cui se si toglie anche solo un meccanismo si deforma e stravolge tutto; ancora la Costituzione è la legge delle leggi, e la Corte costituzionale non è certo un organismo politico, ma è il supremo garante della legalità costituzionale per tutti e per ciascuno. E uguale altresì per tutti è la cultura della Costituzione, i suoi valori, i suoi tempi, le ragioni storiche che vi hanno portato in un momento di estrema tensione (nel bene e nel male) della Nazione. Non può non essere uguale per tutti il rispetto per la Costituzione: per i valori e i principi, che richiedono stabilità e unità; per le istituzioni, che solo così possono garantire imparzialità per conseguire il bene comune; per i meccanismi, che garantiscono legalità anzi ne sono la fonte. La Costituzione si può cambiare, ed essa stessa stabilisce all’art. 138 il giusto procedimento: ma ci vuole rispetto e senso del bene comune. Tutte le volte che, per ragioni o interessi personali, si attacca la Costituzione, si va contro tutto ciò e si rischia di uscire dai solchi della democrazia. Intendiamoci: non è cosa che possa fare la gente normale, che possano fare i cittadini consapevoli dei diritti, ma altresì rispettosi dei doveri. Anzi: per loro la Costituzione è un riparo, una garanzia. Ci sono però quelli per i quali le norme, i poteri, le istituzioni sembrano essere un ostacolo, un inutile fardello. I potenti, i (pre)potenti, quelli che se non va bene la legge la si travolge o, se proprio non ci si riesce, si cambia e se ne fa una nuova. Quelli per i quali il bene comune è una variabile del proprio, e la legge sono loro stessi. Luigi XIV diceva orgogliosamente l’êtat c’est moi, e aveva ragione, essendo il sovrano assoluto di uno Stato assoluto. Ma oggi no: negar e il valore del bene comune e la “strumentalità” delle istituzioni rispetto ai valori e ai diritti dei cittadini è negare la democrazia. Se l’insofferenza per la democrazia e per le regole dilaga, con pericolosissimi esempi (chi ha detto che evadere le tasse può essere una necessità, è responsabile almeno in parte della diffusione dell’elusione e dell’evasione fiscale) ciò che viene non è una democrazia migliore, ma non può che essere una profonda crisi del bene comune. Ci pensino tutti quei politici che credono di potere attaccare a man salva la Costituzione. Gianfranco Garancini
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