La "guerra santa" contro l'umanità

Da anni, in particolare dall’11 settembre del 2001, giorno tragico per le “torri gemelle” di New York, ogni gesto di violenza, ogni attentato terroristico nell’Occidente (come in Medio Oriente e in Asia) che si debba attribuire al fondamentalismo islamico, non lascia inespresso un giudizio amaro su una morale di origine religiosa che non sembra nutrire nessun rispetto per la vita umana: né quella dei “nemici”, né quella dei propri “martiri”, quegli “eroi” che si fanno saltare in aria per uccidere contemporaneamente decine di persone innocenti.

Anzi. Come è avvenuto immediatamente dopo l’assalto sanguinoso al grande centro commerciale Westgate di Nairobi, capitale del Kenya, il gruppo responsabile della strage, Al Shabaab, colluso con Al Qaeda, ha rivendicato l’impresa e ha fatto conoscere a tutto il mondo via twitter i nomi dei diciassette terroristi, le loro provenienze nazionali, soprattutto in Paesi occidentali, e addirittura sei dagli Stati Uniti (cresciuti nella comunità somala emigrata in Minnesota all’inizio della sanguinosa guerra civile-religiosa-tribale nella loro terra) e la loro assoluta obbedienza al principio della jihad (la guerra santa) che comanda l’eliminazione fisica dei “nemici”, gli ebrei e i cristiani. (Ma anche, come è noto fin dagli esordi dell’islamismo nel settimo secolo dopo Cristo, dei presunti “eretici”, a turno sunniti o sciiti e le loro numerose propaggini).

 Così si spiega l’attenzione degli attentatori di Nairobi a distinguere i visitatori del Westgate fra musulmani e uomini, donne bambini di altra religione o nazionalità, ponendo loro domande in lingua araba: i primi da lasciare uscire prima della sparatoria e del lancio di bombe; i secondi da esporre al massacro. Così si spiega anche l’operazione dei due kamikaze che si sono fatti esplodere uccidendo domenica scorsa settanta fedeli in uscita dalla messa dalla chiesa anglicana di Ognissanti di Peshawar, in Pakistan.

Sia qui che a Nairobi, la motivazione è stata la stessa: una vendetta, un’intimidazione all’Occidente e ai suoi alleati. In Kenya Al Qaeda, guidata da Al Zawahiri dopo l’eliminazione di Osama bin Laden, ha dato al gruppo dei giovani somali Al-Shabaab il compito di rispondere barbaramente all’invio di quattromila soldati kenioti in una regione di confine della Somalia, liberandola dagli estremisti che stanno distruggendo quel Paese (come ha raccontato efficacemente la scorsa settimana su questo giornale Riccardo Graziano); in Pakistan è stato precisato dal gruppo attentatore Jundallah che lo scempio anticristiano di Peshawar è stata la risposta alle incursioni dei “droni” (gli aerei da caccia senza piloti stanziati in Afghanistan dagli americani) contro i centri abitati dai talebani.

Domenico Quirico, fra i molti, sta sostenendo che la Terza guerra mondiale è cominciata, fra l’islam e l’Occidente. Può darsi. Camille Eid ha scritto su «Avvenire» di domenica scorsa: «Al-Qaeda cambia faccia in Africa. Non più piccoli attentati compiuti da “lupi solitari”, ma attentati in grande stile. L’organizzazione terroristica ha nel continente tre nomi: Aqmi, ossia Al-Qaeda nel Maghreb islamico, Boko Haram e al-Shabaab, che operano rispettivamente in Nordafrica, Nigeria e Somalia. Tra i tre gruppi vi è un’alleanza di intenti».

Il tutto, secondo le «linee guida per la jihad» tracciate da Ayaman Zawahiri, al quale preme di «dissanguare economicamente l’America»: e Obama se ne è accorto, quando ha chiuso una ventina di ambasciate in giro per il mondo ovunque siano immaginabili attentati di estremisti islamici, e ha consigliato ai cittadini statunitensi di non andare più a passare le vacanze in un Paese a maggioranza musulmana.

La morale di cui parlavamo all’inizio può essere questa: per tutte queste tragedie provocate apertamente dal terrorismo non esiste la minima condanna da parte di una qualsiasi autorità religiosa islamica, sebbene soprattutto in Europa le chiese cristiane non si diano tregua nel cercare il “dialogo” interreligioso. I pochi intellettuali arabi, o occidentali “convertiti” a Maometto, che scrivono in materia, si tengono alla larga da giudizi critici verso gli attentatori. C’è dunque poca speranza per il futuro del mondo, esposto a una nuova universale “umma” almeno fra l’Atlantico (gli arabi occuparono Spagna e Portogallo per secoli), il Mediterraneo e l’Oceano indiano?

Per fortuna, é di questi giorni una notizia importante e significativa: un tribunale del Cairo ha deciso di «vietare le attività dei Fratelli musulmani e di ogni istituzione che ne derivi o riceva assistenza finanziaria da essi», e ha disposto la confisca dei loro beni. La Fratellanza, fondata nel 1928 per sottrarre in nome del Corano l’Egitto e altri Paesi mediorientali alla colonizzazione europea, è stata vietata dal 1948 dal 1952 da re Faruk, poi da Nasser nel 1954, ed è rimasta tale con Mubarak fino al 2011, quando ha avuto un forte successo elettorale in seguito alla rivoluzione della “primavera araba”. Ha governato per un anno sotto la guida di Muhammad Morsi, non troppo “laico” per i giovani egiziani in ribellione, e destituito lo scorso 3 luglio dal colpo di Stato del generale Al Sisi, appoggiato sia dei fedeli di Mubarak (condannato all’ergastolo ma oggi fuori dal carcere) e da tutti i partiti “democratici” e “riformatori”, che riconoscono nei Fratelli Musulmani il rischio di un estremismo religioso fondamentalista in grado di inimicarsi ancora di più l’Occidente, che resta, con i suoi turisti e le sue imprese commerciali, l’unica fonte di lotta alla miseria di un popolo ricco di storia, ma povero di risorse come quello egiziano.

Beppe Del Colle



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