Ballestrero, com'era

Un grande Padre della Chiesa e un autorevole Pastore, figlio del Concilio: è il ritratto “veritiero” del card. Anastasio Ballestrero, Ocd, arcivescovo di Torino dal 1977 al 1989, tracciato dal suo segretario, padre Giuseppe Caviglia, nel libro-intervista con Paola Alciati pieno di “rivelazioni” e novità importanti dal titolo «Un’ombra che non fa ombra» (Edizioni Ocd, giugno 2013).

Anzitutto sui rapporti col suo predecessore, padre Michele Pellegrino, il vescovo della «Camminare insieme»: diversi fogli della destra conservatrice presentarono padre Ballestrero, “promosso” da Paolo V dalla cattedra di Bari, dopo essere stato per dodici anni superiore generale dei Carmelitani scalzi, come il «liquidatore» del «vescovo che ha fatto strada ai poveri». Nulla di più falso. Racconta padre Caviglia nella ricca intervista di Paola Alciati: «Il padre venne a sapere che il card. Michele Pellegrino si stava preparando a trasferirsi, dopo l’entrata del nuovo arcivescovo, in una casa a Roma messa a disposizione da un istituto secolare a lui molto caro… Con molta fermezza pregò padre pellegrino di fermarsi in diocesi, in qualunque posto avesse voluto… Altrimenti avrebbe rimesso nelle mani del Santo padre la sua nomina ad arcivescovo». Il card. Pellegrino fu toccato da questa grande umanità, e rimase, prima a Vallo, poi, nella malattia, al Cottolengo, mantenendo sempre rapporti di grande stima e amicizia con il suo successore, perché «il vescovo passa, la Chiesa resta», come ebbe modo di confermare lo stesso Ballestrero nella consegna del pastorale al nuovo vescovo, il card. Saldarini, nel gennaio 1989.

Pagine inedite anche nei rapporti con Giovanni Paolo II, soprattutto nel periodo di presidenza della Cei, dal 1979 al 1985, in un periodo politico, sociale e religioso molto complesso; padre Ballestrero si muoveva in una linea pastorale di riconciliazione nella Chiesa e nella società; nel Convegno di Loreto non mancarono contrasti con la posizione politica di Comunione e liberazione e il presidente della Cei, con molta franchezza, non nascose al Papa i suoi dubbi sul ruolo assunto dal movimento. Giovanni Paolo II apprezzò sempre l'arcivescovo di Torino, anche per il suo «coraggio» intellettuale, al servizio della Chiesa (nell’intervista di padre Caviglia, oggi frate a Torino nella “rinata” comunità carmelitana di Santa Teresa, ci sono molti fatti che meritano di essere approfonditi).

Nei dodici anni trascorsi a Torino padre Ballestrero, che non amava come papa Francesco il “lusso” ecclesiastico, anche negli abiti, s’impegnò molto per l’unità della Chiesa che, alla sua nomina, colse divisa tra innovatori e conservatori e, anche nel clero, tra “verticali” e “orizzontali”; nella vita sociale e civile fu uomo del dialogo con le istituzioni, a cominciare dal sindaco Diego Novelli, con un particolare impegno nella lotta al terrorismo. Fu sua l’idea di “invitare” a Torino il Papa, nello storico 13 aprile 1980, per esprimere coralmente, dal sagrato della Gran madre, il «no» al terrorismo sanguinario insieme alla certezza che il bene avrebbe prevalso. Quel grido, «Torino non avere paura», risuona oggi nelle coscienze di tutti, laici e credenti.

Il Padre ebbe anche i suoi problemi: dopo l’Ostensione della Sindone nel 1978, le prove scientifiche con il carbonio 14 non avvennero nel pieno rispetto dei programmi preparati dal prof. Gonella del Politecnico di Torino; secondo padre Caviglia «… anche la massoneria ci ha messo lo zampino!».

Sempre fedele alla sua vocazione religiosa, all’intensa vita di preghiera dei carmelitani, anche nella lunga malattia a Bocca di Magra, padre Ballestrero è oggi ricordato a Torino, nel centenario della sua nascita, con l’immagine significativamente tracciata da mons. Guido Fiancino, vescovo ausiliare: «… Uomo, prete, religioso, vescovo saggio, profondamente spirituale, attento e buon conoscitore delle persone, tessitore di unità, capace di portare l’attenzione sull’essenziale, La sua spiritualità non era mai disgiunta da un forte realismo, carico di buon senso…».

Chi ha sperato nello scontro Pellegrino-Ballestrero è andato deluso; lo spirito del Concilio (padre Ballestrero lo aveva seguito come Superiore dei Carmelitani scalzi) ha continuato a permeare la vita di Torino e della sua diocesi.

Mario Berardi



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