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In dialogo con la FedeSu «la Repubblica» dell’11 settembre è stata pubblicata la lettera con la quale papa Bergoglio ha risposto ad Eugenio Scalfari, il quale, in due precedenti articoli di luglio e agosto, sempre dalle colonne di «Repubblica», aveva posto alcune domande al Papa in seguito all’uscita della sua prima enciclica. Dallo scritto di papa Francesco si possono trarre alcune riflessioni riguardo lo stile, il contenuto e il mezzo da lui scelto. Con affabile cortesia il Papa si rivolge al «pregiatissimo dottor Scalfari» e questo rispetto annunciato nelle forme non viene tradito dai contenuti della lettera. «Il credente non è arrogante», dice papa Francesco, «al contrario, la verità lo fa umile». Precisamente con questo stile di umiltà e disponibilità al dialogo, il papa si rivolge al giornalista che, interpellandolo, dichiara di essere «non credente» e che «non cerco Dio», anche se «sono da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth, figlio di Maria e Giuseppe, ebreo della stirpe di David». Francesco, si firma semplicemente così, raccoglie l’invito al dialogo indicandone nella sua lettera i motivi. Primo, perché fra credenti e non credenti, dopo secoli di scontri, «è venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro». Secondo, perché «questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile». In tutta la sua lunga lettera, il Papa non deflette mai da queste urgenze che segnala. In primo luogo alla comunità ecclesiale, papa Francesco indica nel dialogo l’arte necessaria per i tempi e per vivere le esigenze intime della propria fede. Dialogo che il Papa stesso mostra possibile nella sobrietà e mitezza nei toni, nel rispetto della persona e delle posizioni dell’interlocutore, pur nella chiarezza delle proprie. Acutamente Marco Politi, dalle colonne de «Il fatto quotidiano» del 12 settembre, osserva che il Papa «mentre risponde con affettuosa cortesia all’”egregio dottor Scalfari”, scavalca i termini stessi di una disputa all’antica tra l’Illuminista e il Gesuita, tra il Razionalista e il Tomista o il seguace di Sant’Agostino». Lo stile di papa Francesco sembra essere, dunque, l’attuazione più concreta delle parole di san Pietro, dove raccomanda ai cristiani di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con retta coscienza» (2 Pt 3,15-16). Il Papa non esita a dare ragione della propria speranza. «La fede, per me», dice, «è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza». Quando poi espone chi è Gesù e perché ha plasmato la sua esistenza, papa Francesco va al nucleo, riprendendo la tradizione della catechesi apostolica nei contenuti (l’incarnazione, la passione e la resurrezione; la misericordia di Dio) e appellandosi al Vangelo di Marco, noto, non a caso, come il vangelo dei Catecumeni. Il contenuto, dunque, è il «Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1), narrato senza temere di fare sobri accenni autobiografici che rendono anche testimoniali le sue parole. La dimostrazione, alla comunità ecclesiale, che stile e contenuto sono efficaci, viene dalle parole di un altro attento osservatore laico. «La fede di Bergoglio è interamente centrata sulla figura di Gesù di Nazareth. Un discorso teologico e cristologico dogmaticamente ineccepibile, formulato con una intensità umana che è la forza comunicativa e pastorale vincente di questo Papa» (Gian Enrico Rusconi, «La Stampa», 12 settembre). Per rispondere a Eugenio Scalfari, papa Bergoglio ha scelto di indirizzare la propria lettera a quello stesso giornale dalle cui colonne era stato interpellato. Notoriamente un giornale che non risparmia critiche alla Chiesa e che su molte questioni sostiene posizioni diverse da quelle del Magistero. Il Papa, e lo ha dimostrato in molte altre occasioni, non teme il rapporto diretto con le persone. Non lo teme, anzi lo cerca, passando fra la folla nelle piazze e toccandola o lasciandosi toccare. Non lo teme, anzi lo cerca, entrando nelle moderne piazze delle idee che sono i giornali e il vasto e affascinante mondo di internet e dei social media. A questo aspetto le comunità ecclesiali non possono non porre attenzione. È un’indicazione di metodo. Giornali cartacei e media sono veicoli efficaci di comunicazione e confronto delle idee. In termini pastorali, possono diventare uno strumento di annuncio e testimonianza del Vangelo, anche se di essi vanno valutati realisticamente limiti e potenzialità. Sono la grande piazza dei tempi moderni che, però, non sostituiscono il rapporto personale. Difficilmente si può pensare che giornali e media possano provocare conversioni. Il cammino spirituale di ciascuno è personale e, se si dà il caso, va sostenuto nel rapporto di dialogo individuale. Tuttavia, come ha dimostrato la lettera del Papa, soprattutto con i dibattiti e le discussioni che a seguito di essa si sono sviluppati, essi possono essere strumento utile per «rendere ragione della speranza che è in voi». Marco Fracon
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