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La famiglia da riportare sopra tutto«Restituzione»: è questa la parola chiave della 47ma Settimana sociale dei cattolici italiani che chiedono di restituire alla famiglia la dignità e il ruolo che le spettano. Ne è convinto il presidente del Consiglio, Enrico Letta, che venerdì scorso a Torino davanti alla platea di 1.300 delegati provenienti da tutte le diocesi italiane, si è preso un impegno importante: «Presenteremo la riforma dell’Isee per garantire più equità per chi ha più figli e il Piano nazionale della famiglia. Proseguiremo nella realizzazione del diritto allo studio e stiamo preparando un nuovo Piano casa per i giovani. Le famiglie hanno pagato un prezzo troppo alto alla crisi: è arrivato il momento di rimettere mano al welfare». «Restituire» per Stefano Zamagni, ordinario di Economia politica all’Università di Bologna, è un «dovere morale», perchè le famiglie in questi decenni hanno dato allo Stato di più di quello che hanno ricevuto: «La famiglia è un’impresa, vale il 25 per cento del Pil, ma nessuno lo dice. Anzi, tanto maggiore è il riconoscimento che si dà alla famiglia, tanto minori sono le politiche in suo favore: l’Europa investe l’8 per cento della spesa sociale sulla famiglia, noi il 4, eppure siamo l’unico che le dedica ben tre articoli della Costituzione. Il nostro Paese si conferma pieno di contraddizioni». Le famiglie hanno salvato l’Italia, ha detto Letta. Ma non sono riconosciute, ha ricordato Zamagni. Il monito lanciato dalla 47ma Settimana sociale è chiaro: un Paese che non riconosce il valore della famiglia intesa non solo come «luogo degli affetti, ma come impresa e architrave della società» uccide la speranza del futuro. Da qui la richiesta di riportare le famiglie al centro dell’agenda politica del governo, perché è anche da loro che il Paese può ripartire. Basta piangersi addosso e basta anche alla logica del “chiedere con il cappello in mano”. Anche perché non serve: il Fondo per le politiche famigliari non ha fondi, hanno ricordato associazioni e movimenti cattolici. Ci vuole allora un Paese che riconosca il «valore della famiglia» e poi lo vada a «difendere in Europa», dove si sta mettendo in discussione la forma fondamentale di convivenza. Letta nel suo lungo intervento, più volte applaudito, ha ricordato che in questi anni le famiglie italiane hanno funzionato da «ammortizzatori sociali» e grazie a loro l’impatto della crisi «è stato meno invasivo rispetto agli altri Paesi europei». Ma ha anche ammesso che ne sono uscite «molto affaticate». Da qui l’impegno per ridisegnare un nuovo welfare, senza però mai dimenticare «l’enorme peso del debito pubblico», che in Italia si mangia il futuro e richiede a chi governa un «surplus di credibilità»: «Noi non dobbiamo dare sempre l’idea di essere un Paese sull’orlo di un vulcano in ebollizione», ha aggiunto amaro, guardando agli investitori stranieri. Poi, rivolgendosi ai quaranta-cinquantenni di oggi, figli del boom economico degli anni Sessanta che conoscono tutte le difficoltà di essere genitori in piena crisi economica, Letta si è abbandonato a una testimonianza nella doppia veste di premier e papà: «Ho accompagnato i miei figli a scuola, mercoledì scorso, e mi si è stretto il cuore pensando che gli edifici e le aule dove trascorrono la maggior parte del loro tempo non sono degne dell’altissimo compito al quale sono chiamate: la formazione e la crescita delle nuove generazioni, cioè il futuro del nostro Paese. E’ scandaloso». Parole lontane dalla retorica (e infatti hanno strappato un lungo applauso), parole di preoccupazione di un padre che da premier sa che ai suoi figli non può garantire le stesse opportunità che ha avuto lui, perché il debito pubblico («Un vero incubo per chi governa oggi», ha detto Letta) e il peso del risanamento economico non lo permettono. Ma è sulla lettura del grande dramma dell’Italia che Letta è volato alto, ammettendo una verità che tutti conoscono, ma pochi hanno il coraggio di dire: «Sapete qual’è l’angoscia quando mi interrogano sul futuro del mio Paese? Essere una società sterile, che non fa figli e perde la scommessa più importante: quella sulla vita». Una scommessa che rischiamo davvero di perdere se guardiamo impotenti agli scenari demografici per il prossimo futuro illustrati da Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Scienze statistiche a Milano Bicocca. Un Paese sempre più vecchio, con le culle vuote e molti giovani costretti a emigrare in cerca di lavoro. «Se qualche anno fa si è già assistito al “sorpasso dei nonni sui nipoti”», ha detto Blangiardo, «gli ultra 65enni hanno superato i residenti con meno di vent’anni, nel prossimo futuro assisteremo al “sorpasso dei bisnonni sui pronipoti”: a partire dal 2028 la popolazione con più di 80 anni sarà più numerosa di quella con meno di 10 anni». Con un dato su tutti: nel 2065 gli over 95 saranno 1 milione e 250 mila. Non basta. Dal 2007, ha ricordato Blangiardo, l’Italia ha un tasso di natività così basso («Il desiderio dei giovani è di 2,2 figli a testa, ma in realtà ne nascono solo 1,4…») da considerarsi sotto la soglia del ricambio generazionale. E bisogna diffidare di chi racconta che gli immigrati risolvono il problema, perché imparano presto: a Milano le loro culle sono già vuote. Sul fronte delle famiglie poi le cifre sono da allarme rosso: «Nei prossimi vent’anni aumenteranno quelle formate da una sola persona (nel 2031 supereranno gli 8,2 milioni, un milione in più rispetto ad oggi) e le coppie senza figli saliranno fino a 6,4 milioni. Quelle con figli imboccheranno il sentiero della decrescita che le porterà a una perdita di circa 400 mila unità. Crescerà inoltre il numero dei nuclei con un solo genitore, raggiungendo nel 2031 circa 2,5 milioni di unità». Se l’Italia è un malato grave, la cura è in quel Piano nazionale della famiglia approvato nel 2012 e in attesa di riforma. Nell’attesa, per non perdere la «scommessa sulla vita» il professor Zamagni invita tutti a riconoscere una semplice verità: la famiglia non è un fatto privato, nemmeno un fatto pubblico, ma un bene comune. Dice l’economista: «La famiglia non riceve quello che le spetta: è un’impresa che produce un valore equivalente a 750 miliardi di euro di lavoro, che però non si vedono perché non entrano nel mercato, e così quando si taglia è la prima che finisce colpita». Di fronte all’ipocrisia del Paese e all’immobilismo di tutti i governi Zamagni avanza tre proposte concrete da attuare subito. Primo, il fisco. «Nel 2012 è stato approvato il Piano nazionale della famiglia, una scatola vuota che va riempita. Come? Chiediamo che sia riconosciuto il “fattore famiglia”, che potrebbe funzionare sia sul piano fiscale che normativo. La laicissima Francia ha il quoziente famiglia dal 1945, noi stiamo ancora aspettando». Secondo, l’assetto istituzionale. «Ci sono provvedimenti a costo zero che avrebbero un impatto fortissimo: l’istituzione della Giornata della famiglia il 15 maggio, in Europa c’è, da noi no; e poi il “distretto famiglia” sul modello del distretto industriale, una sorta di alleanza a livello territoriale attiva per ora solo in alcune regioni come Trentino, Veneto, Toscana, Emilia Romagna; e ancora il “marchio famiglia”, un bollino blu di qualità da dare alle imprese virtuose, amiche dei genitori con figli per via di orari di lavoro, congedi parentali, attenzione alle donne». Se la famiglia è anche un’impresa, come tale va considerata: c’è bisogno allora di una «no tax area» determinata in base al numero dei componenti. Oggi succede il contrario: quando si devono pagare le tasse, avere più figli penalizza; quando invece si parla di entrate, allora il numero dei figli diventa ininfluente. Spiega Zamagni: «Per il terzo figlio, il parametro Isee sale da 0,37 a 0,39, briciole. Invece nella definizione della Tares, la tassa sui rifiuti, il terzo figlio pesa moltissimo». Ed è uno scandalo, soprattutto alla luce del fatto che nel futuro la famiglia peserà moltissimo nella sopravvivenza stessa del “sistema Paese”. «La famiglia come istituzione», sostiene Zamagni, «è destinata a tornare al centro dell’attenzione, sia a livello politico che culturale. In primo luogo perché il passaggio dal welfare state, fondato sull’individuo, alla welfare society, basata sul nucleo familiare, riporterà in auge la famiglia, e in secondo luogo perché anche il mondo imprenditoriale l’ha riscoperta, come fattore decisivo per la competitività e l’innovazione». Se la famiglia salverà il Paese, ha concluso Zamagni, dobbiamo prenderci cura di lei, cominciando a restituirle quello che negli anni le abbiamo tolto. O non le abbiamo mai dato. Cristina MAURO
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