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Uomo e donna: l'unica garanzia«Coraggio, avanti su questa strada della famiglia». All’incitamento di papa Francesco, pronunciato domenica 15 settembre all’Angelus da Roma, l’assemblea del Teatro Regio di Torino risponde con un applauso scrosciante e convinto per una missione che la 47ª Settimana sociale ha accolto con una passione che sottolinea «il grande impegno della Chiesa italiana con le e per le famiglie». Anche se, e non da oggi, le famiglie sono costrette a fare i salti mortali e a districarsi in una crisi che sembra non avere fine, la famiglia resta il «perno» su cui costruire il bene comune e la ripresa dell'Italia. Un popolo che non si prende cura delle famiglie, degli anziani, dei bambini e dei giovani, non ha futuro perché ignora la sua più grande risorsa e perché maltratta la memoria e la promessa. È il forte messaggio che il Papa e la Settimana di Torino lanciano a un popolo sofferente, a un’opinione pubblica frastornata, a una classe politica timorosa di scelte strategiche, a una cultura isolata nei meandri dell’individualismo e del radicalismo. Il compito è quello di promuovere, al di là dei pregiudizi e degli steccati ideologici, «una famiglia fondata sul matrimonio» perché questo «è un debito di speranza verso il Paese, in particolare verso i giovani». Papa Francesco, in un messaggio non formale, cita la Gaudium et spes, il documento più pregnante del Concilio, e quella «Bibbia laica» che è la Costituzione italiana, la quale all’articolo 29 sancisce: «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». I cattolici sanno bene, con il Papa e i vescovi, che la famiglia è «ben più che un tema: è vita, tessuto quotidiano, cammino di generazioni che si trasmettono la fede con l’amore e i valori morali fondamentali, solidarietà concreta, fatica, pazienza, progetto, speranza e futuro. Tutto questo diventa lievito nella pasta della società. La famiglia rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo». Nella crisi economica più spaventosa che l’Italia affronta dal secondo dopoguerra, i motivi di sofferenza sono molteplici, a cominciare dal «problema demografico, grave per tutta Europa e in modo particolare per l’Italia»; la mancanza di lavoro, il problema della casa, la scarsità delle risorse, le esigenze di crescita dei figli e di assistenza dei malati e degli anziani. A questo si aggiunge l’impossibilità di attuare le scelte educative, la sofferenza dovuta ai conflitti nelle famiglie, ai fallimenti dei coniugi e delle famiglie con divorzi e separazioni, alla «violenza che si annida e fa danni nelle case». Per tutti questi malanni, le ricette e i rimedi non sono a portata di mano, ma richiedono un’azione prolungata e coordinata: «A tutti dobbiamo e vogliamo essere vicini, con rispetto, fraternità e solidarietà». Le carte in tavola le mette, con un discorso di ampio e alto respiro e dai consueti toni controllati, il cardinale Angelo Bagnasco. L’arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale smonta la teoria dell’equivalenza tra una famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna e le libere unioni tra persone dello stesso sesso. Lo fa con una riflessione seria e rigorosa improntata «non a una teoria dell’equivalenza ma alla ricchezza insostituibile della differenza». Quando, con una decisione politica, «vengono giuridicamente equiparate forme di vita in se stesse differenti, come la relazione tra l’uomo e la donna e quella tra due persone dello stesso sesso, si misconosce la specificità della famiglia e se ne preclude l’autentica valorizzazione nel contesto sociale, trattando in modo uguale realtà diverse». A questo punto la famiglia si ribella perché «non può essere umiliata e modellata da rappresentazioni similari che costituiscono in modo felpato un “vulnus” progressivo alla sua specifica identità e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura garantiti dall’ordinamento». Queste sono considerazioni ragionevoli e ovvie, ma a esse un laicismo furibondo e radicale oppone motivi ideologici. Con altrettanta lucida chiarezza il presidente Cei ragiona sulla legge contro l’omofobia: «Nessuno discute il crimine e l’odiosità della violenza contro ogni persona. Tale decisa condanna dovrebbe essere sufficiente in una società civile, e nessuno dovrebbe discriminare né incriminare chi sostiene che la famiglia è solo quella tra uomo e donna fondata sul matrimonio o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura». La famiglia, si dice, è un antidoto insostituibile alla crisi e un ammortizzatore sociale formidabile. Ma per curare il malato occorre una diagnosi precisa e accurata su quanto succede «alla nostra generazione, soggetta a sempre più frequenti crisi depressive e a inedite forme di disagio sociale» perché «l’uomo di sabbia di oggi ha la testa pesante, fatica a portare avanti la vita, dubita del tragitto e del senso, scopre che gli manca la terra sotto i piedi». Il grande sogno dell’individualismo non ha tenuto e si è frantumato. In questo vuoto, «prima del sociale e del politico», c’è la famiglia, «antidoto alla crisi, unica alternativa praticabile, non invenzione stagionale». In questa vacuità resta «la roccia della differenza sessuale e generazionale». Agli ineludibili interrogativi «Che mondo lasceremo ai nostri figli? A quali figli lasceremo il mondo?» la cosiddetta «gender theory», nata negli anni Settanta, offre risposte non convincenti: rivendica un’autonomia assoluta, dichiara la fine del dato naturale, instaura il primato della preferenza soggettiva e individuale, espande l’io. Ma così emerge un carico di violenza insopportabile. Annota Bagnasco: «L’uguaglianza non consiste nel dare a tutti la stessa cosa, ma nel dare a ognuno ciò che gli è coerente». Altrettanto si dica del divorzio breve: «Rendendo sempre più brevi i tempi del divorzio, lo Stato non favorisce un’ulteriore ponderazione sulle lacerazioni» e di fatto indebolisce la coppia e la famiglia, la persona e la società. Pier Giuseppe Accornero
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