Parla Francesco: divorziati e politica

Papa Francesco ha istituito una Commissione col compito di studiare in prospettiva pastorale i problemi del divorzio e delle coppie conviventi, al di là (e insieme) al dibattuto quesito se ammettere al sacramento della comunione chi vive fuori del matrimonio religioso. Lo ha comunicato al Clero romano convocato in quella che è la sua cattedrale, la basilica del vescovo di Roma, San Giovanni in Laterano, in un raduno tradizionale che si è trasformato in un riesame e in una messa a punto della missione religiosa nelle 334 parrocchie della diocesi papale.

E si è fatto precedere, Francesco, da un importante, chiaro e pacato messaggio sul dovere dei cattolici di «immischiarsi in politica», di pregare per i politici, per tutti i politici, anche se esercitano male il loro mandato, anzi a maggior ragione bisogna sostenerli con la preghiera.

Al raduno annuale del clero romano non è prevista di solito la partecipazione del Papa, che poi concede udienza in Vaticano. Ma Francesco ci è andato, con la solita utilitaria e con una scorta minima, atteso all’arrivo dai fedeli che si sono trattenuti sul sagrato per due ore, il tempo che Francesco ha dedicato al dialogo, al botta e risposta con i sacerdoti, i parroci, gli assistenti, i vescovi titolari e ausiliari, i dirigenti delle Opere e degli organismi.

Un incontro del Padre con la sua famiglia, a porte chiuse, tanto che non ci sono stati resoconti ufficiali, per verificare ancora una volta lo stato dei fatti, domandarsi a che punto siamo, che cosa dobbiamo fare. «La Chiesa crolla?». Ecco una delle domande cruciali. Lapidaria la risposta di Francesco: «La Chiesa non è mai stata bene come oggi. Non crolla. Vive». Serve una conversione pastorale, andare verso le periferie esistenziali, tenere aperte gli edifici-chiese anche oltre gli orari, aspettare chi non vIene nelle ore tradizionali.

E’ in questo contesto che si inserisce la notizia della Commissione pastorale per i divorziati, periferia della famiglia. Non si tratta della “questio” della Comunione. L’aveva già accennato nella conferenza stampa nell’aereo al ritorno dal Brasile. Bisogna esaminare i problemi a monte. Ritrovare nuove ragioni dell’unione tra uomo e donna, puntare alla formazione, alla preparazione, alla riscoperta dell’amore per far riemergere il senso biblico della vita a due, proiettata sui figli, come aveva sottolineato nel Messaggio alla Settimana sociale dei cattolici italiani, l’evento socio-culturale dalla secolare tradizione che ha puntato forte sulla famiglia, chiedendone la tutela.

Amore in tutte le dimensioni. Chi governa, ha detto nella messa mattutina a Santa Marta, «deve amare il suo popolo. Un governante che non ama, non può governare: al massimo potrà disciplinare, mettere un po' di ordine, ma non governare». Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà. E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: «Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?. Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono». E con l’amore l’umiltà. «Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile». E i governati? I cittadini? Soprattutto se cattolici, non possono disinteressarsi della politica: «Un buon cattolico si immischia in politica», con «idee, suggerimenti», ma soprattutto «con la preghiera». «Nessuno di noi può dire: “Ma io non c'entro in questo, loro governano”. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perché loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso. La politica, dice la Dottrina sociale della Chiesa, «è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa».

Papa Francesco non rincorre l’utopia. Conosce la realtà. «C'è l'abitudine», rileva il Pontefice, «di dire solo male dei governanti e fare chiacchiere sulle "cose che non vanno bene": "e tu senti il servizio della Tv e bastonano, bastonano; tu leggi il giornale e bastonano... Sempre il male, sempre contro». Forse, concede, «il governante, sì, è un peccatore, come Davide lo era, ma io devo collaborare con la mia opinione, con la mia parola, anche con la mia correzione», perché tutti «dobbiamo partecipare al bene comune!». E se «tante volte abbiamo sentito: “Un buon cattolico non si immischia in politica”», ha concluso il Papa, «questo non è vero, quella non è una buona strada». «Un buon cattolico si immischia in politica, offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare. Ma qual è la cosa migliore che noi possiamo offrire ai governanti? La preghiera», conclude il Papa. «Diamo il meglio di noi, idee, suggerimenti, il meglio, ma soprattutto il meglio è la preghiera. Preghiamo per i governanti, perché ci governino bene, perché portino la nostra patria, la nostra nazione avanti e anche il mondo, che ci sia la pace e il bene comune».

Una Chiesa non chiusa è quella che vuole Francesco, una Chiesa dove circoli aria, che si muova, che vada incontro alla gente, che allarghi le sue braccia spiritualmente, che sia inclusiva e non esclusiva e che possibilmente apra anche le strutture materiali. Va ad incontrare i rifugiati accolti in un Centro dei gesuiti e allarga il discorso alla possibilità che conventi in declino possano essere destinati a loro. Operazione di semplicità, naturalezza, dialogo aperto su tutti i fronti.

Antonio Sassone



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