Otto secoli per un Santo

 

Ci sono molte chiese in Italia che conservano le spoglie dei santi per la venerazione dei fedeli, la più celebre è quella di Assisi per san Francesco, con i celebri cicli di affreschi medioevali, ma quella di San Domenico a Bologna in un certo qual senso la sopravanza, in quanto nel corso dei secoli, anche a causa di guerre di devastazioni, si è modificata nella sua struttura architettonica e si è arricchita di nuove opere d’arte, dal Rinascimento all’Età contemporanea.

Raccontare, attraverso un’accurata documentazione, in un solo volume, otto secoli di storia ecclesiale, politica, culturale del convento e della chiesa dei Domenicani a Bologna, non è una cosa facile per la necessità di selezionare i fatti e le opere in modo da rappresentare i momenti più significativi del costituirsi di questo patrimonio di arte e di fede.

Beatrice Borghi, ricercatrice e docente dell’Università di Bologna, si è impegnata in questa impresa, con ottimi risultati, in un volume edito da Minerva Edizioni con una premessa di fra Fausto Arici, priore del convento, ed un breve saggio di Franco Cardini. Quest’opera, con indici e sintesi dei testi anche in inglese, prepara le celebrazioni degli ottocento anni dell’istituzione dell’Ordine domenicano (2016), dell’arrivo di san Domenico a Bologna (1918), della fondazione della Chiesa stessa (2019), della morte di san Domenico (2021).

Dell’edificio primitivo romanico si conserva la facciata a capanna, con un bel rosone. L’interno era diviso in due parti, una per i fedeli e una per i frati, separate da un tramezzo con il «Crocifisso» di Giunta Pisano. La chiesa-convento di Bologna, che divenne il prototipo delle chiese domenicane nel mondo, si arricchisce nel Quattrocento di un magnifico coro ligneo con 102 stalli in noce con gli intarsi di fra Damiano Zambelli, che narrano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Sul tramezzo, che separava i fedeli dai frati, era collocato il grande «Crocifisso» di Giunta Pisano che, in coerenza con la riforma francescana, rappresenta il Cristo sofferente, modificando la tradizione bizantina del Cristo trionfante, aprendo la strada a Cimabue e Giotto. Il corpo di Cristo non è più vestito e coronato di una corona regale, perché ha vinto la morte, ma fortemente arcuato, esprime tutta sua umanità ferita a morte. La torre campanaria in stile gotico è stata costruita solo nel 1313, quando si aggiunsero da un lato della chiesa alcune cappelle laterali, modificando l’impianto dell’edificio.

Nel Seicento, in conseguenza delle norme del Concilio di Trento, fu eliminato il tramezzo, e il coro ligneo fu spostato dietro l’altare, in modo da avvicinare i fedeli ai celebranti il sacrificio della messa. Nel Settecento la chiesa fu completamente rimaneggiata in stile barocco da Carlo Francesco Dotti, che fonde i due nuclei medioevali per ampliare l’interno della costruzione. Colonne e pilastri scandiscono lo spazio scenico ed in alto nella navata centrale dieci grandi pannelli raccontano episodi e leggende dell’Ordine domenicano. La chiesa viene prolungata in un’abside circolare sormontata da una cupola, sollevata su di un alto tamburo, decorata con un grande affresco, riprodotto nel volume su doppia pagina. In questa nuova ristrutturazione a metà navata si trovano due grandi cappelle laterali, riccamente decorate, che si contrappongono a specchio: quella della «Madonna del Rosario» con quindici piccole tele che, attorno alla statua di Maria, illustrano i Misteri gaudiosi, dolorosi, gloriosi, e quella che conserva l’«Arca di san Domenico» ed ha un affresco absidale di Guido Reni, uno tra i più importanti pittori del Seicento che rappresenta Gesù e Maria che accolgono in cielo il Santo.

Al monumento funebre per san Domenico lavorarono in molti, e in diversi periodi, ma l’impostazione dell’opera è di Niccolò dell’Arca, un artista probabilmente pugliese, che era stato in Francia, e che lavorò all’Arca dal 1469 al 1473. Occorre una lettura teologica per comprendere questo monumento, perché il parallelepipedo, che contiene le spoglie del santo, e in sei pannelli, opera di Nicola Pisano, racconta la vita del santo, è sormontato in alto da una cimasa e sostenuto in basso da uno zoccolo con altri episodi, opera di Alfonso Lombardo del 1532, che è affiancato da due angeli, uno di Niccolò dell’Arca ed uno di Michelangelo. Al vertice di questa costruzione scultorea è rappresentato «Dio creatore» in piedi sul mondo, al centro della cimasa «Cristo redentore» affiancato da due angeli, quello dell’Annunciazione e quello della Passione (orto degli ulivi), ed intorno i quattro evangelisti. Subito sotto la cimasa, e appoggiate sulla cornice del sarcofago, le statue degli otto santi protettori di Bologna. Così la vita e le opere di san Domenico sono inserite nella storia della redenzione e nella storia della città dove il Santo è morto nel 1221. Alle spalle dell’Arca, sulle pareti della cappella, ci sono le statue in creta delle virtù teologali e delle virtù cardinali, opera di Giovanni Tedeschi del 1631. Rimandano alla filosofia di san Tommaso di Aquino, che sintetizza il messaggio cristiano, raccordando l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale della vita dell’uomo.

Una delle statue degli otto patroni è quella di San Procolo, un soldato romano martirizzato a Bologna, durante la persecuzione di Diocleziano, a cui in città è dedicata una chiesa costruita poco dopo il Mille, ma il cui primo nucleo risale al IV secolo e conserva le spoglie del santo. Michelangelo ventenne, a Bologna in fuga da Firenze nel 1484 a causa dei moti conseguenti alla predicazione del Savonarola, rappresenta San Procolo come un giovane snello con la toga sulle spalle. Molto interessante è il pannello del lato sinistro dell’Arca, scolpito da Nicolò Pisano, che racconta una visione del Santo durante un viaggio a Roma. San Pietro consegna un libro e san Paolo un bastone a san Domenico inginocchiato davanti a loro, poi il santo in piedi consegna questo libro ai sui confratelli. L’artista assembla i due episodi, il san Domenico in piedi è sull’asse del san Domenico inginocchiato, chiaro segno della fedeltà dell’Ordine alla Chiesa.

I quindici quadretti che illustrano i Misteri del rosario, portati a termine nel 1601, sono opera di Ludovico Carracci, Bartolomeo Cesi, Francesco Albani, Domenico Zampieri, Guido Reni, Denis Calvet e Lavina Fontana, artisti che hanno saputo raccordare il loro stile espressivo in modo da garantire una sequenza omogenea di immagini coordinate, che il volume riporta una per una, a tutta pagina, quasi a grandezza naturale. L’«Incoronazione della Vergine» è opera di Lavinia Fontana (1552-1614), figlia di un pittore manierista, e nota a Bologna per l’abilità nel dipingere ritratti. Maria dal volto dolcissimo riceve la corona dal Padre e dal Figlio mentre in un mare di luce dorata aleggia tra gli angeli la colomba, simbolo dello Spirito Santo. Lavinia Fontana sa coniugare il misticismo con il colorismo del Correggio, in una graziosità priva di sentimentalismo. Un particolare curioso: il corpo di Lavinia riposa nella chiesa domenicana di Santa Maria sopra Minerva a Roma.

In san Domenico ci sono numerose altre cappelle con quadri importanti e monumenti funebri decorati da preziose sculture, tra queste opere d’arte merita una particolare attenzione il quadro dell’artista fiorentino Filippino Lippi, alunno di Botticelli e collaboratore di Masaccio, che nel 1501 dipinge «Le nozze mistiche di santa Caterina di Alessandria» per i domenicani di Bologna. C’è anche un quadro con al centro la Vergine e il Bambino che porge a Santa Caterina l’anello sponsale simbolo delle nozze di Cristo con la Chiesa. Intorno, sotto ad un'architettura rinascimentale, diversi santi.

Il volume, che presenta con grandi illustrazioni i tre chiostri del convento, il refettorio dei frati, la spezieria, il forno, il lavatoio, la biblioteca, la sala della inquisizione, la sala del Capitolo. con gli affreschi che il pittore veronese Carlo Donati ha dipinto nel 1946, permette al lettore di immergersi nella storia della presenza dei frati domenicani a Bologna. Infine il Museo conserva preziosi reperti del passato, dai reliquiari agli affreschi staccati dalle pareti nelle diverse ristrutturazioni. Il volume, che, di fatto, è un catalogo delle opere d’arte presenti in San Domenico, è arricchito da apparati critici, ad incominciare da una dettagliatissima cronologia della vita di san Domenico e della storia dell’Ordine a Bologna. C’è l’elenco delle fonti edite ed inedite consultate ed una ricca bibliografia, che comprende anche gli articoli pubblicati in riviste. Un accurato indice dei nomi e dei luoghi citati favorisce la consultazione di un libro, pregevole lavoro di Beatrice Borghi, che dovrebbe essere presente in tutte le biblioteche.

Piero Viotto



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