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Giorgio Ceragioli "maestro di vita"Il 17 luglio 2008 moriva Giorgio Ceragioli. Classe 1930, padre di quattro figli, docente universitario, un forte impegno nel volontariato cattolico torinese. Ha soprattutto saputo trasporre nella propria attività professionale un'incessante opera a favore dei Paesi in via di sviluppo, nel segno della convivenza pacifica dei popoli. A cinque anni dalla sua scomparsa vogliamo ricordarne la passione civile e il grande spessore umano ascoltando la testimonianza di Massimo Foti, professore universitario oggi in pensione, che di Ceragioli è stato collaboratore e amico. Professor Foti, chi era Giorgio Ceragioli? Ernesto Olivero lo ha definito un maestro di vita, sottolineandone la capacità di accogliere il prossimo, di saper comprendere le altre persone, di essere dotato di una profonda umanità. Valori che contrassegnarono tutta la sua esistenza. Come lo ha conosciuto? Lo conobbi nel 1956, approdando come studente alla Facoltà di architettura, dove lui era assistente. Poi, dopo la laurea, nell'autunno del '63, divenni assistente universitario e da quel momento abbiamo collaborato insieme, lavorando fianco a fianco per tutta la vita. Ad unirci non era soltanto la comune attività didattica, ma soprattutto la condivisione di molti ideali. Mi colpiva e ammiravo in lui il fatto che trattasse tutte le persone allo stesso modo, senza alcuna barriera. Nei suoi interlocutori cercava di fare emergere l’aspetto umano, troppo spesso nascosto dietro il paravento del ruolo sociale. Le differenze tra le persone, diceva, riguardano solo aspetti superficiali, ma per le cose essenziali, quelle che veramente contano, siamo tutti uguali. E ciò mi fece capire cosa significhi essere realmente cristiani: una fede vissuta senza alcuna ostentazione, ma come fiducioso incontro con il nostro prossimo. Come si si svolse la sua carriera universitaria? Dopo la laurea in ingegneria civile preferì inserirsi nell’ambiente di architettura considerandolo probabilmente più propizio allo sviluppo delle sue idee, perché meno conformista e più aperto all’innovazione. Entrò dunque nell'ambiente accademico, partendo da assistente per giungere poi sino alla docenza, interessandosi soprattutto ai problemi dell'abitazione perché la casa doveva essere un diritto per tutti e riteneva che fosse tra i compiti dell’università fornire gli strumenti tecnici e conoscitivi per contribuire a risolvere l’annosa questione abitativa. Così si dedicò alle nuove tecnologie costruttive, svolgendo anche un’ampia opera divulgativa. E l'impegno sociale? Il suo impegno inizia nella società Vincenzo de Paoli, quindi come dirigente dell'Azione cattolica. A metà degli anni Sessanta fu l'ideatore del Comitato contro la fame nel mondo. Poi si occupò delle borse di studio per studenti asiatici e africani, ritenendo che la qualificazione tecnica e scientifica fosse la chiave più efficace per aiutare molti popoli ad uscire da una condizione di sottosviluppo. Il rapporto con i Paesi del Terzo mondo fu un suo costante interesse e da ciò presero vita la Quaresima di Fraternità, il Movimento Sviluppo e pace e l'Università della pace, coinvolgendo anche altre culture nel segno della dignità dell'uomo. Il cardinal Pellegrino, arcivescovo di Torino, lo nominò, primo laico in Italia, alla guida della Caritas diocesana. Poi vennero gli anni dell'attività al Sermig, contribuendo a fondare il mensile «Progetto», al quale collaborò per molti anni. Nel 1983 il Sermig gli conferì il premio Artigiano della pace. Aveva uno straordinario interesse per i Paesi in via di sviluppo… Contribuire alla crescita e al progresso dei Paesi in via di sviluppo fu una delle costanti passioni della sua vita. Il suo era un discorso allargato a tutto il mondo, pensando ad uno sviluppo davvero globale, con una visione culturale e ideale che si estendeva ben oltre i Paesi avanzati dell'Occidente. Questo lo portò a fare numerosi viaggi nel Terzo mondo. Non da turista, ma per entrare in contatto con realtà molto diverse dalla nostra e stabilirvi dei contatti, per avviare progetti di miglioramento abitativo, agricolo e idrico. Andò in Burundi, in Algeria, in Somalia, in Brasile. Con lo Stato paulista si stabilirono importanti legami con la nostra scuola di specializzazione. Ceragioli era convinto che le capacità scientifiche potessero aiutarci a battere il sottosviluppo, ponendo la tecnologia al servizio dell'uomo e del suo benessere. Importante fu anche l’esperienza fatta in India… Sicuramente, perchè aprì la strada ad una collaborazione con il movimento Sarvodaya (Benessere per tutti) fondato dal filosofo induista Vinoba Bhave, a favore dei contadini poveri cui veniva distribuita la terra con la creazione di fattorie comuni e cooperative di lavoro. Oggi in tutta l'India vi sono migliaia di queste realtà basate sull'autosufficenza alimentare. Ceragioli conobbe madre Teresa ben prima che fosse universalmente nota e famosa e a metà degli anni Sessanta la invitò a Torino. I viaggi in India favorirono la nascita di una sezione torinese del movimento Sarvodaya, un ponte tra culture diverse, nel nome della non violenza e del dialogo interreligioso. Come era il suo rapporto con gli studenti? Aveva verso gli studenti la massima disponibilità e me ne accorsi io stesso quando ero matricola universitaria. Negli anni della contestazione, attorno al ’68, era uno dei pochi docenti che cercavano di capire quanto si muoveva tra i giovani, discutendo con loro anche a rischio di trovarsi in disaccordo. Sapeva dare a quei ragazzi l'attenzione e il rispetto che, in fondo, cercavano. Era un professore molto legato ai suoi studenti, facendo da relatore a centinaia di tesi, specialmente sui Paesi in via di sviluppo. Un tema che aveva portato entro le mura universitarie, finendo per essere considerato, da molti colleghi, un personaggio un po' eccentrico, che si era creato una sorta di nicchia appartata. Certo era più apprezzato dagli studenti che dall'establishment accademico. Come nacque la Scuola di specializzazione di tecnologia per i Paesi in via di sviluppo? L'idea era di favorire la qualificazione e la ricerca a favore delle popolazioni dei Paesi del Terzo mondo. Venne così aperta questa scuola di specializzazione in architettura. Qualcosa di normale in facoltà come medicina, ma di assai inconsueto e innovativo in ambito tecnico. La finalità era coinvolgere giovani provenienti da tutto il mondo nello studio di nuove tecniche di costruzione. Quale messaggio ci lascia un uomo come Ceragioli? E' stato un uomo che ha vissuto lunghi anni segnato da una malattia sempre più invalidante, eppure, nonostante tutto, non perse mai la voglia di vivere e di impegnarsi per il prossimo. Davvero una lezione di vita. E poi penso alle sue idee, che si trovano nei suoi scritti, ad esempio quella di cambiare la società partendo dal basso, senza velleità estremiste ma con il personale e costante impegno quotidiano. Quella che lui chiamava la «rivoluzione dei minimi e dei modesti». Quella, insomma, delle persone come tutti noi. Aldo Novellini
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