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Il Papa della luce«La Luce della fede», «Il grande dono portato da Gesù». «Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre». Sono le prime righe della Lumen fidei, la prima enciclica di papa Francesco, scritta a quattro mani con Benedetto XVI, del quale completa la trilogia dopo le precedenti sulla carità e sulla speranza. Papa Ratzinger aveva fatto una prima stesura. «Gliene sono profondamente grato», scrive Francesco, e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi». Una Lettera che il mondo ha accolto con gioia. E’ in latino, da subito in decine di lingue e presto per molte altre. Lettera enciclica del Sommo Pontefice Francesco ai Vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e a tutti i fedeli laici. «Sulla fede». E’ il titolo di copertina. Nelle librerie è esposta in un’edizione diversa. Quasi un opuscolo. L’ha stampata l’Editrice vaticana. In testa porta «Francesco» . E al centro l’intestazione Lumen fidei. Altre quattro editrici l’hanno stampata, i giornali ne hanno fatto un inserto o ampiamente illustrata. Un libretto di 93 pagine, da tenere in tasca. Costa solo 3,50 euro. Un’enciclica dove c’è molto di Ratzinger, ma c’è tutto Bergoglio. Il teologo e il pastore. E’ la Chiesa nella sua continuità. Basterebbe questo per sconcertare gli “oltranzisti della virgola” che vorrebbero individuare dov’è la mano di Benedetto e dove quella di Francesco. C’è unità e continuità. Il magistero, la missione che si trasmettono negli anni, nei decenni e nei secoli. «Chi crede, vede», scrive Bergoglio nella prima pagina, con una franse scultorea, come è nel suo stile. «Vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo Risorto, stella mattutina che non tramonta». Enciclica a quattro mani, ma unitaria. Fatto unico nella storia. Due Papi viventi, che si stimano e si rispettano e quando si vedono si abbracciano, come in questi giorni nei giardini del Vaticano, per consacrare lo Stato a san Michele Arcangelo. Siamo di fronte a un testo straordinario, che va letto e meditato riga per riga, parola per parola. Parte dai patriarchi, da Abramo e Giacobbe, da Mosè, attraversa la storia sacra, i profeti, scandaglia i Vangeli, si appella agli apostoli e alle loro Lettere e Atti, confronta esegeti, padri della Chiesa, filosofi, scrittori, uomini di cultura di ogni tendenza alle prese con considerazioni, dubbi e opposizione alla fede in sé e alla sua concezione. E conclude con una preghiera, la preghiera a Maria: «Beata Colei che ha creduto». Una introduzione, la conclusione e quattro capitoli. Tutto in uno stile semplice, serrato, coerente, attento a culture secolari non solo bibliche e religiose, ma anche all’attualità, alla cronaca. Un testo che non solo interessa da subito i cristiani non cattolici, ma anche i seguaci di fedi monoteiste non cristiane come ebrei e musulmani, e anche coloro che si dichiarano non credenti, proclamando la supremazia della ragione e una condotta di vita nell’indifferenza e nel razionalismo, ma che pure sono alla ricerca della fede. Ed è proprio qui, in questa enciclica, che si afferma che «la fede non è un fatto privato», ma «risveglia il senso critico e amplia gli orizzonti della ragione». Né privata, né limitativa, la fede aiuta a trovare forme giuste di governo e modelli di sviluppo che «non si basino più solo sull’utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come un dono». Dalla società alla famiglia. E’ qui «il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini». Il matrimonio viene esaltato. «Penso anzitutto all’unione stabile dell’uomo e della donna nel matrimonio. Esso nasce dal loro amore, segno e presenza dell’amore di Dio, dal riconoscimento e dall’accettazione della bontà della differenza sessuale, per cui i coniugi possono unirsi in una sola carne e sono capaci di generare una nuova vita». Matrimonio che può essere per sempre. «Promettere un amore che sia per sempre è possibile quando si scopre un disegno più grande dei propri progetti, che ci sostiene e ci promette di dare, di donare l’intero futuro alla persona amata». Fondamentale nella trasmissione della fede il ruolo della Chiesa. «La fede ha una forma necessariamente ecclesiale, si confessa all’interno del Corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti. E’ da questo luogo ecclesiale che essa apre il singolo cristiano verso tutti gli uomini. Una Chiesa purificata e riformata farà ravvivare la fede. Tutto, dunque, ispira fiducia nel futuro, un futuro che si prospetta vicino. Ci si chiede tuttavia, e se lo chiedono il Papa emerito e il Papa attuale nell’enciclica, se veramente la fede può essere recepita ai nostri giorni. Oggi e nei secoli precedenti, ossia nei «tempi moderni», la cultura dominante ha finito per associarla «al buio». Fede uguale oscurantismo, per proclamare la ragione. «Si è pensato che una tale luce (ossia quella della ragione) potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l’uomo diventato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro. In questo senso la fede appariva come una luce illusoria che impediva all’uomo di coltivare l’audacia del sapere». Significativo al riguardo è il riferimento che l’enciclica fa al celebre filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, che alla sorella scriveva che «il credere si oppone al cercare». Il filosofo tedesco ha così sviluppato la critica al cristianesimo «per aver sminuito la portata dell’esistenza umana, togliendo alla vita novità e avventura». A lui e ad altri intellettuali citati, come Eliot e Martin Buber, il documento papale oppone che in questi ultimi decenni si è scoperto invece che «la luce della ragione autonoma non basta a illuminare abbastanza il futuro Alla fine esso resta nella sua oscurità e lascia l’uomo nella paura dell’ignoto. E così l’uomo ha rinunciato alla ricerca di una luce grande, di una verità grande, per accontentarsi delle piccole luci che illuminano il breve istante, ma sono incapaci di aprire la strada. Quando manca la luce, tutto diventa confuso, è impossibile distinguere il bene dal male, la strada che porta alla mèta da quella che ci fa camminare in cerchi ripetitivi, senza direzione». E’ urgente perciò, è il messaggio finale, «recuperare il carattere di luce propria della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore». Torneremmo così alla concezione dei pagani, per i quali la luce era il sole. Ma il suo raggio non squarcia la notte, «è incapace di arrivare fino all’ombra della morte. Per la fede nel sole mai nessuno si è visto pronto a morire». Il vero sole è Cristo, «i cui raggi donano la vita». Dice Gesù a Marta, la sorella di Lazzaro: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». La domanda che risuona dentro ogni uomo. Di oggi e di sempre. E la risposta è «Chi crede, vede». E così, come si è aperto, il cerchio si chiude. Nella fede. Antonio Sassone
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