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Una luce gentile su una fede veraAl cuore dell’enciclica firmata da papa Francesco vi è l’evocazione di alcune figure evangeliche che sono ben più che parte dell’elenco necessario di citazioni ed evocazioni bibliche: i Magi! Il testo dice così: «Immagine di questa ricerca sono i Magi, guidati dalla stella fino a Betlemme (cfr Mt 2,1-12). Per loro la luce di Dio si è mostrata come cammino, come stella che guida lungo una strada di scoperte. La stella parla così della pazienza di Dio con i nostri occhi, che devono abituarsi al suo splendore. L’uomo religioso è in cammino e deve essere pronto a lasciarsi guidare, a uscire da sé per trovare il Dio che sorprende sempre. Questo rispetto di Dio per gli occhi dell’uomo ci mostra che, quando l’uomo si avvicina a Lui, la luce umana non si dissolve nell’immensità luminosa di Dio, come se fosse una stella inghiottita dall’alba, ma diventa più brillante quanto è più prossima al fuoco originario, come lo specchio che riflette lo splendore» (LF 35). L’icona dei Magi può essere una delle più belle immagini per dire il mistero della fede senza troppo definirlo né per eccesso, né per difetto e capace di riconoscere e perorare una inclusività che non ha niente a che fare con un irenico qualunquismo. Possiamo così accogliere il mistero della fede come espressione più alta e profonda del nostro essere creati ad immagine e somiglianza di Dio e per questo abitati da una nostalgia dai molti colori e dagli infiniti sapori. Attraverso la figura dei Magi, papa Francesco evoca la fede contestualizzandola nell’inconfondibile logica evangelica ben significata dal linguaggio meta-logico delle parabole. L’enciclica, dall’andamento semplice senza essere per questo meno intensa, sottolinea l’aspetto misterico-mistico della fede con il suo inverarsi storico e testimoniale; per questo evoca l’immagine evangelica della luce e del seme: «La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma. I cristiani, nella loro povertà, piantano un seme così fecondo che diventa un grande albero ed è capace di riempire il mondo di frutti» (LF 37). I Magi sono già profezia e prefigurazione delle donne che, al mattino di Pasqua, sono capaci di stringere i piedi del Risorto in adorazione amorosa (Lc 28,9). Le parabole della luce e del seme diventano il simbolo più eloquente del mistero e del ministero della Chiesa chiamata a fare segno a tutti perché ciascuno possa, a proprio modo e nei tempi propri, aprirsi alla luce della verità. La fede ci viene presentata nell’enciclica di papa Francesco come una luce umile, come una «luce gentile», secondo la bellissima espressione del cardinal Newman citato altrove nel testo per sottolineare il farsi storia della vita di fede attraverso l’evoluzione dei dogmi e dei riti. Nella «fraternità di Cristo» (LF 7), il Vescovo di Roma ha firmato un’enciclica già abbondantemente preparata dal suo predecessore. Con questo ulteriore inedito gesto ha testimoniato, ancora una volta concretamente e senza inutili giri di spiegazione, la rigorosa coscienza di essere anello di una Tradizione che, nelle necessarie fratture instauratrici (M. de Certeau, «La debolezza del credere», Città Aperta, Troina 2006, p. 167) e innovatrici, va comunque vissuta e, talora, sofferta sempre amorevolmente nella comunione e nella continuità del cuore. La fede «umile» che non si impone, ma che si propone attraverso la testimonianza ardente di una comunione che si fa cospirazione verso il bene di tutti e per tutti è, secondo le parole di papa Francesco, «una» in quelle che sono le espressioni del dogma e dei riti, primi fra tutti l’esperienza iniziatica del Battesimo ed esistenziale dell’Eucaristia, ma soprattutto attraverso il riferimento «alla vita di Gesù, alla sua storia concreta che condivide con noi» (LF 47). Al contempo è «unica» in quanto non può che essere libera e personale. Se le prime righe dell’enciclica evocano l’immagine potente del «Sol invictus» (LF 1) che rischia di accecare il nostro sguardo con il suo ardente splendore, le ultime parole dell’enciclica suonano come un’invocazione per imparare a «guardare con gli occhi di Gesù» (LF 60). Con «gli occhi di Gesù» siamo chiamati a vivere la fede come una sfida continua di duplice fedeltà a Dio e alla storia in contesti vitali come la famiglia e la società (LF 54) e persino in situazioni esistenziali come la sofferenza (LF 56). Evocando Maria, la madre di Gesù, quale modello della vita credente di cui Abramo è archetipo antropologico di ogni tempo e di ogni luogo, papa Francesco sottolinea dolcemente ma rigorosamente il proprium della fede in Cristo che visse «una vera storia umana» e sperimentò «una vera carne» (LF 59). Questo unicum si identifica con il mistero e tutte le conseguenze dell’incarnazione del Verbo in cui possiamo accogliere la rivelazione di un volto di Dio «affidabile» (LF 15) proprio perché sostenibile dalla nostra fragilità. Se si sottolinea l’aspetto fondativo e stabilizzante dell’esperienza della fede come scambio sponsale di «amen» (LF 23) in cui il «sì» di Dio alla sua creazione fonda e sostiene la risposta delle creature al Creatore, non si dimentica che la fede cresce con chi crede e, necessariamente, è un’esperienza intima e rara. La fede, così come ce la presenta papa Francesco, è una luce che, per sua natura, implica una sempre più ampia dilatazione (LF 34) in cui amore e verità si sposano senza dimenticare mai di autenticarsi e purificarsi reciprocamente. La libertà della luce che la fede dona al cuore di ogni uomo e donna (LF 33) se è l’esperienza più personale che si possa concepire è, al contempo, capace di aprirsi ad un «noi» redento da ogni forma di confusione e capace di farsi anello di trasmissione discreto e rigoroso di ciò che è vero, buono, bello. Riconoscere poi la provvidenzialità storica per la fede cristiana di aver trovato un «partner idoneo» (LF 32) nel mondo e nella cultura greca, se è un atto di verità è anche una dichiarazione di speranza. Infatti, si può e si deve ancora sperare che la fede in Cristo Gesù possa trovare dei partner altrettanto idonei in ogni cultura per tutto ciò che è compatibile con il Vangelo del Verbo di Dio che per noi si è incarnato e non si è incartato. Alla fine della lettura della prima enciclica di papa Francesco un dato rimane impresso nella mente e nel cuore: la fede segue necessariamente lo stesso dinamismo dell’amore (LF 50-51). Si tratta di un amore che non cede alle trappole di un sentimentalismo malaticcio che rischia di fare dell’«adulto», (LF 2) nella cui figura giustamente vogliamo essere riconosciuti, un capriccio di autoreferenzialità che rischia di arrestare la crescita quale cammino esodale (LF 46) verso «Altro» (LF 21). Questo esodo è sempre un andare finalmente, come Abramo, verso se stessi (cfr. Gen 12, 1) senza ripiegarsi su se stessi. La luce della fede è un complesso viaggio interiore di ciò che potremmo definire un processo esigente di «amorizzazione», secondo la bellissima espressione del gesuita Theilard de Chardin, tra il Creatore e le sue creature (LF 27), in cui ciascuno è pienamente e dolcemente se stesso senza identificare il mondo con se stesso. Se così fosse si aprirebbe il varco all’idolatria di ciò che ci assomiglia, ma che non ci fa sperare in quanto non avendo un «volto» (LF 13) ci condanna all’assenza del confronto. La luce della fede si rivela così un lume al cui chiarore ciascuno può discernere nella folla dei desideri, il proprio Desiderio per incontrarlo, riconoscerlo e rigorosamente incarnarlo nelle scelte della volontà e la fedeltà del quotidiano. In realtà vivere «come se Dio esistesse» (LF 35) non può fare male a nessuno… anzi, può persino fare bene a ciascuno. La pubblicazione dell’enciclica Lumen fidei ha preceduto di qualche ora il viaggio di papa Francesco a Lampedusa quasi a ricordare prima di tutto ai cattolici del mondo intero che «la fede viene “spremuta” quando crediamo a Cristo crocifisso» (Ambrogio di Milano, «Commento al Vangelo di Luca», 7, 179) ancora oggi nella «storia vera» e nella «carne vera» dei più poveri e dei «più piccoli» (Mt 25, 40.45). Michael Davide osb
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