Lampedusa, la "spina"

C’è un’altra enciclica di papa Bergoglio. Non è scritta. E’ testimoniata. E’ fatta di parole, gesti, atti. Semplici e immediati. Non lasciano indifferenti. Si imprimono nel cuore e nella mente. Se ne possono citare a decine. Molte sono spiritose. Folgoranti. Sono massime, indirizzi comportamentali, regole, insegnamenti. Destinati a diventare storia. Dottrina, catechismo.

Uno dei capitoli è il pellegrinaggio di dolore, di lutto e di suffragio a Lampedusa compiuto da papa Francesco lunedì 8 luglio per confortare i migranti e coloro che li accolgono e li assistono, per pregare per le 19 mila vite umane (oltre a quelle non contate) perite nei flutti del mare o per gli stenti, il freddo e la fame.

Un evento epocale, il suo primo viaggio oltre i confini di Roma, un grande atto d’amore di chi sa che tutti gli uomini, ogni uomo, cristiano o musulmano o ateo, è figlio di Dio, che l’emigrazione è un fenomeno naturale, inarrestabile, e che non c’è deterrente che tenga, pericoli e ostacoli, respingimenti o presunti reati di clandestinità istituiti perché non si vuole affrontare il problema. E se bisogna piangere i morti, bisogna accogliere i vivi, offrire loro opportunità e condizioni di vita minimamente accettabili. Per questo bisogna sentirsi colpevoli e chiedere perdono. Papa Francesco lo ha fatto.

Questo il significato del suo blitz a Lampedusa. E altri sono i capitoli di questa enciclica esposta, visiva, parlata: il cammino della Chiesa lungo i sentieri della povertà e della purificazione, l’ammodernamento delle strutture, l’importanza di un nuovo spirito missionario da parte dei giovani che vi si consacrano, il rifiuto della comodità, del lusso, del superfluo. Insieme all’invito alla gioia. E sono capitoli anche la proclamazione a ottobre della santità dei due grandi pontefici, Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, la beatificazione di Paolo VI, mentre in calendario ci sono molti altri candidati, in primis il fondatore dell’Università Cattolica, Giuseppe Lazzati, e altri laici, quali il giudice Livatino, a conferma che nella Chiesa tutti possono essere santi. Altro imminente evento epocale è il viaggio apostolico in Brasile, dal 22 di questo mese, un Continente ancora periferia del mondo, terre in perenne attesa di riscatto. «Anch’io mi sto preparando», ha detto Francesco all’Angelus domenica ai giovani in procinto di partire, «ci vediamo lì».

Il clou è Lampedusa. «Porta d’Europa», una sorta di monumento firmato da uno scultore di grido, un simbolo d’ingresso dall’Africa verso l’Italia, verso l’Europa, verso la libertà. Ma spesso porta chiusa. Oggi un modesto ma geniale falegname dai legni dei barconi affondati ha creato un pastorale, un calice e l’altare per la messa. Per papa Francesco non poteva esserci sorpresa migliore. Arriva con un aereo dello Stato italiano, mentre avrebbe preferito uno di linea, a pagamento. Motivi di sicurezza lo impediscono.

Non ha séguito: né ministri, né ambasciatori, né cardinali. Bastano l’arcivescovo della diocesi (Agrigento), Francesco Montenegro, il sindaco, signora Giusi Nicolini, il parroco Stefano Nastasi, il prete che è stato all’origine di tutto ciò, con la sua accorata lettera al Papa. E la folla. I pescatori sulle loro barche che fanno corona alla motovedetta della Guardia costiera lungo quel drammatico tratto di mare dove il Papa lancia la corona di crisantemi banchi e gialli in memoria dei migranti morti in mare. Un momento di grande emozione. Non è il primo e non sarà l’ultimo. Un gesto tutt’altro che plateale, preceduto e seguito dalla preghiera.

Suonano le sirene dalle barche dei pescatori a Punta Favarolo e sul molo gruppi di migranti lo attendono. Li saluta a uno a uno, stringe le mani, si informa. Sono giovanissimi. Uno di loro è invitato a leggere la lettera che ha preparato. Racconta il suo dramma, che non è solo suo, i rischi che ha corso, il prezzo che ha pagato per attraversare il mare su una carretta. «Noi siamo fuggiti dal nostro Paese», ha detto, «per due motivi, politico e economico, per arrivare in questo luogo tranquillo abbiamo superato vari ostacoli, siamo stati rapiti da vari trafficanti. Per arrivare qui in Italia abbiamo sofferto tantissimo». Con commozione, ha chiesto aiuto: «Siamo costretti a rimanere in Italia perché abbiamo lasciato le impronte digitali e per questo non possiamo andare via. Quindi chiediamo agli altri Paesi europei di aiutarci». Ora la speranza è di andare avanti, di riunirsi ai genitori, ai fratelli.

L’isola pullula di gente. Ai suoi cinquemila abitanti si aggiungono diecimila turisti. Sono tutti qui, in sintonia col Papa, il cappellino bianco o giallo, le bandierine. Francesco è a bordo di una jeep campagnola messa a disposizione da un residente. Benedice, sorride, gli porgono i bambini, li bacia. «Vi saluto tutti e ringrazio per l’accoglienza, tutti siamo qui oggi nella preghiera. Grazie, grazie». Al campo sportivo «Arena» celebra la messa indossando i paramenti viola, il colore del lutto. Confessa che lo ha mosso a venire «la notizia degli immigrati, morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte», notizia diventata per il Papa «una spina nel cuore che porta sofferenza».

Occorre «risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore».I morti, dove sono i morti? Dove è finito tuo fratello? Le domande che Dio rivolge prima ad Adamo e poi a Caino «risuonano anche oggi, con tutta la loro forza», rievoca papa Francesco. «Tanti di noi, mi includo anch'io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo», e «non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. Così si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito». Alza un duro atto d’accusa. La «cultura del benessere» ci rende «insensibili alle grida degli altri», ci fa vivere «in bolle di sapone», in una situazione «che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza». Di fronte alle morti in mare, ha detto il Papa, «domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c'é nel mondo, in noi, anche in coloro che nell'anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo.

«Chi ha pianto?», si chiede papa Bergoglio. «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini?». Aggiungendo: «Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere». «Per i morti in mare, Signore, ti chiediamo perdono», è il termine dell’omelia. Poi papa Francesco ha ringraziato i lampedusani per quanto fanno e per la loro tenerezza. Ai «cari immigrati musulmani,che oggi, stasera, stanno iniziando il digiuno di ramadan», ha fatto gli auguri «di abbondanti frutti spirituali». E ha concluso: «La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi, “O 'scià"» (il saluto tradizionale).

Antonio Sassone

 



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