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"Stamina" e la scienzaNon si può parteggiare quando in gioco sono due valori importanti come salute e speranza; entrambi legittimi, ma, tuttavia, non equiparabili. Chi cerca di guarire, si aggrappa alla speranza in tutti i modi; chi, invece, deve garantire la salute deve fare scelte basate sulla realtà dei fatti, usando i mezzi a disposizione. Può essere posta in questo modo la questione del metodo Stamina, se non la si vuol affrontare col pregiudizio. Di per sé la speranza, pur muovendo l’opinione pubblica, da sola non basta a sollecitare scelte che impongono importanti impegni economici. Certo le può orientare, ma sono solo gli ineludibili criteri di razionalità scientifica che possono discernere tra illusione e realtà. La vicenda “Stamina” evidenzia quanto debole sia il rapporto tra scienza e opinione pubblica in Italia: si fa poca informazione scientifica, i mass media si occupano dei fatti della scienza in maniera episodica sull’onda del sensazionalismo, la scuola è di poco aiuto. Questo, a volte, porta allo scontro tra scienziati e cittadini: nessuno comprende le ragioni dell’altro. E il pregiudizio cresce. Quello che sta accadendo in questi giorni ripropone la vicenda della cura Di Bella. Anche in quella circostanza sull’onda dell’opinione pubblica il ministero della Salute, guidato da Rosy Bindi, avviò la sperimentazione. Poi, però, nessuno ha fatto caso ai risultati: la cura non funzionava. Intanto erano stati spesi un bel po’ di soldi pubblici, distratti da ricerche probabilmente più promettenti. Il metodo Stamina, per come stanno evolvendo i fatti, sembra seguire la stessa strada. Sull’onda della pressione dei malati e di alcune sentenze dei tribunali, il ministro e il Parlamento hanno autorizzato la sperimentazione per 18 mesi e una spesa di 3 milioni di euro. Tuttavia, il mondo scientifico non è convinto e ha mosso delle obiezioni. La rivista «Nature», nelle scorse settimane, ha attaccato duramente il «metodo Stamina» portando alla luce alcune incongruenze che non hanno permesso la registrazione del brevetto in America. Secondo la rivista, le immagini allegate alla domanda non erano originali, ma provenivano da esperimenti condotti da scienziati ucraini i cui resoconti sono stati pubblicati, nel 2003, dalla rivista «Russian Journal of Developmental Biology» e, nel 2006, dall’«Ukranian Neurosurgical Journal». Lo hanno confermato gli stessi autori degli studi. L’ufficio brevetti americano ha, inoltre, avanzato dubbi sulla possibilità che cellule staminali mesenchimali si trasformino velocemente in neuroni. Se ciò accadesse, ci sarebbe la possibilità di curare realmente i pazienti affetti da gravi malattie neurologiche. Il brevetto è stato respinto con la possibilità di essere ripresentato. La comunità scientifica italiana non è da meno. La «Stem cell research Italy», la prima associazione italiana che raccoglie circa 200 scienziati che lavorano sulle cellule staminali, ha bollato il metodo Stamina «privo di qualsiasi valore scientifico». «La sua applicazione», dicono gli scienziati italiani, «genererà nei pazienti e nei familiari false speranze che resteranno tali». Perciò l’associazione ha sollecitato il governo italiano a riconsiderare le decisioni sulla sperimentazione della terapia. Da una inchiesta del quotidiano «La stampa» di Torino, inoltre, emerge un particolare inedito: dietro Stamina potrebbe esserci una multinazionale farmaceutica, la Medestea. Ad ammetterlo, secondo il quotidiano torinese, è lo stesso responsabile della Stamina foundation onlus, Davide Vannoni il quale avrebbe rivelato altresì che la multinazionale avrebbe dovuto finanziare l’attività della fondazione con 2 milioni di euro. Insomma dietro l’operazione ci sarebbero cospicui interessi economici. Insomma il contesto è abbastanza confuso, aggravato dalle decisioni dei giudici che, per alcuni malati, hanno sentenziato l’accesso alle “cure compassionevoli”, quelle cure per le quali è in atto una sperimentazione. Il ministro per la Salute, Beatrice Lorenzin, ha chiesto ulteriori chiarimenti e in particolare il protocollo terapeutico adottato dalla Stamina. La risposta di Davide Vannoni è arrivata in modo irrituale, attraverso Facebook, e non ha sciolto alcuna perplessità, accentuando il sospetto che possa trattarsi di una bolla di sapone. Intervistato dalla testata web «Wired.it» Davide Vannoni ha detto che «il metodo Stamina non è una ricetta. Siccome si adegua a una cosa vivente, cambia in funzione di quello che ho davanti, di come varia quello che sto coltivando». Difficile, perciò, arrivare alla standardizzazione richiesta dai protocolli terapeutici? Probabilmente sì, ma questo porrebbe una domanda molto seria sul piano metodologico: come si può definire scientifico e, dunque, sottoporre alle verifiche del metodo scientifico, qualcosa che di fatto non è riproducibile e verificabile? La questione non è epistemologica, poiché si tratta di mettere a punto un protocollo terapeutico, una modalità di azione valida per tutti i malati. Se non fosse possibile, saremmo nel campo dell’indeterminatezza e, dunque, in un contesto ascientifico. I nodi da sciogliere non sono pochi. Lo dice con chiarezza Roger Barker del Progetto Euro Stem Cell, che raccoglie più di 90 laboratori di ricerca europei sulle cellule staminali. «Nel caso di malattie che colpiscono il sistema nervoso, prima di passare alla clinica», ha scritto Barker in un articolo pubblicato nel mese di maggio, «bisogna aver dimostrato che le cellule staminali che si intende utilizzare riescano a diventare autentici neuroni funzionanti del tipo desiderato; che le proprietà funzionali di questi neuroni siano costantemente riprodotte in laboratorio; che sopravvivano a lungo nei modelli animali della malattia dopo il trapianto e apportino benefici; che, dopo il trapianto, non proliferino in maniera anomala e diano origine a tumori. Finora questi requisiti sono stati soddisfatti unicamente da neuroni derivati da cellule staminali embrionali e non sono ancora della qualità sufficiente per passare alla fase clinica. Per le cellule staminali mesenchimali», ha aggiunto Barker, «le prove che riescano a diventare neuroni autentici e del tipo necessario per il trattamento di una specifica neuropatologia sono ancora più incerte. Non è più accettabile affermare che alcune cellule siano neuroni solo perché vi assomigliano. E’ necessario dimostrare rigorosamente che possiedano tutte le proprietà essenziali del sottotipo neuronale desiderato e che funzionino come neuroni». Questo vale anche per il metodo Stamina. Pasquale Pellegrini
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