Enrico uomo di Dio

Genova ha ricordato Padre Enrico di Rovasenda in una giornata dedicata al padre domenicano scomparso nel 2007 a 101 anni. Nel Convento di Santa Maria di Castello, dove il religioso ha vissuto per moltissimo tempo dalla metà degli anni Cinquanta, sono intervenuti illustri relatori, i familiari, i confratelli domenicani e molti amici di padre Enrico.

Padre Riccardo Barile, provinciale dei domenicani, ha benedetto il busto che è stato istallato in una navata della chiesa, e introdotto i lavori insieme a padre Costantino Gilardi; poi la parola è passata a monsignor Marcelo Sanchez Sorodno, cancelliere della Pontificia accademia delle scienze, ai professori Lorenzo Caselli, economista e già presidente del Meic, e Walter Crivellin, storico dell’Università di Torino, al giornalista e ricercatore sottoscritto Luca Rolandi, coordinati dal moderatore Romolo Pietrobelli.

Monsignor Marcelo Sanchez Sorondo ha ricordato come «Padre Enrico Di Rovasenda è stato una delle figure centrali nella ricezione del Concilio vaticano II che hanno dato una nuova identità alla Chiesa contemporanea e insieme al cardinale George Cottier e a monsignor Rossano, hanno saputo coniugare la scienza con la fede. Comprende i presupporti della modernità che giungono dalla scienza, armonizzandoli nella prospettiva di fede». Figlio del conte Alessandro (magistrato, senatore del Regno, esponente del Partito popolare) e di Alice, dei baroni De Andreis, battezzato con i nomi di Carlo e Baldovino, trascorre a Torino gli anni della giovinezza e della formazione, su cui si è soffermato Walter Crivellin: la famiglia, gli anni della formazione, l’amicizia con Pier Giorgio Frassati, l’impegno nell’apostolato nell’Azione cattolica e nella Fuci. Carlo Baldovino di Rovasenda è un fervente cattolico e subito si mostra contrario ad ogni tipo di adesione alla violenza autoritaria del fascismo. Nella Fuci fa conoscenza con Montini, Righetti, Guano, Costa, è presidente del circolo «Cesare Balbo» e deve fronteggiare le violenze dei fascisti dei Guf che colpiscono gli universitari cattolici a Torino e nel corso dei congressi nazionali.

Alla fine degli anni Venti, dopo aver conseguito la laurea in Ingegneria, matura la scelta vocazionale. Già terziario francescano, entra nei domenicani e diventa padre Enrico. Ottenuta la licenza e dottorato in Teologia, studia filosofia a Parigi e, ritornato in Italia a metà degli anni Trenta, diventa maestro dei Frati studenti, assistente degli Scout (guide), si occupa dell’insegnamento e della formazione. Rovasenda è ormai un punto di riferimento della cultura cattolica della città. Gioca in lui un ruolo importante l’amicizia con il filosofo francese Maritain, legame che nacque quando il domenicano si reca a studiare filosofia all’Institut catholique di Parigi, dove lo conosce e si abbevera al suo pensiero. Quando si accende la guerra partigiana padre Enrico si trova con i suoi studenti nell’Alta Val Tanaro.

Dopo la guerra, nonostante l’estrema cautela con la quale agiscono le organizzazioni “ufficiali” del cattolicesimo torinese, la Fuci e i Laureati cattolici propongono percorsi di formazione per i propri aderenti che s’interrogano su alcune delle questioni emergenti della cultura dell’epoca. Padre Enrico, insieme ad alcuni sacerdoti dai molteplici interessi, tra cui padre Ceslao Pera, assistente ecclesiastico dei Laureati cattolici, don Pippo Gallesio, il canonico Francesco Gosso, è uno dei maestri delle giovani generazioni di intellettuali cattolici. Con sottolineature anche molto diverse dalla scuola di Rovasenda, emergono il giurista Giuseppe Grosso, l’economista Silvio Golzio, i filosofi Augusto Del Noce e Carlo Mazzantini che incarnano la generazione che si fa portavoce del personalismo francese e della rivista «Esprit» nell’area torinese

Non solo. Anche oltre i confini della realtà torinese, padre di Rovasenda è interlocutore di Dossetti e dei gruppi di «Cronache Sociali» e «Civitas Humana» di Giuseppe Lazzati. Nel 1949 diventa priore di S. Domenico, tre anni prima era stato uno dei più illustri ispiratori di don Carlo Chiavazza per la fondazione del settimanale «Il Nostro Tempo», un luogo, una comunità, una scuola prima ancora che un foglio di opinione. La straordinaria vitalità di pensiero e la testimonianza cristiana sono la cifra della collaborazione di padre Enrico. Nei suoi editoriali spazia dai temi di politica alla cultura, dal rapporto tra scienza e fede alle note filosofiche derivanti dal suo appassionato studio della teologia (Tommaso, Domenico e Agostino) con lo pseudonimo di «Catholicus».

Negli anni del dopoguerra la vita di padre Enrico di Rovasenda si dividerà tra la sua città, Torino, Convento di San Domenico e Madonna delle Rose, e Genova (con il Priorato del Convento di S. Maria di Castello), dove risiederà dalla metà degli anni Cinquanta. Nel 1954 si trasferisce stabilmente a Genova (nel Convento di Santa Maria di Castello). Il suo viaggiare tra Torino e Genova con la parentesi degli impegni romani, è la trama di relazioni, incontri e scoperta di tutta la sua centenaria esistenza. Il rapporto con Montini è strettissimo e fecondo: il papa Montini, nel 1972, lo nomina vice direttore della Cancelleria della Pontificia accademia delle scienze e poi cancelliere della stessa dal 1974 al 1986. Non pochi discorsi del Papa sono preparati proprio da padre di Rovasenda, religioso di profonda cultura e di alte qualità morali; per la sua preparazione scientifica e filosofica e per le sue capacità realizzatrici, diventa il prezioso diretto collaboratore del pontificato.

Il suo più importante contributo per conto di Giovanni Paolo II,  è la riabilitazione di Galileo Galilei. Il 3 luglio 1981 è istituita una Commissione pontificia per lo studio della controversia tolemaico-copernicana del XVI e XVII secolo, nel quale s’inserisce appunto il caso Galileo, e di cui padre di Rovasenda è segretario. Il 31 ottobre del 1992, proprio dinanzi ai membri della Pontificia accademia, Karol Wojtyla chiude il caso Galileo, «simbolo del preteso rifiuto del progresso scientifico da parte della Chiesa» ed esempio evidente di «tragica reciproca incomprensione» tra scienza e fede.

Il nome del teologo domenicano è inoltre strettamente legato alla storia e alle vicende del movimento degli intellettuali cattolici italiani: i laureati cattolici e poi Meic, Movimento ecclesiale di impegno culturale. Padre Enrico Di Rovasenda vive l’esperienza del Movimento laureati negli anni Sessanta e dell’associazione, divenne vice assistente ecclesiastico, e poi assistente centrale dal 1977 al 1992. Guida il passaggio dal Movimento laureati al Meic nel decennio Ottanta, con la consapevolezza che l’impegno culturale per un cattolico non sia un vezzo intellettuale o accademico, ma via per comprendere la realtà e orientare le scelte dell’umanità alla luce della fede.

Nel 1992 l’Università di Genova conferisce a Di Rovasenda la laurea honoris causa in Architettura per i restauri promossi nel convento di Santa Maria di Castello. Negli ultimi anni con grande serenità aveva confidato agli amici: «Non mi sono mai considerato un padre spirituale e un leader, ho fatto solo e continuo a fare la volontà di Dio. Non sono una persona famosa, ho sempre perseguito la riservatezza e la discrezione nel mio operato di religioso e uomini di studi. Ho sempre dialogato con tutti, ascoltato e confrontato la mia fede con la storia, la cultura, l’evoluzione della scienza. La mia parola si è sempre ispirata alla Parola che tutto dice, tutto comprende e ci indica la strada per raggiungere il traguardo escatologico. Se devo essere sincero sono giunto a questa veneranda età, per meriti non miei, e soprattutto perché ho sempre detto a me stesso e insegnato a chi mi ha conosciuto, di vivere con profondità assoluta la vita, mai arrabbiarsi, procedere anche con distacco perché noi nel mondo siamo di passaggio».

Luca Rolandi



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