Sereno Regis, apostolo della pace

«Per questo non basta condannare la guerra, oggi facilmente imputabile al capitalismo: è necessario un deciso rifiuto di ogni strumento di guerra. Qualunque esercito e qualunque armamento rimangono una tentazione di guerra. Anzi è già la guerra. Infatti non si può dividere il problema della pace dal problema dello sviluppo dei paesi poveri. Ogni lira data alla guerra è rubata ai poveri».

Queste parole di schietta natura pacifista si ritrovano nei pochi scritti e appunti lasciati da Domenico Sereno Regis (1921-1984), un torinese che ha dedicato la vita all’ideale della nonviolenza, alla pace, all’obiezione di coscienza, alla «democrazia partecipata».

La sua storia è adesso ripercorsa nel libro «Domenico Sereno Regis. Biografia» (pp. 232, 12 euro) di Chiara Bassis pubblicato dalla Beppe Grande Editore nella collana «Premio tesi di laurea su Torino». Si tratta infatti della prima documentata biografia su Regis, nata dall’incontro «quasi fortuito» dell’autrice con un fondo d’archivio conservato alla Fondazione Vera Nocentini. La curiosità per un personaggio tanto attivo e incisivo nella storia di Torino e del Paese tra gli anni Cinquanta e Settanta del Novecento, e troppo presto dimenticato, ha spinto la Bassis a raccontare attraverso la storia di Regis (e la sua capacità di tradurre la fede in scelte politiche e sociali concrete) i momenti cruciali di un’epoca: la Resistenza, l’esperienza della Gioc, l’ansia di rinnovamento del Concilio vaticano II, la lotta al colonialismo, l’obiezione di coscienza al servizio militare, la nascita dei primi Comitati di quartiere, una cultura della pace e della nonviolenza «a partire dal basso».

Sereno Regis aveva poco più di vent’anni quando prese parte alla Resistenza, un passo che gli costò molto, data la sua adesione totalizzante all’imperativo morale di «non uccidere», ma si sforzò sempre, pur imbracciando il fucile, di evitare di usarlo (tranne quella volta che dovette difendere dei civili dagli spari di un cecchino..). Cercò sempre di mettere in pratica ed esprimere quelle forme di resistenza senza ricorrere alle armi. Nell’immediato dopoguerra, dal 1945 al 1947, ricoprì l’incarico di presidente della Gioc (Gioventù operaia cristiana) e fu anche promotore di alcune associazioni di impronta cristiana, come «Amici di don Mazzolari», del quale seguì fedelmente l’esempio e il pensiero. Lavorò alla rivista «Adesso» e prese contatto a Parigi con altre due prestigiose pubblicazioni, «Esprit» e «Temoignage chretien», dimostrando ogni volta uno spirito di fede saldo e appassionato, libero e combattivo, sempre coerente, in maniera incisiva, entusiasta e compatta, al messaggio evangelico.

La svolta arriva nella metà degli anni Cinquanta, quando entra a far parte del Mir, il Movimento internazionale della riconciliazione. Nato in Inghilterra allo scoppio del primo conflitto mondiale a opera di alcuni cristiani inglesi e tedeschi incarcerati durante la guerra, perché obiettori di coscienza, il movimento sbarca in Italia nel 1952 in seguito all’interessamento di alcuni pastori valdesi e quaccheri. In un tale contesto associativo di respiro internazionale, più che mai aperto alle istanze pacifiste di pretta matrice evangelica, Sereno Regis trova finalmente l’opportunità che cercava per esprimere la sua radicale aspirazione alla nonviolenza, la sua ferma vocazione alla pace, abbinando l’impegno di credente alla passione civile. Il suo manifesto rifiuto della guerra e della violenza è di stimolo e di esempio per molti, e lo porta a prendere le redini del Mir in Italia nel 1967, coprendo prima la carica di vicepresidente e poi nel 1980 di presidente.

Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà degli anni Settanta, l’impegno cristiano e civile di Sereno Regis si concentra con forza nella lotta per il riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. Denunciato per «vilipendio alle forze armate», viene accusato quale «istigatore di militari a disobbedire alle leggi». Durante i processi si difende sempre con energia e senso di responsabilità, ripetendo la propria convinzione e cioè «che il cittadino deve obbedire prima di tutto alla propria coscienza, quando le leggi dello Stato si trovino in contrasto con essa». Nel 1972 anche in Italia viene approvata la legge che consente l’obiezione di coscienza, ma Sereno Regis deve ancora combattere la sua battaglia, perché tanti sono gli ostacoli che si frappongono alla sua reale applicazione.

Regis prende così a cuore i casi di giovani obiettori, indirizzandoli su come e dove fare il servizio civile. Organizza sedi, corsi e modalità d’impiego. La sua “battaglia” contro il ministero della Difesa non si limita solo al servizio di leva, ma si estende anche ad altre forme di obiezione di coscienza, come, per esempio, quella al lavoro nell’industria bellica e alla campagna di obiezione alle spese militari. Il suo impegno per la pace e la nonviolenza si concretizza anche fuori dall’Italia: Regis partecipa attivamente a convegni internazionali organizzati a Praga, Berlino Est, Budapest. Prende contatti e mantiene una viva corrispondenza con altri esponenti di movimenti pacifisti noti a livello mondiale, come Jean Goss e il Premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel.

Momenti cruciali di queste manifestazioni pacifiste, che videro Sereno Regis protagonista di primo piano sulla scienza internazionale, furono anche le campagne contro i missili Pershing e Cruise. A Comiso Regis andò personalmente per sostenere i pacifisti impegnati a fare pressioni contro la base missilistica. L’impegno cristiano e civile di Sereno Regis si espresse in modo perentorio anche nella cosiddetta «democrazia partecipata»: egli sollecitò e fece sviluppare la nascita dei Comitati di quartiere, assemblee locali di dibattito e autogestione dei cittadini, che mettevano così in pratica una sorta di democrazia che partiva dal basso.

Quella di Sereno Regis fu un’attività instancabile, per nulla ingenua e sprovveduta, ma ricca di stimoli e forti pulsioni etiche aderenti in modo appassionato e sincero alla lettera del Vangelo, da cristiano laico, convinto e libero. Protestò anche contro certi atteggiamenti paternalistici della Fiat, che considerava lesivi dei diritti degli operai. Insistette perché si attuassero riforme in seno alla magistratura, nella polizia, nelle carceri e così via. Allo scopo di realizzare l’utopia di una nuova società equilibrata, vivibile, a dimensione d’uomo, disarmata, partecipata, nonviolenta. Un’esperienza di  vita e di fede, quella di Domenico Sereno Regis, che si ripropone ancora oggi agli uomini e alle donne del terzo millennio, con tutta la sua forza persuasiva e il prepotente vigore etico, di cui è sempre stato impregnato il suo concreto e infaticabile impegno quotidiano per la realizzazione degli ideali della pace e della nonviolenza.

Nicola Di Mauro



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