![]() Accesso utente |
L'arte minima di ZavattiniCesare Zavattini (1920-1989) poeta e pittore, giornalista insieme ironico e compassionevole, che fonda periodici umoristici come «Bertoldo» e «Settebello», soggettista e sceneggiatore di fumetti e di film, che aiuta Vittorio De Sica a realizzare capolavori come «Sciuscià», «Miracolo a Milano», «Umberto D.», appartiene alla storia della cultura del Novecento non solo in proprio per le sue opere, ma come animatore culturale di gruppi di artisti e di circoli del cinema. E’ sotto questo secondo aspetto che la Pinacoteca di Brera lo ricorda a Milano con una mostra, che rimane aperta fino all’8 settembre e un catalogo curato da Marina Gargiulo, ed edito da Skira, che non bisogna perdere, perché riporta gli autoritratti di 152 artisti richiesti e ottenuti da Zavattini ai suoi colleghi e amici pittori alla condizione di non uscire dallo spazio di una piccola tela di 8 x 10 centimetri. Nel catalogo le riproduzioni delle immagini a tutta pagina sono più grandi delle opere originali. Un catalogo importante per lo studio della storia dell’arte contemporanea in Italia, perché riporta in appendice i testi delle lettere scambiate tra lo scrittore e l’artista, alcune delle quali riprodotte anche in fotografia. Come scrive Renato Barilli nel suo saggio in catalogo questa richiesta esige dall’artista un atto di umiltà. Infatti per natura un artista tende a glorificarsi, basti pensare ai numerosi e magniloquenti autoritratti di Giorgio De Chirico, ma che qui ha saputo conservare la sua vera grandezza in uno spazio minimale. C’è anche una seconda considerazione da tenere presente, un conto è mettersi allo specchio e fare un autoritratto per se stessi, scavando nella propria interiorità per potere raggiungere il massimo dell’autenticità, penso agli autoritratti di Georges Rouault; e altro è fare l’autoritratto per mostrarsi ad un committente nella quale operazione non può mancare una certa dose di esibizionismo, che solo un forte autocontrollo morale può controllare. Questa curiosa raccolta di miniritratti è interessante non solo per la originalità della richiesta dello scrittore, infatti la mostra di Brera ha per titolo «A tutti i pittori ho chiesto l’autoritratto», ma, soprattutto, perché questi ritratti costituiscono un dialogo silenzioso tra i singoli artisti e il committente, non per nulla la mostra ha un sottotitolo «Zavattini e i Maestri del Novecento». La collezione inizia con due autoritratti dello stesso Zavattini, costruiti in forme molto allungate, che sembrano richiamarsi alle teste scolpite da Amedeo Modigliani. Poi continua con nomi famosi da De Pisis a Pistoletto, da Guttuso a Turcato, da Severini a Casorati, da Sassu a Tosi, ma anche con nomi meno conosciuti, che forse debbono la loro memoria nella storia dell’arte anche a questa collezione. Zavattini inizia a raccogliere autoritratti nel 1941 che espone per la prima volta a Roma nel 1964 con un catalogo edito dalla Fratelli Pozzi di Torino, poi nel 1979 per ragioni economiche è costretto a vendere questa «enciclopedia della pittura del Novecento» e alcune opere vanno disperse. Nel 2008 un consistente nucleo viene recuperato e acquisito al patrimonio pubblico nazionale, dalla Pinacoteca di Brera. Queste opere, dopo un accurato restauro e ricollocate nelle loro cornici originali, sono ora in mostra nelle sale del Museo di Brera. Nel presentare questa “carrellata di immagini”, in inglese travelling, un termine del linguaggio cinematografico caro a Zavattini, disposta in ordine alfabetico, non posso che fare una scelta di alcune opere tenendo presenti che ci sono in mostra autoritratti di artisti appartenenti alle più diverse correnti espressive, dal realismo all’informale, perché il committente non ha voluto ripiegarsi su di una scelta ideologica. D’altra parte nel suo lavoro ogni artista non può che seguire le sue convinzioni estetiche che lo portano a preferire questo e quello stile espressivo, pur nella evoluzione del suo percorso creativo, si considerino al riguardo gli autoritratti del primo e dell’ultimo Picasso. Un ritratto, come anche un paesaggio, ha sempre un modello di riferimento, da cui partire e da rispettare, perché un «ritratto» deve pur sempre individuare il soggetto trattato. E’ questa la mia chiave interpretativa, ma che trova un sostegno nella lettera del 1956 di Ottone Rosai che bene spiega l’imbarazzo in cui si sono trovati gli artisti interpellati «Caro Zavattini, ecco l'”autoritrattino”, "ino" beninteso di dimensioni (come so bene hai inteso dire) che per il resto lo chiameremo "autoritratto", nient'affatto timoroso di affrontare prove e giudizi e in linea con quanti altri possa averne sinora dipinti. Se piccolo di statura lo deve al tuo gusto del "minimo" di quel minimo essenziale che esclude il superfluo e il ridondante, dove i trucchi sono impossibili nella pochezza di uno spazio che basta di per se stessa a imporre il rigore. La tua avarizia di spazio avrebbe addirittura preteso termini estremi che io ho ritenuto bene non affrontare perché conosco l'arte mia e i suoi limiti umani. E ora a te maestro di poetici paradossi, voglio fare un discorso scherzoso». E passa a parlare del compenso da concordare. Incomincio da un trittico di quadretti negli quali l’identità del personaggio è immediata. Giacomo Manzù che, come scultore lascia prevalere la linea sul colore, in un bel miniritratto di profilo esprime con pochi colori un emozione intensamente poetica. Carlo Carrà costruisce con un mosaico di colori un’immagine che manifesta tutta l’umanità dell’artista. Gino Severini sembra quasi riassumere il questa tela il suo percorso creativo, perché sul realismo dell’immagine restano alcuni segni della stagione futurista. Invece Fortunato Depero si rappresenta in perfetto stile futurista, mentre il ritratto di Antonio Donghi nel suo crudo realismo è quasi una fotografia a colori. Molti sono i miniritratti figurativi, alcuni di colleghi scrittori come quelli di Dino Buzzati, di Ardengo Soffici, di Carlo Levi. Mentre altri artisti immersi nel loro stile espressivo, decisamente antifigurativo, giungono a deformare la persona umana o a farla scomparire come Alberto Burri, il pittore famoso per le sue tele di sacco lacerate e imbrattate di colore, che la risolve nel succedersi di cornici sempre più piccole fino ad annullarla. Emilio Vedova, poi, si disegna insieme di fronte e di profilo recuperalo l’ultimo Picasso in uno stile violentemente espressionista. Purtroppo in questa bella collezione manca il ritratto di Giorgio Morandi, forse Zavattini non glielo ha chiesto o forse l’artista, che nella sua metafisica sa cogliere l’essenzialità dell’esistere, ha pensato che la richiesta fosse uno scherzo di uno scrittore più noto per il suo umorismo ironico che per la sua dolente umanità. D’altra parte Fabrizio Piessi ha proprio accolto l’invito di Zavattini come un scherzo, lo ha anche scritto sulla tela «Scherzo per un poeta!» e si è disegnato un rubinetto al posto del naso. Ma è uno scherzo serio, che rimanda al surrealismo di Magritte Penso che il ritratto della sua raccolta che Zavattini ha più amato sia stato quello di Antonio Ligabue, artista naif, vagabondo, incompreso, tradizionale e moderno, a cui nel 1967 ha dedicato un poemetto. Piero Viotto
|