L'economia fra le Borse e le banche

Il legame tra mercati azionari ed economie reali resta, oggi come in passato, oggetto di una controversia infinita. Se da un lato infatti si ritiene che, almeno in una prospettiva di lungo termine, le performance delle quotazioni di Borsa dovrebbero riflettere i “fondamentali” delle economie, e quindi, nello specifico, le prospettive di profitto delle imprese quotate, tale collegamento appare non di rado difficilmente osservabile e spesso gli andamenti dei prezzi sembrano muoversi sulla base di fattori tutti interni al mercato di Borsa o quantomeno di considerazioni relative alla liquidità disponibile sui mercati finanziari.

Il rally rialzista dell’ultimo anno, che ha interessato tutte le maggiori Borse mondiali (ma in misura molto più limitata quelle dei Paesi emergenti) e le incertezze palesatesi nelle ultime settimane dopo il crollo del mercato di Tokyo, che in un paio di settimane ha lasciato sul terreno circa il 20 per cento della capitalizzazione, ripropongono l’eterno dilemma. Il mercato sale perché riflette un inevitabile miglioramento dei livelli di attività delle economie reali dopo anni di stagnazione o piuttosto risente delle favorevolissime condizioni di liquidità create dalle banche centrali che attraverso politiche massicciamente espansive stanno immettendo nel sistema così tanta moneta da provocare un inevitabile aumento dei prezzi dei titoli azionari ed obbligazionari, che i grandi investitori istituzionali, banche in primis, possono ora acquistare finanziandosi presso gli istituti di emissione a tassi sostanzialmente nulli?

Si tratta di un interrogativo tutt’altro che accademico, perché dalla risposta che si può offrire dipendono le previsioni sugli andamenti delle quotazioni nel prossimo futuro. Nelle ultime settimane, ad esempio, i mercati hanno in qualche caso reagito negativamente a notizie molto positive dal punto di vista dell’economia reale, e tale comportamento apparentemente paradossale è stato spiegato facendo riferimento alla possibilità che il miglioramento dei fondamentali macroeconomici potesse avvicinare la fine delle politiche ultraespansive delle banche centrali e quindi del periodo della liquidità abbondante e a basso costo. Come a dire che per una buona tenuta dei mercati conterebbero molto di più le condizioni favorevoli alle quali possono finanziarsi gli operatori di Borsa che non un reale miglioramento delle prospettive di mercato, di fatturato e di reddito delle imprese quotate. E’ chiaro che se si intravedessero concreti segnali di miglioramento delle grandi economie, il che avverrebbe a fronte di una significativa tendenza alla diminuzione del tasso di disoccupazione negli Usa e ad una robusta accelerazione della dinamica del Prodotto interno lordo in Giappone e in Germania, non si potrebbe non prendere in considerazione una revisione della politica monetaria delle rispettive banche centrali. In particolare della Riserva Federale degli Stati Uniti, che da anni ormai ha avviato una strategia orientata al massiccio e sistematico acquisto di titoli del Tesoro sul mercato, ripromettendosi di proseguirli fino a quando l’economia non avesse offerto inequivocabili segnali di robusta espansione.

A questa ipotetica inversione di rotta difficilmente potrebbero sottrarsi la Banca del Giappone e la Bce, anch’esse impegnate, sia pure con modalità e intensità profondamente diverse, in politiche massicciamente espansive che hanno portato nelle rispettive aree monetarie i tassi di interesse ai minimi storici. Ovviamente, guardando il tutto con la lente di un economista attento al medio e al lungo termine e quindi maggiormente influenzato nei suoi giudizi dai fondamentali produttivi delle economie, i mercati azionari dovrebbero “prima o poi” farsi guidare più dalle attese sulle vendite e sui profitti delle aziende quotate e meno dalle favorevoli condizioni di liquidità che caratterizzano il sistema bancario e i grandi operatori finanziari. Ma, al di là delle polemiche di natura accademica, tutti possono vedere con i propri occhi che le Borse restano sensibilissime ai fattori strettamente finanziari e non vi è dubbio che il concreto timore di un brusco rallentamento del ritmo di creazione di liquidità da parte delle Banche centrali potrebbe avere effetti devastanti, che il miglioramento delle economie reali non sarebbe probabilmente in grado di compensare.

Il problema si aggrava considerando che il legame tra Borse ed economia reale è bidirezionale. Se da un lato infatti non è così chiaro in che modo i mercati reagiscano agli andamenti della domanda, della produzione e dell’occupazione, dall’altro è invece chiarissimo, in un mondo iperfinanziarizzato, dove la consistenza dei patrimoni delle famiglie può ben dipendere, direttamente o indirettamente, dagli andamenti dei tassi di interesse internazionali e delle quotazioni delle borse di molti Paesi, che una inversione di tendenza potrebbe frenare bruscamente una propensione alla spesa che peraltro, soprattutto in Europa e ancor più nel nostro Paese, rimane estremamente debole.

Con il termine “effetto ricchezza” si indicano infatti le conseguenze sulla spesa e sul clima di fiducia derivanti da un aumento (o diminuzione) del valore delle proprie attività finanziarie a fronte di un significativo mutamento dei livelli di prezzo degli strumenti quotati sui mercati ufficiali. L’ascesa delle quotazioni azionarie e dei prezzi dei titoli obbligazionari, anche a fronte delle politiche monetarie espansive, aumentando il valore dei patrimoni finanziari dei risparmiatori ne stimola positivamente la propensione a spendere, rappresentando così uno dei principali canali di trasmissione della politica monetaria al settore reale dell’economia. Al contrario, una brusca correzione dei listini (o il mancato recupero di mercati che hanno corso molto meno di altri, come ad esempio quello italiano e quello spagnolo) retroagirebbe negativamente su una economia già per proprio conto estremamente debole proprio perché la decurtazione dei patrimoni familiari peggiorerebbe ulteriormente clima di fiducia e propensione al consumo.

La morale è che, in questo momento, la palla è tra i piedi dei banchieri centrali. Gli andamenti dei mercati nei prossimi mesi dipenderanno in misura decisiva dalle loro azioni, e da come queste verranno interpretate dagli operatori. Non s’era mai vista in passato in tempo di pace una strategia espansiva così intensa e portata avanti così a lungo. L’exit strategy dovrà essere estremamente cauta, se si vorrà evitare di soffocare nella culla la ripresa dell’economia mondiale.

Antonio Abate

 



SIR | Avvenire.it | FISC

PRELUM Srl - P.I. 08056990016