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Ilva, dilemma di difficile soluzioneIl termine che descrive bene la situazione dell’Ilva di Taranto è «complicazione». Ogni scelta che riguarda lo stabilimento pugliese, anziché semplificare, complica i problemi. L’ultima è la decisione di commissariare lo stabilimento. Scelta imposta o evitabile? La domanda, apparentemente semplice, sta creando scompiglio nell’opinione pubblica e nel mondo politico. «Il commissariamento dell’Ilva, così come delineato dal decreto del governo», ha detto al «Corriere della Sera» Renato Brunetta, capogruppo del Pdl alla Camera, «presenta forti dubbi di costituzionalità in quanto rischia di portare all’espropriazione dell’impresa». Dello stesso parere Federacciai, l’associazione di categoria delle aziende del settore. «Il provvedimento del governo», ha lamentato il presidente dei siderurgici, Antonio Gozzi, «ci pare francamente sbagliato, sproporzionato, crea un pericolosissimo precedente perché vale per tutti i siti di interesse nazionale». Per ragioni diverse è sulla stessa lunghezza d’onda anche una parte dell’opinione pubblica. I malumori in questo caso riguardano la scelta del commissario. «Il ministro per lo Sviluppo economico, Flavio Zanonato», ha scritto Michele Tursi sul tarantino «Corriere del giorno», «ha motivato il commissariamento più o meno così: chi ha inquinato non può risanare. Con questa premessa era lecito attendersi una figura imparziale e terza rispetto alle parti in causa. Invece a chi pensa il governo? All’ex amministratore delegato dell’Ilva, dimissionario insieme agli altri componenti del consiglio di amministrazione». Il governo ha dovuto replicare e spiegare le ragioni di una scelta che sembra radicale. «Il percorso di attuazione dell’Aia», ha detto senza mezzi termini il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, «non è stato rispettato. Non è accettabile trasgredire un percorso che deve essere applicato rigidamente». L’Ilva è stata commissariata per 12 mesi rinnovabili fino a 36 per poter dare attuazione alle prescrizioni imposte dall’Autorizzazione integrata ambientale. Enrico Bondi, scelto come commissario, è stato ritenuto la persona più idonea poiché conosce già i problemi della fabbrica. «E’ una persona esperta, da troppo poco tempo a Taranto per essere considerato partigiano dell’Ilva, ma abbastanza per avere conoscenza del problema. Inutile perdere tempo per cercare un nome nuovo e magari solo per accondiscendere ai tumulti delle viscere di chi conduce una guerra quasi personale alla fabbrica», ha commentato Maddalena Tulanti, direttrice del «Corriere del Mezzogiorno». Nel bene e nel male l’Ilva ha cambiato la vita di Taranto e dei tarantini. Col tempo la situazione si è fatta difficile: per anni l’azienda ha riversato quantità impressionanti di veleni sulla città e nell’ambiente. A farne le spese sono stati interi settori economici, su tutti la pregiata mitilicoltura nel mar Piccolo e la zootecnia, e la salute della gente. Oltre 300 morti in dieci anni sono stati posti in relazione diretta con l’attività aziendale. Tuttavia, seppur drammatico, questo è solo un aspetto del problema, l’altro è il lavoro. Lo stabilimento assicura direttamente e indirettamente occupazione e sussistenza economica a circa 40 mila persone, è il volano dell’economia del territorio ed è una risorsa strategica per l’economia nazionale, la sua chiusura porterebbe un danno all’Italia di circa 8 miliardi l’anno. Lavoro, ambiente e salute in competizione: questa è la vera natura, e la complicazione, del problema Ilva. Il governo ha scelto la strada di tutelarli entrambi, mantenendo in vita lo stabilimento e imponendo, mediante l’autorizzazione integrata ambientale, drastiche misure di salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica. La Corte costituzionale ha approvato. «La norma», ha sentenziato la Consulta, chiamata a definire i profili di costituzionalità della legge 231 sulla possibilità di produrre e commercializzare i prodotti da parte dell’azienda, «traccia un percorso di risanamento ambientale ispirato al bilanciamento tra la tutela dei beni indicati e quella dell’occupazione, cioè tra beni tutti corrispondenti a diritti costituzionalmente protetti. La deviazione da tale percorso, non dovuta a cause di forza maggiore, implica l’insorgenza di precise responsabilità penali, civili e amministrative, che le autorità competenti sono chiamate a far valere secondo le procedure ordinarie». Dunque, l’Ilva può produrre e commercializzare i prodotti, ma non può arbitrariamente derogare dal percorso stabilito dall’Aia. Proprio questo, però, è stato accertato dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, deputato ad effettuare i controlli e a verificare lo stato di attuazione delle prescrizioni. Sono state riscontrate ben undici inadempienze, tra cui la mancata copertura dei nastri trasportatori, la realizzazione della rete di idranti per la bagnatura dei cumuli, il superamento dei livelli di alcune emissioni di gas e polveri e l’inadeguatezza delle misure per controllare il fenomeno dello slopping (espulsione di gas e nubi rossastre dai camini). Secondo gli enti di controllo l’avanzamento dei lavori, allo stato attuale, è circa il 20 per cento del previsto. Un po’ poco per non sospettare che ci sia stata cattiva volontà da parte della proprietà nell’adempiere ai propri doveri. «Ho sempre alimentato la speranza di tutti i tarantini sostenendo la difesa della salute, dell’ambiente e del lavoro», ha detto l’arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, a conclusione della processione del Corpus Domini. «Ma dai responsabili della politica nazionale ci aspettiamo anche segni tecnici e concreti che impegnino l’azienda ad una effettiva, vera e rigorosa opera di risanamento ambientale e che permettano la continuità del lavoro. Che la gente non si senta illusa e continuamente alla mercé della logica del profitto e della lacerazione degli eventi». La proprietà dovrebbe fare uno sforzo maggiore, avviare finalmente quella stagione di investimenti venuti meno dal 1995 in poi, nonostante gli enormi profitti accumulati. Ma proprio da questo orecchio non ci sente. Probabile, invece, che la proprietà voglia far fronte agli investimenti con i proventi della produzione. In tempi di vacche grasse sarebbe possibile, oggi, con la crisi economica incalzante, è un po’ difficile. Per questo la magistratura ha sequestrato circa 8 miliardi dei Riva. Sullo sfondo c’è una situazione sanitaria grave. Le patologie tumorali a Taranto sono percentualmente più alte della media regionale e nazionale, secondo quanto ha riferito l’Arpa Puglia. Inoltre anche in Salento si sospetta che l’aumento delle patologie tumorali sul territorio dipenda dalle emissioni del siderurgico. Per questo la Provincia di Lecce è intenzionata a costituirsi in giudizio contro l’Ilva. Infine, come se non bastasse, l’Italia potrebbe tornare sotto la lente dell’Europa. Infatti, il gruppo dei Verdi, ha rivolto al Parlamento europeo un’interpellanza sul rispetto da parte dell’Ilva della direttiva 75/Eu/2010 sulle emissioni industriali e in materia di responsabilità ambientale. Alle complicazioni, dunque, non c’è limite. Questa, purtroppo, è l’amara verità. Pasquale Pellegrini
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