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L'amore più forte della leggeÈ per la nona volta che la sfida di fare un festival non su un libro qualsiasi, ma su Il Libro, viene vinta. A Vicenza gli undici giorni del Festival biblico sono volati anche in questa edizione, tra incontri, mostre, dibattiti, meditazioni, spettacoli, che hanno cercato di sviscerare un tema molto dibattuto, non solo nella nostra società progressivamente scristianizzata. «Fede e libertà secondo le Scritture», questa la linea guida, ha spinto non solo gli intellettuali cristiani, impegnati nel faticoso ed esaltante cammino dell’ecumenismo, ma anche i rappresentanti di altre religioni ed alcuni pensatori laici, ad interrogarsi sulla complessità del rapporto tra fede e libertà. Tra i protagonisti, è stata molto seguita la voce di Paolo Ricca, figura tra i teologi italiani più eminenti, pastore della Chiesa valdese, docente al Pontificio ateneo Sant’Anselmo di Roma e collaboratore del Sae, il Segretariato attività ecumeniche. Nella sua lectio magistralis dal titolo «Legge di Dio, legge degli uomini», ha percorso un cammino che è partito dall’analisi delle leggi nella Bibbia, passando attraverso il rapporto tra legge e libertà, fino a giungere al superamento della legge grazie al prevalere dell’amore. «La legge sovente diventa oppressiva e ingiusta, ma sappiamo che senza di essa nessuna società sopravvive», ha affermato il teologo. «Dovremmo aggiungere alle leggi di Dio e a quelle degli uomini anche le leggi della Chiesa in questa discussione, le quali dovrebbero teoricamente riflettere le leggi di Dio, però sappiamo che non sempre ciò accade, anzi talvolta se ne scostano o addirittura vi si sostituiscono e la modificano. Non è detto quindi che ubbidendo alle leggi della Chiesa automaticamente si ubbidisca a quella di Dio. Ma va detto anche che molte volte, nella storia della Chiesa, è accaduto che si scegliesse di ubbidire a Dio e non agli uomini». Ricca ha quindi analizzato quanto la Bibbia sia il libro religioso che più di altri contenga leggi e comandamenti, che disciplinano l’Alleanza tra Dio e il suo popolo e regolano le norme di convivenza, dalle quali derivano per gli ebrei le 613 norme secondo le quali è possibile vivere in comunione con Dio. «Nel Nuovo Testamento cambia il contenuto del patto, perché con l’eucaristia esso non si fonda più sulla legge, bensì sul sangue di Cristo, che afferma di non essere venuto per abolire la legge ma per portarla a compimento. Come scrive l’apostolo Paolo, la salvezza si ottiene per grazia attraverso la fede e non osservando le leggi. E queste ci sono non tanto perché Dio domina e governa l’uomo, piuttosto perché esprimono la sua volontà. Meglio, indicano che Dio vuole qualcosa da ciascuno di noi. Si potrebbe dire che ogni legge divina sia in realtà di origine umana e poi venga divinizzata, però dovremmo tener conto di un dato, riconosciuto già nella cultura classica. Noi abbiamo una coscienza che riconosce il bene e il male, una capacità che non viene da noi ma che abbiamo dentro di noi. E nell’antichità greca, ad esempio nella figura di Antigone, si esprime più volte che questa legge interiore appartiene a Dio e ci rende capaci persino di sfidare le regole degli uomini». Al contrario di costituire una gabbia, la legge è il mezzo per giungere alla libertà. «Dio dà la legge, ma è libertà», ha sottolineato Ricca. «E la libertà più grande che si può sperimentare è quella di amare, tanto da poter dire che Dio è libertà di amare. D’altronde, la Bibbia stessa ci mostra che Dio innanzitutto è liberatore e poi legislatore: l’Esodo precede il dono della legge, la quale è perciò subordinata alla libertà. Chi parla in nome di Dio deve predicare la libertà prima della legge: purtroppo questo succede raramente, anche nelle nostre chiese evangeliche sento poco l’appello alla libertà. Imparare ad essere libero, questo è il compito del cristiano, invece le Chiese esprimono spesso l’invito all’ubbidienza». Prima di costituire un regolamento, la legge ha il significato primario di stabilire un limite, come accade già nella prima legge divina, che il Signore indica ad Adamo nell’Eden. «Il primo comandamento, che dispone di non cibarsi dei frutti di uno specifico albero, ha in sé il senso profondo di cosa sia la libertà», ha proseguito il teologo valdese. «Non esiste libertà infatti se non quella limitata. Sembra un paradosso, ma in realtà ne costituisce la sua forza, perché senza limiti ci troveremmo di fronte allora alla contraddizione di una libertà liberticida. Il divieto di uccidere, ad esempio, pone il limite di togliere all’altro la propria libertà di vivere. È perciò l’altro, simboleggiato dall’albero del paradiso terrestre, il freno ad una libertà che diventerebbe distruttrice, quindi arbitrio e violenza». Il limite, però, non è il freno assoluto all’esercizio della libertà e quindi non consolida la legge in una fissità dogmatica, proprio perché è nella dialettica di ubbidienza e trasgressione che si esercita la libertà in senso cristiano. Certe volte, infatti, trasgredire la legge è l’unico modo per affermare la libertà, soprattutto quando la legge non si basa sul fondamento stabile ed eterno dell’amore. «Gesù riassume tutta la Rivelazione dell’Antico Testamento nel comandamento dell’amore, che già troviamo in altri passi, ma che nella predicazione di Cristo acquisisce una misura. Egli infatti indica di amare “come io ho amato voi”, ovvero come dono totale di se stessi. C’è ancora bisogno di leggi dopo questo comandamento? La rivoluzione cristiana sta proprio qui, perché l’amore diventa modello e criterio che regola ogni azione e regola umana. Lo ha ben riassunto Sant’Agostino dicendo “Ama, e fa’ ciò che vuoi”. Da questo punto in poi di fronte alla legge devo pormi solo una domanda: se essa traduca l’amore oppure vada contro di esso. L’obbedienza alle leggi pone il cristiano davanti a questa essenza intrinseca». Il rispetto delle norme, quindi, non porta alla salvezza, come già aveva più volte sottolineato San Paolo, se non si comprende che, come scrive nella Lettera ai Romani, «la fine della legge è Cristo». «Nella Bibbia, così piena di leggi, si giunge anche alla loro fine, perché è attraverso Gesù che si intraprende il cammino di giustizia. E la legge dura fintanto che l’umanità esisterà. Fede, speranza e carità sono virtù teologali che dureranno oltre ogni comandamento, come scrive l’apostolo Paolo, ma le prime due non saranno necessarie nel Regno di Dio: la fede diventerà visione, la speranza realtà, ma l’amore sarà per sempre. E allora la legge sarà superflua. Per questo, per il cristiano la legge universale, sufficiente ed eterna è proprio l’amore». Ma c’è un ambito in cui le leggi umane si intrecciano con quelle divine? «Tutta l’azione di Dio è per l’uomo», ha concluso Ricca, «quindi tutte le leggi che promuovono e affermano i diritti umani possiamo considerarle leggi di Dio». Fabiana Bussola nostro servizio da Vicenza
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