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I doveri di tuttiProgressi compiuti, ma non ancora sufficienti, risultati acquisiti, ma ancora fragili; esigenza di non disperderli, ma di difenderli e di consolidarli: la chiave interpretativa della valida relazione del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sta in buona parte in queste affermazioni di apertura. In sintesi, il Paese è ben lontano dall’aver intrapreso un cammino di crescita: una contrazione del 2,4 per cento dell’attività economica nel corso del 2012 non bilanciata da migliori prospettive per il 2013; il Prodotto interno lordo inferiore del 7 per cento al livello del 1997, il reddito disponibile delle famiglie inferiore del 9 per cento, la produzione industriale del 25; riduzione delle ore lavorate del 5,5 per cento, più di mezzo milione in meno le persone occupate, con un tasso di disoccupazione quasi doppio rispetto al 2007, pari all’11,5 per cento nel marzo 2012 e vicino al 40 per cento tra i più giovani: sono numeri da rabbrividire che, giustamente, nelle parole del governatore inducono a temere seriamente per la coesione sociale. Di fronte ad essi non c’è spazio per tentennamenti o giochi di potere: di questo è motivo di conforto la consapevolezza del presidente del Consiglio e della sua decisione manifesta di intervenire senza indugi. Del pari è incoraggiante la revoca della procedura di infrazione del Patto di stabilità da parte dell’Unione europea dalla quale deriva una possibilità di incremento della spesa superiore ai 10 miliardi annui per spese di investimento. Risultato, questo, che ognuno dovrebbe tenere ben presente nel dare giudizi sulla politica severa del governo Monti: senza di essa, non sarebbe stato minimamente possibile. D’altra parte, la revoca è stata accompagnata da precise sollecitazioni a non deflettere dal percorso intrapreso, in assoluta assonanza con quanto espresso nella relazione Visco, a conferma che il rigore per il risanamento dei conti pubblici è stato il primo vero passo compiuto verso la crescita. In questa sta l’obiettivo destinato a guidare le scelte e l’azione del governo per i prossimi anni (non solo dei prossimi mesi), dato che, al di là dell’azione nefasta della crisi, l’economia italiana deve pagare l’inazione di decenni, dalla quale sono derivati gravi deficit infrastrutturali decisamente spiazzanti nei confronti dei Paesi con i quali si trova a competere. Essi non sono rimediabili in breve tempo, dato che chiamano in causa la specializzazione produttiva (ferma al passato senza intercettare, salvo poche eccezioni, i vistosi progressi tecnologici delle produzioni nel mondo), l’accumulazione del capitale materiale e immateriale, la funzione della scuola e dell’università, il modello del welfare, il funzionamento dell’organizzazione pubblica. In questo quadro, accanto al ruolo innegabile del governo sono chiamate ad agire le imprese, integrate con l’apparato finanziario chiamato a sostenerle. Alle prime è richiesto certo un grande sforzo per lasciare le secche di attività produttive non più in grado di generare apprezzabile sviluppo, per accettare le sfide dell’innovazione dei propri prodotti e dell’entrata in nuovi mercati non consolidati dalle passate esperienze, ma dinamici e aperti all’internazionalizzazione. Simile riconversione richiede cambiamenti profondi, quasi epocali, che interessano la dimensione degli investimenti, l’organizzazione del mercato del lavoro, il sistema complessivo dell’istruzione, né può avvenire senza l’impiego di volumi adeguati di risorse. Il punto è delicato: se infatti da un lato la massa dei capitali finanziari necessari è di grande entità, dall’altro non è pensabile che debba essere reperita soltanto attraverso il finanziamento pubblico o mediante l’esclusivo impegno del sistema bancario. Anche in questo campo non è facile pervenire ad un equilibrio condivisibile. Più volte è stato sottolineato, in questo complesso momento economico, la carenza del flusso dei finanziamenti delle banche verso le imprese. Non è mancato chi ha attribuito a questa dinamica la ragione del mancato verificarsi della ripresa. In realtà, il governatore non ha taciuto il rallentamento dei prestiti alle imprese nella seconda parte del 2011, né la loro contrazione di 60 miliardi dall’inizio di dicembre dello stesso anno, fino ad avvicinarsi, tra affievolimenti e accentuazioni, al 4 per cento su base annua nel 2012. In contemporanea s’è affievolito il flusso dei prestiti alle famiglie. La constatazione non autorizza però a individuare in queste dinamiche la causa dell’assenza della crescita, dovendo le banche fare i conti con la diminuzione della raccolta del risparmio e con l’esigenza di sostenere iniziative comportanti accettabili livelli di rischio. Finanziare iniziative destinate all’insuccesso significa distruggere il risparmio stesso, con danno per chi lo ha affidato al sistema bancario nella fiducia della sua difesa; di più, eventi negativi di tal fatta si risolvono nell’aumento dei tassi con danno generale e nuovi freni all’attività produttiva. Le difficoltà di finanziamento delle imprese devono quindi indurre a considerare la necessità di porre rimedio allo scarso sviluppo dei mercati azionari e obbligazionari e indurre le imprese a modificare l’atteggiamento di riluttanza verso l’apertura dei mercati, destinata a risolversi nell’accentuazione della loro dipendenza dai prestiti bancari. Ancora una volta, nel toccare le problematiche economiche, emerge impietoso il loro carattere sistemico, per effetto del quale agendo su un fronte se ne turbano e alterano molti altri simultaneamente, con generazione di controindicazioni capaci di annullare i benefici intravisti in un primo momento. In questo processo tutti i soggetti devono sentirsi coinvolti e agire ciascuno valorizzando le proprie capacità senza pensare che la soluzione risieda nelle scelte e nel comportamento di chi è “altro”. In quest’affermazione il governatore Visco ha dato il suo apporto meno scontato e di maggior valore per il perseguimento del bene comune. Giovanni Zanetti
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