![]() Accesso utente |
Presidenzialismo? MahIn occasione della fiducia al governo delle “larghe intese”, Enrico Letta ha indicato in diciotto mesi il tempo entro in quale il Parlamento dovrà approvare la revisione della Costituzione, dopo aver “messo in sicurezza” il sistema elettorale, per evitare comunque un voto con il porcellum. Dopo un mese, il Parlamento ha votato una risoluzione che accantona la riforma elettorale e affida ad una “convenzione” il compito di redigere un testo di riforma della Carta del ‘48, derogando all'art. 138 della Costituzione. Si è riaperta così una discussione sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica, proposta che nel 2006 un referendum confermativo aveva clamorosamente respinto. La risoluzione sulla “convenzione” esprime un compromesso tra la sinistra e la destra che in altri tempi avrebbe fatto parlare di “inciucio”: la destra accetta il “doppio turno uninominale di collegio” per la elezione dei parlamentari; la sinistra accetta l’elezione diretta di un presidente con funzioni di governo. Si tratta di un“modello” che in Francia richiede due diverse elezioni, mentre chi parla di “sindaco d'Italia” immagina che il Presidente e il Parlamento siano eletti contestualmente a conclusione di un'unica competizione elettorale. Discutere di questa riforma senza aver messo in sicurezza il sistema elettorale, significa restare prigionieri del ricatto del porcellum; e su questo punto Napolitano ha promesso di vigilare. Il giorno prima della riunione del governo, Romano Prodi ha sostenuto su «Il Messaggero» che il semi-presidenzialismo francese è la medicina giusta anche per i mali della democrazia italiana, poiché cura la frammentazione politica e garantisce la governabilità. Ma nello stesso giorno Rosy Bindi ha dichiarato in una intervista a «La Stampa» di non essere disposta a stracciare la Costituzione per favorire le “larghe intese” tra Pdl e Pd. Con un voto caratterizzato da una maggioranza parlamentare molto vasta, ma attraversata da profonde inquietudini, si è così aperta una fase politica che è destinata a riaprire molte ferite, soprattutto nel centro-sinistra. La settimana che si è appena chiusa con le manifestazioni del 2 giugno ha registrato infatti due convegni di segno opposto: il primo a Roma, sul semi-presidenzialismo; il secondo a Bologna, a difesa della Carta del ’48. Per i costituzionalisti Barbera e Ceccanti, che si considerano “progressisti” poiché intendono cambiare la Costituzione, a Bologna si sono riuniti i “conservatori”, cioè i costituzionalisti prigionieri del “complesso del tiranno”, che non comprendono che la politica moderna deve essere caratterizzata soprattutto dalla capacità di decidere. Zagrebelsky e Rodotà accusano invece i costituzionalisti che pretendono l’etichetta di “progressisti” di essere in realtà al servizio di una rivoluzione conservatrice che nega il valore della partecipazione, indebolisce la centralità del Parlamento e il ruolo dei partiti aprendo la strada ad un modello plebiscitario ed oligarchico. In realtà, come si può negare che la personalizzazione della politica è all’origine della frammentazione della rappresentanza, e che anche le ultime elezioni amministrative sono state caratterizzate da coalizioni interessate solo alla conquista del potere? Malgrado il crescente numero di candidati e di liste, nelle ultime elezioni le astensioni sono cresciute in modo impressionante. E il fatto che il sistema elettorale amministrativo costringa infine a scegliere tra due candidati non aumenta la loro reale rappresentatività. Anche secondo Enrico Letta non si può tornare, per l'elezione del Presidente della Repubblica, all'ultima disastrosa esperienza. Con questa riflessione il premier si è schierato con i sostenitori del semi-presidenzialismo; ma dovrebbe riconoscere che questa riflessione non cancella il “tradimento” (nei confronti di Prodi) di oltre cento parlamentari, cioè una vicenda che riguarda il deterioramento della politica spettacolo e dei partiti, non le norme della Costituzione. Non dovremmo dimenticare che su alcune riforme c’è da tempo una intesa che va oltre la stessa maggioranza parlamentare: sulla riforma del bicameralismo perfetto in funzione del federalismo; sul rafforzamento del ruolo del premier, sulla riduzione del numero dei parlamentari… Perché non approvare queste riforme della Costituzione, con la procedura dell’art. 138 e con una maggioranza qualificata che eviti il referendum confermativo? A questa scelta si oppone il fatto che, secondo molti sostenitori del semi-presidenzialismo, stiamo già vivendo un ciclo post-democratico: secondo i sostenitori del semi-presidenzialismo i partiti e il Parlamento sono strumenti obsoleti. Ma se le cose stanno così, prepariamoci ad affrontare il prossimo obiettivo della rivoluzione conservatrice, la demolizione dello stato sociale. Di questo dovrà discutere il prossimo congresso del Pd.
Guido Bodrato
|