Salvò 105 ebrei e morì nel lager

«Se tu avessi visto, come ho visto io in questo carcere, come trattano gli ebrei qui dentro, saresti pentito solo di non averne salvati di più». Disse con convinzione Odoardo Focherini al cognato Bruno Marchesi che lo visitava nel carcere di San Giovanni in Monte a Bologna. Una frase che campeggia nel Museo-Monumento al deportato politico e razziale di Carpi (Modena). Nella sua Carpi, sabato 15 giugno 2013, il «Giusto» Odoardo viene proclamato «Beato» in una celebrazione presieduta dal cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione dei santi. È il primo italiano a essere beatificato per aver salvato gli ebrei dalla persecuzione nazista.

Sposato e padre di sette figli, esponente dell’Azione Cattolica, amministratore del giornale cattolico «L’Avvenire d’Italia»,  medaglia d’oro della Repubblica, «Giusto tra le Nazioni» perché salvò molti ebrei, muore nel 1944 nel campo di concentramento di Hersbruck, martire «in odium fidei».

Odoardo nasce il 6 giugno 1907 a Carpi, dove il padre aveva aperto un negozio di ferramenta, e dove Odo frequenta le scuole elementari e tecniche. A 17 anni è responsabile dell’oratorio. Determinante il rapporto con due sacerdoti, don Armando Benatti e con don Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia, sotto la cui guida nel 1924 si fa promotore de «L’aspirante», giornalino per ragazzi che diverrà strumento di collegamento regionale e poi nazionale per i ragazzi dell'Azione Cattolica. A 18 anni si fidanza con Maria Marchesi, che sposa a 23 nel 1930. Tra il 1931 e il 1943 i coniugi hanno sette figli: sono il loro orgoglio e lo scopo della loro vita. Nel 1934 è assunto dalla Cattolica Assicurazione di Verona come agente e poi come ispettore. Collabora con «L’Osservatore Romano»

Si impegna nell’apostolato in parrocchia e nella carta stampata ed è molto attivo nell’Azione Cattolica: nel 1928 entra nella Giunta diocesana come presidente della Gioventù maschile; nel 1934 è eletto presidente degli Uomini e nel 1936 presidente dell’Azione Cattolica diocesana; cronista di importanti eventi ecclesiali come i Congressi eucaristici; nel 1939 è amministratore delegato de «L’Avvenire d’Italia», quotidiano cattolico regionale. Durante la guerra, insieme alla moglie, organizza una «postazione casalinga» per aiutare la gente a mantenere i contatti con i soldati sui vari fronti.

Diventa eroe quasi per caso. L’arcivescovo di Genova, il cardinale Pietro Boetto – gesuita nativo di Vigone (Torino) - sollecita il direttore de «L’Avvenire d’Italia», Raimondo Manzini, a intervenire per alcuni ebrei polacchi giunti a Genova. Manzini, come fa spesso nelle vicende più delicate, si affida a Focherini e lo incarica di farli espatriare per evitare loro la deportazione. Odo riesce a procurare i documenti contraffatti e a far loro varcare il confine con la Svizzera.

Nel 1938 entrano in vigore le odiose leggi razziali. Con l’8 settembre 1943, con la destituzione del dittatore Benito Mussolini, con l’occupazione nazista, la situazione degli ebrei si fa ancora più drammatica: ar­resto e internamento nei lager, confisca dei beni. L’impegno di Focherini si fa ancora più intenso e rischioso. Odo mette in piedi un’organizzazione clandestina che riesce a condurre in salvo 105 ebrei: prende contatti con persone di fiducia per procurarsi carte d’identità in bianco, le compila con dati falsi e porta i perseguitati al confine con la Svizzera. Trova un fidato amico in don Dante Sala, parroco di San Martino Spino vicino a Mirandola.

All’ultimo ebreo Enrico Donati porta i documenti in ospedale a Carpi. All’uscita è  prelevato dal segretario del Fascio e portato in Questura a Modena. È l’11 marzo 1944: non uscirà più. Sottoposto a un interrogatorio, gli viene contestata una lettera nella quale afferma di «interessarsi degli ebrei non per lucro, ma per pura carità cristiana». L’unico capo di accusa gli procura nove mesi di terribile calvario. Il 13 marzo è condotto nel carcere di San Giovanni in Monte a Bologna dove rimane fino al 5 luglio; poi nel campo di concentramento di Fossoli, frazione di Carpi; il 4 agosto nel campo di Gries (Bolzano); il 7 settembre è deportato in Germania nel lager di Flossenburg nella Baviera orientale e poi nel sottocampo di Hersbruck dove aiuta come può gli sventurati compagni di prigionia e dove muore a 37 anni il 27 dicembre 1944 per setticemia dovuta a una ferita alla gamba.

Gli è vicino e lo assiste nei momenti estremi un altro campione del coraggio e della santità, Teresio Olivelli, luminosa figura di partigiano cattolico, che morirà a Hersbruck il 17  gennaio 1945 per le botte ricevute da una guardia: Odo lo aveva salvato da morte togliendosi il pane di bocca. Presto anche Teresio sarà proclamato beato. Prima di morire riesce a trasmettere le ultime parole di Odo: «Dichiaro di morire nella più pura fede cattolica apostolica romana e nella piena sottomissione alla volontà di Dio, offrendo la mia vita in olocausto per la mia diocesi, per l’Azione Cattolica, per il Papa e per il ritorno della pace nel mondo».

Di quei terribili mesi di prigionia rimane la testimonianza preziosissima di ben 166 lettere, pubblicate nel 1994, che Odoardo riesce a far pervenire alla moglie Maria, ai genitori e agli amici facendole passare sotto il naso dei tedeschi e gabbando la censura: in esse nessun cedimento, nessuna recriminazione per l’attività clandestina a favore degli ebrei.

L’Unione delle comunità israelitiche italiane nel 1955 gli assegna la medaglia d’oro alla memoria per aver salvato tante vite innocenti, «prodigandosi attivamente e instancabilmente per un lungo periodo a favore degli ebrei, particolarmente per salvare quelli ricercati». Nel 1969, insieme all’amico don Dante Sala, è iscritto nell’albo dei «Giusti tra le nazioni» a Yad Vashem. Nel 1996 la diocesi di Carpi avvia la causa di beatificazione che procede spedita e nel 1998 passa a Roma. Il 10 maggio 2012 Benedetto XVI firma il decreto sul martirio. Nel 2007 l’Italia gli conferisce la medaglia d'oro al merito civile alla memoria. Splendida figura di laico cattolico, paga con la vita la coerenza cristiana e l’impegno per gli altri. Per vivere fa l’assicuratore; per apostolato lavora nell’Azione Cattolica; a tempo pieno è marito affettuoso e padre premuroso di sette figli; nella sua breve vita è un cristiano tutto d’un pezzo, sempre sereno.

Pier Giuseppe Accornero

 



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