Essere credenti oggi

Può stupire, intrigare o, addirittura, scandalizzare. Eppure non è altro che il metodo di ricerca proposto dall’eminente gesuita Michel de Certeau. Si tratta del “bracconaggio”, ossia l’assumere una posizione di forte curiosità che sappia cogliere, all’interno di una lettura attenta, frammenti utili su cui riflettere, materiali che possano tornare utili per costruzioni riciclabili.

Una finezza da ricercatore e non, quindi, una pratica tipica dello studente indolente che si limita al “copia/incolla”. Non solo. Ma il “bracconaggio” autorizzato comporta anche la gioia della scoperta, del chinarsi sui testi, dell’elaborazione personale.

Chi ha voglia di diventare un “bracconiere” esperto, dunque, non ha altro da fare che leggere «Il cristianesimo in frantumi» (Michel de Certeau – Jean-Marie Domenach, Effatà, pp. 112, € 9.50). Non dovrà violare antichi sarcofaghi o derubare tesori impolverati. Dovrà solo fare i conti con una ridda di interrogativi che si susseguiranno senza tregua. La traduzione italiana, chiara e rigorosa, di Stella Morra, presenta ai lettori italiani il testo del noto gesuita pubblicato nel 1973. Ma perché invitare a soffermarsi, da “bracconieri”, su di un libro vecchio di quasi quarant’anni? La ragione è molto semplice: pur essendo stato pensato e scritto decenni fa e offrendo quindi uno sguardo di primo acchito retrospettivo, «Il cristianesimo in frantumi» risulta quanto mai attuale e stimolante.

Si tratta di un testo di lettura scorrevole e intrigante, malgrado la gravità dei temi toccati, poiché riporta la trascrizione di un dialogo radiofonico fra de Certeau e Domenach, combattente della Resistenza e per anni direttore della rivista «Esprit», sempre pronto ad intervenire a favore di ogni battaglia sociale. La domanda sottesa è quella che ha inseguito tutta la vita de Certeau: come poter essere cristiani nella nostra società contemporanea? come vivere da credenti nel cuore stesso della modernità, in perenne dialettica e confronto con le istituzioni, le autorità, la Chiesa stessa?.

Il provinciale dei gesuiti, Odilon de Varine, informato della pubblicazione del libro solo a pochi giorni dalla sua diffusione, ne prese ampia distanza, pur riconoscendo all’autore generosità di cuore e di spirito e la notevole capacità di comprendere i movimenti propri del secolo. In realtà, non ne avrebbe accettato la pubblicazione. Il “bracconaggio” inquieto e sempre in movimento di de Certeau suscitava notevoli perplessità nel caldo ’68, tanto che il direttore della rivista «Christus», Maurice Giuliani, non vedeva di buon occhio la sua collaborazione: «Da molto tempo, il p. de Certeau è un soggetto di inquietudine veritiera. La sua perpetua tensione verso degli oggetti nuovi di ricerca, l’interesse appassionato (alla maniera di un adolescente molto dotato) che egli porta a tutte le cose, la sua quasi impossibilità di scegliere e fissarsi hanno fatto che, dopo un anno di esperienza (nel 1955-1956 credo), io mi sono sempre opposto a che ritornasse a “Christus”». Il teologo Pierangelo Sequeri legge invece de Certeau in un’altra ottica: «Un uomo fondamentalmente semplice, che tale è rimasto sino alla fine, alle prese, suo malgrado, si direbbe, con le infinite sollecitazioni di una ricerca difficile».

Pur appellandosi alla teologia e alla filosofia, come ambiti in cui era necessario riflettere, il solo elenco in cui egli si inoltrò lascia stupefatti: linguistica, storiografia, psicanalisi, mistica, etnologia, fenomenologia del ’68… Spirito abitato dai suoi contemporanei e dalle loro voci (Lacan, Lévinas, Ricoeur, Foucauld…), al suo funerale de Certeau raccolse ben quattrocento eminenti intellettuali di diversissima estrazione, ponendo un sigillo a quanto un tempo affermò un suo superiore: «Era così fraterno, avvincente per la sua ricerca di Dio e, nello stesso tempo, così diverso, strano come forse la verità». Non fu proprio una messa funebre, listata a lutto, ma un inno alla vita sottolineato dalla canzone di Edith Piaf «Non, je ne regrette rien» che egli stesso aveva predisposto fosse cantata.

Da studioso di mistica del ‘500 e ‘600 de Certeau aveva colto il comun denominatore dei testimoni dell’irruzione di Dio nella storia: l’Assente. Tema fondamentale per lui nella ricerca e nella metodologia, ma anche Persona incontrata e amata con grande passione. L’ampia e articolata introduzione di Stella Morra puntualizza e circoscrive la tematica che rischia di sfuggire per la sua complessità e per la profondità con cui viene affrontata: «Certeau fa in questo testo un’analisi molto critica di un cristianesimo che diserta sempre di più i luoghi tradizionali dell’esperienza religiosa e prolifera negli spazi profani e nella disgregazione dell’istituzione ecclesiale, marginalizzata dal processo accelerato della secolarizzazione della società».

Secondo de Certau l’esperienza comunitaria della fede deve trovare la sua dimensione propria nel vivo della modernità, pena il suo dissolversi in un cristianesimo che sia vivibile ma anche visibile e renda operanti due dimensioni: l’ardente e leale sequela di Gesù nel cuore di ogni persona e un’etica che trasformi il quotidiano. Questo stile, che viene instaurandosi, pone tante domande che non sono superate e le cui risposte, guadagnate attraverso le intuizioni che costellano questo colloquio radiofonico, possono diventare semi di nuova fecondità. «Pratiche significanti» afferma de Certeau, e vuole discuterle fino alla loro più profonda radice. La sfida non è da poco.

Si profila quindi una sorta di transito, ma come deve essere percorso questo transito, così dinamico e così coinvolgente? Sarà una scoperta per il lettore cogliere l’aggancio fra tre elementi che si susseguono direttamente: il lavoro sul limite, la pluralità del mondo e dei cristiani, la (ri)definizione dell’autorità e la dinamica della vita della Trinità. Ghislain Lafont osb, nella sua postfazione al libro, sostiene che de Certeau propose aperture, nuove strade. Il segreto stava tutto nell’individuarle. E percorrerle.

Cristiana Dobner


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