Don Gallo due Chiese in una sola

Lo Spirito, e la diversità dei doni: la Chiesa al funerale di don Andrea Gallo ha dato l’impressione di essere scossa da un vento impetuoso, che ha turbato, e fatto pensare. Poi, però, è stato nella brezza leggera che tutto si è ricomposto. Quello che è accaduto a Genova il 25 maggio, per la prima volta il prete di strada don Andrea Gallo non potrà raccontarlo, e i giornali e le telecamere non potranno registrare un suo commento sferzante e certamente provocatorio.

Don Gallo non c’è più, lui e il suo sigaro e il suo cappello, le sue sciarpe rosse e le bandiere della pace (e del Genoa), i suoi quasi ottantacinque anni, i suoi abbracci alla gente e la sua voglia di «metter dentro» tutti. Lui «compagno» da «cum-pane», come spiegava, perché al don Gallo partigiano si era affiancato un prete che voleva farsi mangiare dalla gente infilandosi dentro alle vite degli altri: e più erano storte, patite, malate, boccheggianti più ci entrava dentro per portarle fuori a respirare l’ossigeno della sua Comunità, quella di San Benedetto al Porto. Ed ecco ancora il Porto, a Genova, da dove tutto viene e tutto va, vita e morte, sofferenza e riscatto.

Dopo essere entrato nei Salesiani, ed essersi immerso nell’educazione dei ragazzi della nave scuola «Garaventa», e nell’assistenza ai carcerati alla Capraia, era approdato ad una parrocchia portando un bagaglio di sete di giustizia e di riscatto per gli ultimi che non lo avrebbe lasciato più. Arcivescovo di Genova era allora Giuseppe Siri, e dalla parrocchia il pastore troppo “politico” venne spostato, e accolto a ridosso del porto, in quella Chiesa di San Benedetto che da allora divenne il crocevia delle strade perdute e delle strade ritrovate.

Il «fratello sacerdote» don Andrea «svolse il suo ministero sacerdotale con lo sguardo e il cuore attratti da coloro che portavano più evidenti le ferite del corpo e della vita, quelle dell'anima», ha detto al funerale Angelo Bagnasco che adesso era il suo arcivescovo, il quinto nella sua storia di «pretaccio», come si definiva lui: e con tutti, diceva, confronto e buon accordo. Un funerale che ha fermato Genova, ha riempito le strade di un fiume di persone «opposte e contrarie» parafrasando il già molto citato per l’occasione Fabrizio De Andrè, amatissimo da don Gallo che ne amava i versi a modo di “quinto vangelo”.

Impiegati e pensionati, ex tossici di mezza età e genitori dei gruppi di auto-aiuto, signore della borghesia e rappresentanti della no Tav, genovesi affezionati e gente arrivata da lontano con il rammarico di non essere venuti prima a conoscerlo, cattolici pacifisti e le trans, i no global del G8 tragico di Genova, i lavoratori del Porto e quelli della Comunità con la scritta sulla maglietta: «Dimmi chi escludi e ti dirò chi sei». Chi di loro ha incominciato a tossire e poi ad applaudire polemicamente, chi ha impedito ad Angelo Bagnasco di continuare l’omelia dopo aver citato Siri «che don Andrea considerava maestro e benefattore»? Chi ha fermato il vescovo che con don Andrea aveva un rapporto di «schiettezza e rispetto»?

Li univa la genovesità, ma non soltanto: quindici anni di differenza, famiglie semplici e le madri a passar la fede («La mia prima teologa?», diceva don Gallo: «Mia mamma Tommasina»), lo scoutismo e lo stesso amore per la gente: con una enorme, evidente differenza di stile e di approccio pastorale, ma sempre nella stima e nel dialogo. Due preti che si erano salutati, pochi giorni prima della morte, nella stanzetta di don Gallo, con l’immagine della Madonna e la finestra affacciata sul porto: «Come sempre era felice e grato dell'incontro, sereno e a tratti scherzoso», raccontava Bagnasco. Ma è stato come se la sua omelia dovesse passare attraverso il vaglio del fuoco. Parole rifiutate come corpo estraneo. «Due chiese» contrapposte, è stato detto, ma è far torto a don Gallo che diceva sempre «amo la mia Chiesa», e lì dentro voleva stare.

Hanno zittito il vescovo, ed è stato un momento doloroso per tutti: per chi contestando voleva sottolineare ingiustizie del passato, per chi si portava addosso battaglie e rabbia, e don Gallo non c’era più a dirgli «hai ragione», ma anche doloroso perché una cosa così non si è mai vista, e meno che mai per il presidente dei Vescovi italiani, che solo pochi giorni prima nella sua prolusione alla Cei disegnava una società che sia «una comunità di vita e di destino nella quale nessuno si trova abbandonato a se stesso, ma preso in cura, sostenuto con la vicinanza dell’amore». Parole fatte carne a San Benedetto, che prendeva in cura con abbracci che salvavano e riportavano alla vita. Nella Chiesa, e non in una Onlus, don Andrea dava risposta alle sofferenze, e «sapeva», ha commentato Bagnasco, «che era la sua risposta e non pretendeva che fosse di tutti, perché la fantasia del bene è grande ed è percorsa con generoso sacrificio da molti». La diversità dei carismi, appunto. Ma alcuni entrano nel cuore della gente, altri sono di più difficile lettura.

«Don Gallo credeva fortemente nel suo essere prete», ha detto con coraggio Lilli, segretaria da sempre nella Comunità, al microfono dal quale Bagnasco non poteva più parlare zittito dalla folla ormai urlante, «e ha sempre detto che la Chiesa senza la testa non funziona. Perciò aveva un grosso rispetto per il proprio vescovo. Dobbiamo imparare ad ascoltare tutte le voci, come don Gallo ha ascoltato voi». E ognuno ha taciuto, allora, memore di quell’ascolto, e fatto responsabile: «Don Gallo», ha poi detto, gridato, l’amico don Luigi Ciotti, il fondatore di «Libera» contro le mafie, che concelebrava, «ha cercato Dio nei poveri, negli ultimi, in quelli che fanno più fatica, in quelli che ci mettono discussione e che in fondo ci indicano la strada. Non dimenticava la dottrina, ma non ha mai permesso che questa diventasse più importante dell’umanità».

Un’umanità che don Gallo voleva «far entrare», tutta: in una recente intervista proponeva, invece dell’extra omnes del Conclave, il «dentro tutti»: dentro le lesbiche, i gay, i divorziati. Parole forti alla don Gallo, che voleva che la Chiesa ritornasse al primato della carità accogliente. Facile travisare e parlare di altri diritti che non quello di essere amati e accolti, ma quel rischio lo voleva correre.

La brezza leggera dopo la rabbia e la divisione è arrivata al momento della Comunione, quando all’arcivescovo contestato si sono accostati quegli ultimi che gridavano l’esclusione: placati, chiedevano l’ostia, e il Pastore gliela porgeva. «La messa non è finita», diceva sempre don Gallo al termine delle sue affollate messe della domenica, «la messa comincia ora».

Daniela Ghia



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