![]() Accesso utente |
De Giorgis, profeta per la fede«Per disavventura troppi cristiani hanno dimenticato che la denuncia profetica è una dimensione essenziale della fede, e si sono adattati a quello che per primo Mounier chiamò il “disordine stabilito”». Ettore De Giorgis scriveva così nel 1972, fotografando l’inquietudine di una generazione di cattolici formatisi con il Concilio Vaticano II, ma anche raccontando il suo personale percorso di fede. Nato nel 1931 nelle valli di Lanzo che si inerpicano tra il Piemonte e la Francia, collaboratore di riviste, tra cui alcune della “contestazione” cattolica, insegnante di filosofia in un liceo di provincia, ma anche viaggiatore instancabile tra Parigi, l’Europa dell’Est e l’estremo Oriente, De Giorgis era espressione delle molte e contrastanti tensioni vissute dalla Chiesa nel dopoguerra italiano. Era alla ricerca di una fede adulta, convinto che la Chiesa dovesse riscoprire le sue origini evangeliche e che il mondo si potesse cambiare attraverso scelte controcorrente, di cui anche i cristiani dovevano farsi carico. «Una “politica cristiana” è un’aberrazione», constatava, «ma per un credente la politica che egli compie è animata da una motivazione cristiana. Sarebbe ben squallida quella fede che fosse contenuta nei confini della vita privata». Non è un caso che la figura e le riflessioni di Ettore De Giorgis siano riscoperte ora, a vent’anni dalla sua morte: l’incertezza del tempo presente rende più urgente la ricerca di strade capaci di guardare al futuro, per immaginare una società “a misura d’uomo” e una Chiesa dal volto accogliente. Negli anni passati è stata pubblicata, per mano di un gruppo di amici, una parte dei numerosissimi scritti di De Giorgis, alcuni apparsi anche su «il nostro tempo» (come il reportage dalla Cecoslovacchia sulle drammatiche giornate dell’estate 1968 che misero fine alla Primavera di Praga), come pure su «Vita sociale» e «Koinonia» dei padri domenicani, sul mensile «Il Foglio» e soprattutto sulla prestigiosa rivista «Esprit» fondata da Emmanuel Mounier, di cui si riteneva «discepolo». La sua ricchissima biblioteca è stata donata al monastero di Camaldoli lungamente frequentato da De Giorgis ed è terminato il riordino delle sue carte d’archivio da parte dell’Istituto storico della Resistenza di Torino, grazie ad un contributo della Compagnia di San Paolo. Ora la pubblicazione del volume «Cristiani inquieti tra fede e politica», curato da Andrea D’Arrigo e introdotto da Giancarlo Chiarle (Ed. Seb27), dove sono raccolti gli atti del convegno tenutosi nel 2011 a Lanzo, dà la possibilità di conoscere più da vicino questo personaggio dalla folta barba nera e dall’inseparabile cappello calato sugli occhi, pensoso e capace di coinvolgere i suoi interlocutori con domande che spiazzavano per la loro radicalità. Come molti altri giovani della sua generazione, si era formato nelle fila della Gioventù dell’Azione cattolica e poi, durante gli anni dell’università, aveva incontrato il vivace ambiente della Fuci e insegnanti che lasciarono un segno profondo nella sua vita: lo studioso della letteratura italiana Giovanni Getto, il filosofo Luigi Pareyson e soprattutto mons. Michele Pellegrino, con cui si laureò in Letteratura cristiana antica. Riflessione filosofica e curiosità per le vicende internazionali lo avevano avvicinato a posizioni pacifiste e reso partecipe delle aspirazioni di liberazione provenienti dal “Terzo mondo”. De Giorgis vide nel Concilio la risposta alle speranze di cambiamento di moltissimi cristiani che tentavano di vivere pienamente la loro fede nella società moderna: non era un approdo sicuro, piuttosto un punto da cui partire, non in modo solitario, ma insieme a tutti coloro che non si accontentavano delle apparenti sicurezze della società dei consumi e delle verità indiscutibili. Il Concilio vaticano II arrivò anche per Ettore De Giorgis in modo imprevisto, soltanto un po’ meno inatteso che per altri cattolici della sua generazione. Durante il suo episcopato, Pellegrino raccolse ciò che era già maturato nella Chiesa di Torino anche attraverso l’azione dei gruppi frequentati da De Giorgis e non ebbe timore di guardare dentro le tensioni che si erano accumulate, silenziose e sommerse, prima del suo arrivo: ci sono rare stagioni – e fu quella vissuta intensamente da Ettore De Giorgis – in cui i profeti riescono a raccogliere i frutti dei semi che hanno gettato. Marta Margotti
|