Ma la Fiat non conta più nulla?

L’autorevole agenzia Bloomberg, fondata dall’attuale sindaco di New York. Ha lanciato sui canali finanziari la notizia del trasferimento della sede Fiat-Chrysler da Torino a Detroit, popola fusione prevista nel 2014. Il Lingotto ha risposto che il tema non è all’ordine del giorno: la smentita è valida per l’oggi, ma non supera le preoccupazioni per il 2014, quando saranno concluse le trattative tra Marchionne e il socio americano di minoranza (il sindacato dell’auto).

Il «Corriere della Sera», sempre più di proprietà Fiat, ha avanzato l’ipotesi che la fusione, com’è già avvenuto per il colosso Iveco-Cnh (che ha scelto come sede l’Olanda), determini una “terza via”, forse il Brasile, con Torino capofila per l’Europa e Detroit per gli Usa. Ma per il Piemonte e l’Italia sarebbe comunque una perdita storica, dopo oltre un secolo di egemonia subalpina nel mondo delle quattro ruote.

Sempre in casa Fiat il numero due, Altavilla, parlando all’Anfiaa, non ha indicato Mirafiori tra i siti produttivi italiani in cui sono stati definiti i nuovi investimenti. Si deve attendere la fine dell’anno, quando Marchionne valuterà i risultati dell’iniziativa sull’ex Bertone di Grugliasco, capofila del “polo del lusso”, con la sigla Maserati; se la Ghibli andrà bene, secondo «la Repubblica», ci sarà uno spazio anche per Torino; altrimenti dovrà essere tutto ripensato.

Le due vicende  della Bloomberg e di Mirafiori  sono praticamente passate sotto silenzio, a Torino e nel Paese, come se la questione Fiat non fosse più centrale. Nel capoluogo subalpino i media sono dominati dalla Tav, dal Salone del libro e dalla triste vicenda di chi si toglie la vita per la crisi; a Roma dominano l’Imu, i processi di Berlusconi, le minacce di Grillo, le divisioni nel Pd. Ma una domanda s’impone: la questione industriale può essere ritenuta marginale, in un Paese con tre milioni di senza-lavoro? E Torino può accettare per i lavoratori di Mirafiori un nuovo anno di cassa integrazione, senza prospettive chiare, con uno stipendio di 800 euro mensili? E’ certamente giusto che il governo Letta chieda a Bruxelles nuovi margini di spesa, extra deficit pubblico, per la disoccupazione giovanile che sfiora il 40 per cento, ma il futuro della sede centrale Fiat-Chrysler (con cinquemila addetti) non è tema che esiga adeguata attenzione? E lo stabilimento simbolo di Mirafiori può rasentare paralizzato in eterno?

Ovviamente questa domanda dovrebbe interessare ancor più Regione, Comune e Provincia di Torino, direttamente colpiti dalla paralisi produttiva di Mirafiori e dalle prospettive incerte per le direzioni centrali. Analogamente le forze politiche, tutte prese dalle crisi interne, dovrebbero interrogarsi sulle vere priorità programmatiche per le istituzioni.

E’ comunque sorprendente il cambio di marcia etico e culturale sulla questione Fiat: nel “secolo breve” è stata centrale non solo per il Pci, ma anche per la Dc e il Psi (pensiamo al ruolo di Forze nuove di Donat-Cattin e Bodrato e della sinistra lombardiana di Mario Nesi); oggi c’è una sostanziale delega in bianco al finanziere italo-canadese Sergio Marchionne (che ormai trascorre a Detroit il 70 per cento del suo impegno professionale); la stessa Fiom sembra privilegiare le battaglie contro la Tav Torino-Lione, come se il Lingotto e Mirafiori fossero elementi di una sconfitta sicura (il numero uno della Fiom piemontese, Giorgio Airaudo, è passato all’impegno parlamentare con Sel). A sua volta Confindustria, di cui Fiat non fa più parte, sembra giustificata a disinteressarsi del futuro torinese e italiano del Lingotto, che pure occupa oltre 50 mila dipendenti.

E’ vero che Bloomberg non è la Bibbia (anche se l’agenzia statunitense è leader dell’informazione finanziaria, ma il nuovo presidente del Consiglio (con il sindaco di Torino e il presidente della Regione) dovrebbe seguire una strada diversa da Berlusconi e Monti, non limitandosi a leggere le note del Lingotto, ma attuando una verifica immediata sul futuro del Gruppo. Perché il 2014 è dietro l’angolo.

Mario Berardi

 



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