Don Puglisi, una vita alla salvezza dei giovani

Don Pino Puglisi, barbaramente assassinato dalla mafia il 15 settembre 1993 «aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale: nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani e si è adoperato perché ogni famiglia vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli. Il popolo affidato alle sue cure ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo buon pastore».

Sabato 25 maggio a Palermo sarà proclamato beato. I giornali ne parleranno, certo, ma probabilmente solo in chiave anti-mafia… Ma la vita e il martirio di questo prete «buon pastore», nostro contemporaneo, brilla di «carità pastorale», come ricordava papa Benedetto XVI. Il 12 giugno 2012 venne riconosciuto il suo martirio «in odio alla fede». Alla cerimonia si attendono 100 mila fedeli da tutta Italia. Per questo la curia di Palermo ha deciso di spostare la cerimonia dallo stadio Renzo Barbera al prato del Foro italico, dopo che 62 mila fedeli (più del doppio della capienza dello spazio originalmente individuato) hanno fatto richiesta di partecipare. La cerimonia inizierà alle 10.30. La messa sarà presieduta dal cardinale Paolo Romeo. La croce posta sull’altare, quella del Cristo all’Olivella, sarà la stessa utilizzata durante la messa del 1982 all’Ippodromo presieduta da papa Giovanni Paolo II.

Padre Puglisi nasce a Palermo, nel quartiere periferico di Brancaccio, il 15 settembre 1937 da una famiglia modesta: il padre era calzolaio, la madre sarta. A 16 anni, nel 1953, entra nel Seminario ed è ordinato sacerdote il 2 luglio 1960 dall’arcivescovo cardinale Ernesto Ruffini, che non brillava per impegno antimafia. Don Pino fa molte esperienze pastorali: vicario cooperatore della parrocchia Santissimo Salvatore nella borgata Settecannoli, limitrofa a Brancaccio; rettore della chiesa San Giovanni dei lebbrosi; cappellano dell’orfanotrofio Roosevelt e vicario della parrocchia Maria Assunta a Valdesi. La sua intensa attività educativa è rivolta particolarmente ai giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati. Segue con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II (1962-1965), è un convinto sostenitore delle sue riforme: rinnovamento liturgico, ruolo dei laici, ecumenismo. Vuole incarnare l’annunzio di Gesù e si impegna perché la comunità cristiana assuma i problemi della gente e li faccia propri.
Dal 1° ottobre 1970 al luglio 1978 è parroco di Godrano, piccolo paese della provincia, segnato da una sanguinosa faida tra clan mafiosi, e segue le battaglie sociali delle periferie. È raggiunto da numerosi incarichi: pro-rettore del Seminario minore, direttore del Centro diocesano vocazioni, responsabile del Centro regionale vocazioni. Agli studenti e ai giovani si dedica con passione realizzando con i campi scuola un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico. È docente di matematica e poi di religione in varie scuole: dal 1978 al ’93 insegna al liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo. È animatore di numerosi movimenti: Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipes Nôtre Dame. Dal marzo 1990 si occupa della «Casa Madonna dell’accoglienza» e dell’«Opera pia cardinale Ruffini» in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà.
Il 29 settembre 1990 è nominato parroco di San Gaetano a Brancaccio e nel 1992 direttore spirituale nel Seminario arcivescovile. Realizza subito il «Centro Padre nostro» per l’evangelizzazione e la promozione umana, che inaugura il 29 gennaio 1993 come punto di riferimento per giovani e famiglie. Il quartiere è controllato dalla criminalità organizzata dei fratelli Graviano, capi-mafia legati al boss Leoluca Bagarella. Don Pino nelle sue omelie si rivolge spesso ai mafiosi invitandoli alla conversione. Soprattutto educa bambini e ragazzi perché non finiscano tra gli artigli della criminalità diventando spacciatori e assassini; si indirizza ai minori che vivono in strada e che considerano i mafiosi degli «idoli» e persone «di rispetto». Con attività e giochi fa capire loro che si può ottenere il rispetto dagli altri senza essere criminali, per le proprie idee e i propri valori. Si occupa del recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa e li toglie dalla strada: senza il suo aiuto sarebbero passati dai piccoli furti e dal mini-spaccio alla grande criminalità e sarebbero finiti tra le fauci della mafia. Riafferma nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Il fatto che strappi i giovani alle cosche infastidisce i boss di Cosa nostra che lo considerano un ostacolo. Così decidono di farlo fuori dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò con nessuno. Come ricostruirono poi le inchieste penali e canoniche, questa intensa attività pastorale costituisce il movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti furono arrestati e condannati.

Il suo killer, Salvatore Grigoli, reo confesso e pentito, racconterà che il 15 settembre 1993 sul sagrato della chiesa, prima di essere crivellato di colpi, don Puglisi gli fece un sorriso e mormorò: «Me l’aspettavo». Quel giorno compiva 56 anni.

Il suo esempio e il suo sacrificio hanno portato frutti. La conversione di giovani mafiosi. Dal 1994 in diocesi di Palermo il 15 settembre segna l’apertura dell’anno pastorale. Due anni dopo il suo martirio, il terzo convegno nazionale della Chiesa italiana si tenne a Palermo alla Fiera del Mediterraneo: dal 20 al 24 novembre 1995 quasi duemila delegati da tutta Italia si confrontarono sul tema «Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia». Presidente del Comitato preparatorio era l’arcivescovo di Torino cardinale Giovanni Saldarini e arcivescovo di Palermo era il cardinale Salvatore Pappalardo.

Per richiamare i problemi del degrado, della disoccupazione, della mafia e per ricordare il prete martire si organizzarono «incontri con la città di Palermo» a bordo di una nave, in una palestra del quartiere Borgonovo, nel poverissimo quartiere Zen, nell’auditorium dell’«Istituto don Orione» e in un deposito di autobus nel quartiere Brancaccio dove svolse la sua missione in quelle case e fra quelle strade piene di miseria e di violenza, per strappare a colpi di Vangelo i giovani alla mafia, che gli strappa la vita ma fallisce nel tentativo di estirpare il seme di bene, di dignità e di civiltà che ha piantato nel cuore della Sicilia e dell’Italia. Innumerevoli scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze portano il suo nome.

Il 3 ottobre 2010, in visita a Palermo, Benedetto XVI dice: «Chi è saldamente fondato sulla fede, chi ha piena fiducia in Dio e vive nella Chiesa, è capace di portare la forza dirompente del Vangelo. Così si sono comportati i santi e le sante fioriti a Palermo e in Sicilia, laici e sacerdoti come don Pino Puglisi. Vi esorto a conservare viva memoria della sua testimonianza imitandone l’eroico esempio». Ai giovani aggiunge: «Conosco le vostre difficoltà e l’impegno con cui cercate di reagire e di affrontare i problemi, affiancati dai vostri sacerdoti, che sono autentici padri e fratelli nella fede, come è stato don Puglisi». Sulla sua tomba c’è la frase di Gesù: «Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici» (Giovanni 15,13).

Pier Giuseppe Accornero

 

 



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