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I due esemplari Papi lombardi«Questi due grandi Papi, alberi maestosi nella storia della Chiesa del XX secolo che affondano le loro radici in un terreno comune e, pur con caratteristiche proprie e per strade diverse, maturano i loro frutti intrecciandosi profondamente, hanno segnato in modo incisivo la storia della Chiesa e del mondo contemporaneo». Così don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, introduce il ruolo che Giovanni XXIII e Paolo IV hanno avuto in merito all’evento conciliare. Per sottolineare l’importanza di un doppio cinquantesimo anniversario – 3 giugno 1963, morte di Giovanni XXIII, il «Papa del Concilio», e 21 giugno 1963, elezione al soglio pontificio di Paolo VI – è stato organizzato il convegno internazionale tenutosi il 12 e 13 aprile presso il Centro congressi Giovanni XXIII di Bergamo e patrocinato dalla Conferenza episcopale italiana. Direttore, con questo evento si è voluto fare comprendere il Concilio vaticano II come atto di pontificato che riguardò Giovanni XXIII e Paolo VI, seppure in modo diverso per ciascuno dei due. In relazione a questo aspetto, quale è stato l’obiettivo del convegno? Un atto di pontificato di questa importanza si comprende ancora di più andando alla sua origine e, quindi, esaminando le caratteristiche del pensiero e dell’azione pastorale di chi lo ha ideato e avviato e di chi lo ha portato a termine. A questo proposito è opportuno ricordare ciò che scrisse il vescovo Giacomo Lercaro nel testo «Giovanni XXIII: linee per una ricerca storica» del 1965, quando afferma che se si vuole comprendere il «mistero» di Roncalli occorre guardare in primo luogo alla sua formazione. Nell’ambito del convegno si è cercato, quindi, non solo di vedere le figure dei due Pontefici in maniera parallela, ma anche di fare intrecciare tra loro i due percorsi esistenziali ed ecclesiastici. Pur tenendo conto della differente estrazione sociale delle loro famiglie, e di molti altri elementi di diversità tra essi (generazionale, di carattere, di sensibilità) si consideri che tutto ciò non ha mai costituito un impedimento all’accordo ed all’amicizia reciproca. Per questo si è cercato di mettere in evidenza quali fossero le matrici comuni dei due protagonisti del Concilio vaticano II. Il programma del convegno rivela i tre nuclei tematici attorno ai quali si è svolta la discussione. Quale è, don Bolis, il primo dei tre aspetti attraverso cui comprendere il legame tra Roncalli e Montini? Certamente, per quanto riguarda i loro percorsi di formazione, non si può prescindere dalla comune radice lombarda, così come dal legame con figure quali san Carlo Borromeo (che ricordo essere stato visitatore apostolico delle due diocesi di Milano, Bergamo e Brescia) e del cardinale Andrea Carlo Ferrari, arcivescovo di Milano, con cui Angelo Roncalli strinse un rapporto di amicizia. Le Chiese di Bergamo, di Brescia e di Milano hanno sempre avuto molti elementi in comune, emersi soprattutto tra l’Ottocento e il Novecento: proprio in quel periodo si costituì la Conferenza episcopale della Lombardia. A tal proposito si ricordi, inoltre, che quest’anno cade il centenario della lettera collettiva (incentrata sul tema della scuola cattolica) con la quale l’episcopato lombardo decise di celebrare il XVI centenario dell’Editto di Milano: questo documento fu redatto dal trentaquattrenne Angelo Roncalli. Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto: quali furono le caratteristiche dell’esperienza diplomatica che caratterizzò la carriera ecclesiastica dei due pontefici? È vero che l’esperienza diplomatica caratterizza gran parte della vita di Roncalli così come quella di Montini, e che in entrambi i casi essa fu avviata proprio durante il pontificato del primo dei tre pontefici lombardi del Novecento: Pio XI. Roncalli trascorre ben ventotto anni nel servizio diplomatico della Santa Sede, di cui quasi un decennio come visitatore apostolico in Bulgaria, proprio a partire dalla sua consacrazione episcopale, avvenuta nel 1925, cui seguirono i dieci anni nella Delegazione apostolica in Turchia e Grecia, con la nomina di amministratore apostolico dei cristiani cattolici di Istanbul, ed otto anni come nunzio apostolico a Parigi. Montini, invece, già nel 1923 venne avviato agli studi diplomatici e iniziò, così, la sua collaborazione con la Segreteria di Stato, di cui divenne sostituto nel 1937. Entrambi i futuri pontefici mantennero i rispettivi incarichi diplomatici fino alla loro nomina alla guida delle due grandi diocesi di Venezia e di Milano. Si può rintracciare, per entrambi, un legame tra le rispettive esperienze di formazione e diplomatiche e le idee che portarono al Concilio vaticano II? Sicuramente l’esperienza diplomatica, seppure condotta da Roncalli ai margini della cristianità e da Montini al suo centro, ha forgiato entrambe queste personalità. La tesi da cui parte il convegno è, comunque, che la formazione in ambiente lombardo e le rispettive esperienze diplomatiche hanno sicuramente determinato in Roncalli la nascita dell’idea del Concilio vaticano II ed in Montini la sensibilità nel condividere e nel portare avanti questo progetto. Si pensi, ancora, alla formazione di entrambi nell’ambito della Chiesa lombarda: si tratta di una Chiesa fortemente dinamica, sempre attenta alle situazioni sociali nuove ed emergenti, una Chiesa che vuole mantenere i rapporti con il mondo, e quest’ultimo sarà uno dei temi fondamentali ripresi dal Concilio vaticano II. Quella della Lombardia fu sempre una Chiesa, quindi, non chiusa in sé ma improntata verso la ricerca continua dell’unione con i fratelli “separati”: a questo punto è soprattutto l’esperienza diplomatica di Roncalli a parlare in maniera chiara. Un terzo nucleo: dall’esperienza diplomatica alla guida di due grandi diocesi italiane. Può spiegare, don Ezio, questo elemento in comune tra i due pontefici? Il terzo grande capitolo del confronto tra Roncalli e Montini riguarda proprio come l’esperienza pastorale in una città come Venezia per il primo (avvenuta dal 1953 al 1958) e come Milano per il secondo (che fu arcivescovo della diocesi ambrosiana dal 1954 al 1963) abbia fatto nascere in entrambi i due protagonisti del Concilio vaticano II una sensibilità ecclesiologica ed ecclesiale diversa proprio perché indubbiamente più dinamica rispetto a quella consueta. È proprio questo terzo tema dell’indagine sul legame tra Roncalli e Montini a rivelare il motivo per cui l’evento conciliare del Novecento elaborerà una diversa immagine di Chiesa. Quale è stato l’evento culminante nella storia di amicizia tra Giovanni XXIII e Paolo VI, cominciata nel 1925 e proseguita fino alla morte di Roncalli? Questa domanda fa subito pensare all’investitura di Montini da parte di papa Giovanni XXIII. Non si dimentichi che una tra le prime decisioni che Roncalli prese poco dopo la sua elezione al soglio pontificio fu proprio l’inserimento della promozione cardinalizia di Montini nel primo Concistoro. Ai suoi occhi, l’amico cardinale di origini bresciane rappresentava tutti i vescovi del mondo, quell’episcopato che Giovanni XXIII ha voluto costantemente coinvolgere nell’esercizio del suo ministero. Inoltre, non era per nulla un segreto che Montini mantenne sempre uno stretto vincolo di amicizia con Roncalli, e che fu tra gli ultimi a visitarlo, morente, il 31 maggio del 1963. Da parte sua, fin dall’inizio del suo pontificato Paolo VI fa riferimento al suo predecessore come alla voce profetica che ha tracciato il cammino da seguire. Michela Beatrice Ferri
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