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Stretto di Messina: rischi in aumentoNuove notizie sulla situazione geologica dello Stretto di Messina giungono da studi promossi da diversi enti scientifici italiani, tra cui il Dipartimento di scienze della Terra dell’Università «La Sapienza», gli Istituti di scienze marine (Ismar), di Geologia ambientale e geoingegneria (Igag) per l’ambiente marino costiero (Iamc) del Cnr e l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). La ricerca, condotta dal professor Carlo Dogliosi (insieme a Marco Ligi, Davide Scrocca, Sabina Bigi, Giovanni Bortoluzzi, Eugenio Carminati, Marco Cuffaro, Filippo D'Oriano, Vittoria Forleo, Filippo Muccini e Federica Riguzzi) e pubblicata, lo scorso dicembre, da «Scientific report» di Nature, delinea un quadro molto più dettagliato della situazione geologica della zona relativa allo Stretto di Messina e suggerisce scenari un po’ più inquietanti. I sondaggi sismici «a riflessione multicanale» e «misure batimetriche multifascio» rivelano, infatti, un assetto strutturale della zona molto complesso che conferma la pericolosità sismica. Nonostante le numerose ricerche che ne sono seguite al terremoto del 1908, che rase al suolo Messina e causò 60 mila morti, la situazione geologica non è stata chiarita a fondo. «Forse perché», come dice il prof. Carlo Dogliosi, ordinario di Geologia all’Università «La Sapienza» di Roma, uno dei più importanti geologi italiani e tra i principali autori della ricerca «The tectonic puzzle of the Messina area (Southern Italy): Insights from new seismic reflection data» pubblicata da «Scientific report», «la sismica “a riflessione multicanale” non è stata mai utilizzata». Questa tecnica di indagine è una sorta di ecografia del sottosuolo effettuata con onde acustiche, le quali permettono di ottenere immagini di oggetti coperti e non visibili e, quindi, di conoscere strutture geologiche nascoste. Ed è certo che proprio lungo lo Stretto di Messina vi è una faglia «cieca», cioè che non emerge in superficie, la cui attività è difficile da studiare. Professore Dogliosi, nello studio pubblicato da «Scientific Report» si parla della scoperta di una nuova faglia nello Stretto di Messina. Di che cosa si tratta e come l’avete scoperta? E’ una struttura non mappata finora, che è stata riconosciuta grazie ad un nuovo rilievo di sismica a riflessione effettuato durante l’autunno del 2010, con la nave Urania del Cnr. I dati sono poi stati elaborati nel 2011 e 2012. E’ una faglia compressiva, in cui la crosta siciliana sovrascorre con un movimento obliquo destro sulla crosta tirrenica a Nord. Questa struttura e il suo movimento sono in accordo con le osservazioni rilevabili dai siti Gps che indicano raccorciamento tra la Sicilia e le isole Eolie. Perche non era nota in precedenza? Forse perché non è mai stata realizzata un’acquisizione sismica di questo tipo. Quali implicazioni ha sulla geodinamica della zona? Rilevanti, in quanto si evince che nell’area dello Stretto di Messina coesistono più stili tettonici che si sovrappongono. Essi sono spiegabili dal diverso comportamento geodinamico della Calabria e della Sicilia rispetto alla subduzione appenninica (cioè lo scorrimento di una zolla crostale sotto il margine della zolla vicina che avanza in senso opposto, ndr). Sotto l’Arco calabro la subduzione è più attiva e maggiormente arretrata. Questa nuova faglia modifica il quadro geologico della zona? Sì, perché mette in luce che l’area è geologicamente più attiva che mai. Oltre alla nota tettonica distensiva nello Stretto di Messina, immediatamente a Nord di Capo Peloro, sul lato tirrenico, vi è una tettonica compressiva: evidenza di questa situazione è la formazione di una piega anticlinale che deforma e solleva il fondo marino. La nuova faglia potrebbe mettere in discussione gli studi geologici eseguiti sullo Stretto per la costruzione del ponte? Di certo aggiunge delle informazioni non note prima e, quindi, non considerate nella valutazione ambientale e del rischio sismico durante la progettazione dell’opera. Sebbene ancora non siamo in grado di quantificare l’intensità dei terremoti che la faglia di Capo Peloro sia in grado di generare, stimiamo, sulla base dei dati attuali, che essa abbia comunque una magnitudo comunque elevata, superiore a 6.5. Tenga presente che il ponte sullo Stretto è stato progettato per una magnitudo intorno a 7, ma non sappiamo se la faglia possa produrre un terremoto con maggiore energia. Al di là dell’importanza o meno dell’opera e di ogni altra implicazione di carattere politico ed economico, lei, da geologo, come valuta dal punto di vista del rischio effettivo, la localizzazione di un ponte sullo Stretto di Messina? L’area dello Stretto è una delle più sismiche del Mediterraneo e quindi dell’Italia. Credo basti questo per dire che un ponte di tale lunghezza, a campata unica, debba essere progettato con un maggior conforto di dati geologici. Ritiene che le attuali conoscenze sismiche e geodinamiche di quel territorio siano sufficienti per la realizzazione di un’opera così importante e costosa? Proprio questa ricerca ha dimostrato che, pur con un investimento minimale, è stato possibile avere conoscenze scientifiche fondamentali per una zona dove si vuole costruire un’opera di rilevanza straordinaria come quella del ponte. Per questo, sulla base dei nuovi dati, sarebbe utile una riconsiderazione della valutazione del rischio sismico. Ci sono aspetti che, secondo lei, occorrerebbe ancora considerare? Sarebbe importante continuare i rilievi sia sul lato tirrenico che su quello ionico dell’area dello stretto. La conoscenza della geologia di questo importante crocevia di faglie permetterà di avere anche una migliore valutazione della pericolosità sismica, oltre che della geodinamica della Penisola italiana. Pasquale Pellegrini
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