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L'apostolo dei malatiÈ il sacerdote del Novecento che Giovanni Paolo II definì «l’apostolo degli ammalati». E proprio lui, questo piemontese nato fra le colline del Monferrato, sarà uno dei primi beati ad essere celebrato a Roma sabato 11 maggio sotto il pontificato di papa Francesco, nella messa alla Basilica di San Paolo Fuori le Mura presieduta dal cardinale Tarcisio Bertone. Ma chi è questo sacerdote che lavorò per vent’anni alla Segreteria di Stato Vaticana, fu apprezzato da cinque pontefici, da Pio XII a Karol Wojtyla, e fu tanto occupato nel prendersi cura degli ammalati da non trovare il tempo per far meglio conoscere la sua opera? Nato a Casale (provincia di Alessandria) nel 1914 e morto a Rocca Priora (Roma) nel 1984, Luigi Novarese fu un innovatore. In largo anticipo rispetto ai suoi tempi, si prese cura dell’emarginazione dei disabili alla fine degli anni Quaranta ponendo alla società e alla Chiesa il problema delle barriere architettoniche. Fece costruire a Re (provincia di Verbania), la prima e unica casa di esercizi spirituali al mondo per malati e portatori di handicap che è tuttora frequentata, ogni estate, da migliaia di ospiti. Fondò centri di assistenza, corsi professionali per i disabili, diede vita ad associazioni come il Centro volontari della sofferenza (Cvs) e i Silenziosi operai della croce. Ma Novarese fu un innovatore non solo nelle opere. Si rivelò un interlocutore aperto e intelligente anche con la medicina del suo tempo. «Nessuno, prima di lui, si era posto con tanta cura il problema di che cos’era il rapporto dell’infermo con se stesso. Di come il malato pensava il suo stato di infermità», spiega don Armando Aufiero, Silenzioso operaio della croce, postulatore della causa di beatificazione e responsabile del Cvs internazionale. «Novarese si oppose decisamente ai pregiudizi che assegnavano al sofferente un ruolo passivo ritenendolo degno solo di pietà e compassione. Fu così, approfondendo le sue intuizioni, che rivoluzionò la Pastorale della salute, rendendo gli ammalati protagonisti di un apostolato di tipo nuovo. In che modo? Insegnando loro le cose che aveva imparato nella sua esperienza di infermo». Bisogna partire da qui, dalla drammatica esperienza vissuta da Novarese in età giovanile per capire il suo carisma e l’importanza dell’insegnamento. All’età di nove anni Luigi è colpito da una gravissima malattia: una tubercolosi ossea all’anca destra che gli procura dolori lancinanti e per la quale a quei tempi non esiste cura alcuna. Da questa patologia egli guarisce per grazia di Dio. Ricoverato in vari ospedali e nel sanatorio Santa Corona di Pietra Ligure, scrive nel 1930 una lettera a don Filippo Rinaldi, rettore maggiore dei salesiani e terzo successore di don Bosco, affidandosi alle sue preghiere e all’intercessione di Maria Ausiliatrice. Nel maggio 1931, a diciassette anni, il ragazzo guarisce fra lo stupore dei medici ed è dimesso. «Condizioni generali ottime», scrivono i dottori sulla cartella clinica che resta custodita nell’Archivio storico del sanatorio. «È negli anni dell’ospedale che don Luigi approfondisce la sua vocazione», continua don Aufiero. «A contatto con la sofferenza dei compagni di ospedale, si rende conto di come l’ammalato venga lasciato solo nell’affrontare interiormente la malattia. La medicina del suo tempo non si prende cura del modo con il quale egli pensa e vive dentro di sé il proprio dramma. L’ammalato è solo davanti alla sua angoscia, davanti a una domanda di senso che non trova risposta, nell’attesa di un futuro che si presenta tragico e oscuro. Ma è proprio nel vivere questa situazione sulla sua pelle, che Luigi fa una scoperta decisiva: la cura dello spirito può aprire vie nuove e misteriose alla cura del corpo». In che modo? Incontrando Gesù Cristo. Nel trascorrere lunghi momenti di solitudine nella cappella del sanatorio Santa Corona davanti al Crocifisso, Luigi impara a incontrare il Cristo dentro di sé nella meditazione e nella preghiera. E vive un’esperienza interiore nuova: con Cristo l’angoscia si trasforma in fiducia, torna la speranza, la domanda di senso trova una risposta. Don Aufiero, la fede dunque come terapia dello spirito? Proprio così. L’incontro con il Signore cambia il modo di pensare la malattia. E cambia il modo di essere dello stesso ammalato. La fede nel Cristo che risana e rincuora, nel figlio di Dio che vince la morte e lascia vuoto il sepolcro, diventa una formidabile risorsa interiore. E spinge l’ammalato a fugare la paura e a reagire, ad abbandonare la compassione che ha per se stesso per diventare soggetto attivo, apostolo per gli altri ammalati. La fede come pratica spirituale? Come aiuto potente che riattiva le risorse interiori e le potenzialità di auto-guarigione del malato che la medicina dei tempi di Novarese non teneva in nessun conto, ma che oggi sono al centro degli studi delle scienze di ultima generazione. Oggi la medicina ci spiega come i sintomi di determinate malattie non siano altro che il prodotto di malesseri interiori profondi che agiscono sul nostro corpo. Questo Novarese lo aveva sottolineato nei suoi scritti a partire dagli anni Cinquanta. Che cosa insegnava agli ammalati? Il cammino interiore che li avrebbe portati all’incontro con il Cristo risorto. «Se il corpo è sofferente, lo spirito è libero e attivo», dice Novarese all’ammalato, «il tuo destino non sono le quattro pareti della stanza di ospedale, ma l’infinito. Se impari a fare esperienza dell’incontro con il Cristo dentro di te e resti unito a Lui, tu, ammalato, porti molto frutto». E ancora: fratello ammalato, il tuo dolore non è inutile. Anzi, dà luce al mondo, come diceva Paolo VI ed entra nel misterioso disegno della redenzione. Una vita spesa al servizio dei più deboli. Novarese nasce il 29 luglio 1914 a Casale, ultimo di nove figli in una famiglia di agricoltori. Il papà, Giusto Carlo, muore l’anno dopo e tocca alla madre, Teresa Sassone, prendersi cura della famiglia. All’età di nove anni, dopo una brutta caduta, Luigino è colpito dalla tubercolosi ossea. In sanatorio approfondisce la sua vocazione e dopo la guarigione pensa, in un primo tempo, di fare il medico. Ma poi ci ripensa. Da ex ammalato che ha scoperto dentro di sé le potenzialità di un cammino spirituale capace di condurlo all’incontro con il Cristo risorto, sceglie la strada del sacerdozio. Inizia gli studi al seminario di Casale e li conclude frequentando l’Almo Collegio Capranica a Roma dove viene ordinato sacerdote il 17 dicembre 1938. Da allora la vita di don Luigi si svolge prevalentemente nella capitale. Il 1° maggio 1942, su invito di Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato vaticana e futuro papa Paolo VI, inizia a lavorare presso la Segreteria di Stato dove rimarrà fino al 12 maggio 1970. Cinque pontefici gli esprimono incoraggiamento e stima: Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. Nel 1970 Novarese lascia la Segreteria di Stato e passa alle dipendenze della Cei dove si occupa di pastorale sanitaria. La sua vita terrena si conclude il 20 luglio 1984 a Rocca Priora. La salma riposa a Roma nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, in via Giulia 59. Mauro Anselmo
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