Il Piemonte dal Papa

«Ringraziamo sentitamente il Papa e speriamo che venga a trovarci: l’abbiamo invitato. Il Piemonte è una Regione che gli è cara in quanto richiama la sua famiglia: ci sono diversi parenti del Papa anche a Torino. Al di là di questo, è stato un momento ricchissimo che ci ha dato tanta gioia e tanta speranza. Mi ha colpito molto la semplicità, il tratto familiare, l’acutezza e la profondità delle cose che ci ha detto».

Così mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, intervistato da «Radio Vaticana» ha raccontato l’incontro dei vescovi piemontesi con papa Francesco, ricevuti il 6 e il 10 maggio per la visita ad limina: «È stato un incontro sereno e costruttivo, di un padre con i figli. Un incontro ricco di umanità e fraternità: il Papa ci ha ascoltati, ha dialogato, ha affrontato diverse problematiche, ci ha dato speranza».

I sacerdoti, le famiglie, i giovani, la gravissima crisi economica e occupazionale sono stati i temi affrontati. Ancora mons. Nosiglia: «Ci ha incoraggiati a seguire con affetto e amore i sacerdoti, il problema delle vocazioni è molto acuto, quelli anziani e malati, e quelli giovani che affrontano situazioni complesse e difficili. Poi gli stanno molto a cuore le famiglie, tutte le famiglie, quelle che stanno abbastanza bene, e soprattutto quelle in difficoltà sul piano morale e sociale. Abbiamo notato quanta attenzione ha verso la famiglia e invita noi a essere padri e amici di ogni famiglia, cercando di dare risposte appropriate ai bisogni. Poi il problema dei giovani, la sfida più grande per la Chiesa, sui quali dobbiamo poter contare, spronandoli a uscire da se stessi, a essere protagonisti negli ambienti di vita, università, scuola».

Si è parlato molto della crisi e della povertà? «Sì, è una questione che ci sta molto a cuore: il Piemonte soffre moltissimo. Abbiamo tanti disoccupati, abbiamo situazioni molto dure dal punto di vista dei nuovi poveri. Il Papa è molto sensibile. Ci ha invitato a fare della Chiesa un esempio e ha ricordato i nostri santi sociali, don Bosco, Murialdo, Cottolengo, che hanno dato grande impulso all’impegno dei cristiani nella società, per aiutare chi soffre, chi è più povero, chi è ultimo ad avere dignità, giustizia, solidarietà. Insomma è stato un incontro molto ricco di tanti spunti che, come Conferenza episcopale, riprenderemo perché vogliamo dare un’adeguata risposta a queste indicazioni e a questi suggerimenti».

Tematiche, queste, che verranno riprese, a livello italiano, all’assemblea Cei del 20-24 maggio, quando ci sarà il primo incontro tra papa Francesco, primate d’Italia, con l’episcopato, che tiene sempre i fari puntati sulla famiglia, come spiega il documento preparatorio alla 47ª Settimana sociale dei cattolici italiani, in programma a Torino il 12-15 settembre sul tema «La famiglia, speranza e futuro per la società italiana».

Il testo preparato dal Comitato scientifico e organizzatore, presieduto da mons. Arrigo Miglio arcivescovo di Cagliari, ricorda che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», come proclama l’articolo 29 della Costituzione nella parte I «Diritti e doveri dei cittadini», titolo II «Rapporti etico-sociali». E l’articolo 31: «La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose».

La famiglia, società naturale e cellula fondamentale della società, è entrata dalla Costituzione. Papa Benedetto XVI, all’Incontro mondiale delle famiglie a Milano nel giugno 2012, spiegava: «Il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali, come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione».

Il legislatore riconosce la famiglia come un luogo di rilevanza sociale e pubblica. A Torino però ci sarà un convitato di pietra: il matrimonio tra omosessuali. I vescovi italiani hanno più volte affermato che «per le persone legate da altri tipi di unioni, che abbiano desiderio o bisogno di una protezione giuridica rispetto ad alcune esigenze meritevoli di tutela» sono disponibili o si possono individuare

soluzioni «nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare».

Lo affermava già la nota Cei del 2007 «a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto». Come aprire un dibattito non ideologico sui diritti della famiglia? Come far valere l’idea che il matrimonio può essere solo tra un uomo e una donna senza essere accusati di omofobia? Come fermare questa deriva suicida per salvare la famiglia fondata sul matrimonio, senza essere sbertucciati da una cultura ormai omologata? Impresa ardua perché l’andazzo, in Italia e in Europa, è documentato dai sette Stati europei che hanno legalizzato l’unione omosessuale, anche ai fini dell’adozione.

La famiglia umanizza non solo la società, ma anche il lavoro. È l’altro grande tema della Settimana torinese. La Costituzione all’articolo 36 afferma: «Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Quindi il lavoro è concepito non in senso individualistico, ma in rapporto a una persona che vive in una famiglia: famiglia e lavoro devono essere protetti allo stesso titolo, in particolare la donna raccordata «all’essenziale funzione familiare» e alla necessità di «assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione».

La base di partenza è che la famiglia è un bene per tutti e di tutti. In continuità con le edizioni precedenti, in particolare con l’«Agenda di speranza» stilata dalla Settimana di Reggio Calabria nel 2010, a Torino ci si misurerà in un contesto sociale italiano ed europeo che non riconosce più l’identità della famiglia fondata sul matrimonio e che non sostiene più la funzione sociale della famiglia.

Pier Giuseppe Accornero



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