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La coca domina il mondoQuattrocentoquaranta pagine. Diciannove capitoli. Sette sottocapitoli intitolati sempre con la parola «Coca», uno dei quali, di quattro pagine e mezza, in forma di poesia. E’ l’ultimo libro di Roberto Saviano, «ZeroZeroZero», edito da Feltrinelli per le serie Narratori (euro 18,00). La chiave per capirlo nella sua essenza profonda è una mezza riga a pagina 143: «Il vuoto è la benzina dell’evoluzione». In sintesi, queste parole vogliono dire tutto quello che c’è in questo libro, la cui lettura sembra non finire mai, con sempre nuovi esempi, nomi, personalità, latitudini, oceani: che il capitalismo degli ultimi decenni è alimentato continuamente, in molti Paesi, con immense somme di denaro riciclato poi nelle attività industriali e commerciali e nei sistemi finanziari dal narcotraffico, in particolare dalla produzione, dalla distribuzione, dal consumo di tonnellate di cocaina. Tutto questo nel «vuoto» concepito come la sintesi del lavorio più o meno sotterraneo di un capitalismo ultraselvaggio che sopravvive a ogni tragedia, ogni vendetta, ogni lotta armata fra “cartelli” locali o internazionali, ogni assassinio, ogni indagine, ogni processo e condanna di narcotrafficanti; ma anche a funzionari statali e politici corrotti, guerriglieri in grado di sfruttare il lavoro di migliaia e migliaia di contadini, coltivatori e manipolatori iniziali della coca, ad esempio in Colombia, e così via. Il titolo stesso del volume, «ZeroZeroZero», è un enigma spiegato proprio nelle ultimissime righe, a conclusione di una confessione dell’autore, il quale si dichiara vittima della parola «narcocapitalismo», diventata per lui «un bolo che non fa che gonfiarsi. Non riesco a deglutirlo, ogni sforzo va nella direzione opposta, e rischio di morire soffocato. (…) Per quanto possano esserci polizie e sequestri, la richiesta di coca sarà sempre enorme: più il mondo diventa veloce, più c’è coca; più non c’è tempo per rapporti stabili, per scambi reali, più c’è coca». Il mondo, continua Saviano, «è una pasta tonda che lievita». E i lieviti sono molti: il petrolio, il coltan, i gas, il web. «Ma c’è un ingrediente più veloce e che tutti vogliono. Ed è la coca. Un ingrediente senza il quale non potrebbe esserci nessuna pasta. Proprio come la farina. E non una farina qualsiasi. Una farina di qualità. La migliore qualità di farina: 000». Tutto comincia con le indiscrezioni offerte a Saviano da un poliziotto di New York che parla in «un italiano pieno di inflessioni dialettali» e gli offre la registrazione, operata segretamente da un ragazzo messicano con passaporto statunitense, arrestato in Europa e diventato informatore della polizia, di un discorso tenuto proprio nella metropoli americana da un vecchio boss della malavita italiana davanti a un gruppo composto da «chicani, italiani, italo-americani, albanesi ed ex combattenti dei Kaibiles, i legionari guatemaltechi». La lettura di quella “lezione” è a modo suo affascinante, perché rivela tutte le “regole” di cui è fatta una malavita come quella abituata a trafficare nella droga, oltreche a tutto il resto della criminalità organizzata come la conosciamo da almeno un secolo, in Italia. La conoscenza di quella registrazione avrebbe segnato, per il giovanissimo autore di «Gomorra» già famoso in tutto il mondo, «la più temibile delle svolte possibili. Per la prima volta i boss italiani, gli ultimi calvinisti d’Occidente, starebbero addestrando le nuove generazioni di messicani e di latino-americani, la borghesia criminale nata dal narcotraffico, la leva più feroce e affamata del mondo. Una miscela pronta a comandare i mercati, a dettare legge nella finanza, a dominare gli investimenti. Estrattori di denaro, costruttori di ricchezze». Guarda caso, proprio due settimane fa è stato arrestato in Colombia, a Medellin, uno di quei boss, il cinquantanovenne calabrese di Platì Domenico Trimboli, fra i cento ricercati più famosi d’Italia, contemporaneamente al fermo di un suo gregario, Luigi Barbaro, che viaggiava su un veliero con 700 chili di cocaina. Da qui comincia l’inchiesta in tutto il mondo. Saviano apre con il Messico, «all’origine di tutto». E’ da quel Paese, e dai suoi confini con gli Stati Uniti attraverso i quali passa il commercio della droga, che si origina «il destino delle democrazie trasfigurate dai flussi del narcotraffico». Perché in Messico «i signori sono forti e il potere che dovrebbe sovrastarli è marcio o debole». E’ una storia truce e sanguinosa che comincia con un boss chiamato «el Chapo» e i suoi eredi, e man mano si addensa in diversi Stati messicani fra Atlantico e Pacifico grazie a “cartelli” diversi, come quello di Sinaloa, di cui la procura generale degli Usa dice che «tra il 1990 e il 2008 è stato responsabile dell’importazione e della distribuzione negli Stati Uniti di almeno duecento tonnellate di cocaina e di grossi quantitativi di eroina». Di cifre come questa il libro è ricchissimo, e inconfutabile date le fonti ufficiali da cui provengono. Così come è pieno di personaggi come «el Chapo», quasi tutti prima o poi intrappolati dalle polizie e incarcerati (e talvolta vittime a loro volta di feroci attentati) senza che diminuisca di molto il loro prestigio e la loro autorità sui gruppi malavitosi in tutti i Paesi, dalla Colombia da cui proviene la maggior parte della cocaina, al Guatemala, all’Italia, alla Spagna, alla Nigeria e altre Nazioni africane, fino alla Russia del post comunismo, diventata la mecca di una malavita finanziaria che si serve anch’essa della droga come alimento fondamentale di tante ricchezze. E’ impressionante come lo sguardo di Saviano si sposti su tutto il mondo, per scoprire che «la cocaina è il vero bene che non teme né la scarsità di risorse né l’inflazione dei mercati. Ci sono moltissimi angoli del mondo che vivono senza ospedali, senza web, senza acqua corrente. Ma non senza coca. Dice l’Onu che nel 2009 se ne sono consumate ventuno tonnellate in Africa, quattordici in Asia, due in Oceania. Più di centouno in tutta l’America latina e Carabi». I prezzi sono molto varii: un chilo di cocaina in Colombia costa 1.500 dollari, in Messico fra i 12 mila e i 16 mila, negli Usa 27 mila, in Spagna 46 mila, in Olanda 47 mila, in Italia 57 mila e nel Regno Unito 77 mila. Ogni grammo è venduto in strada da un minimo di 61 dollari in Portogallo a un massimo di 166 in Lussemburgo. E’addirittura patetico il modo in cui in tutti i Paesi sono addestrati i trasportatori personali di coca incapsulata e inghiottita a rischio di morire se le capsule si aprono dentro un corpo umano; così come è impressionante la scelta dei mezzi di trasporto, via terra, via aerea o via marina, su vascelli a vela e navi transatlantiche, e addirittura su sommergibili costruiti apposta (ultimamente in Russia). Molte storie di personaggi coinvolti nel narcotraffico, specie quando si tratta di donne, sono raccontate con toni da romanzo, il che costituisce un’altra caratteristica dello stile di Saviano, sempre a metà fra il giornalismo e la letteratura, il che non guasta, ma talvolta può suscitare dubbi o incredulità. Così come, per concludere, può far sorgere più di una domanda. Per esempio: perché nonostante tutto quello che già si sapeva e che adesso con questo libro sappiamo in misura maggiore sulla droga e sui mali che provoca nelle persone che la consumano, la generosa e coraggiosa guerra condotta da anni da movimenti e gruppi antidroga religiosi o laici, pubblici o privati, e le leggi finora adottate dappertutto per contrastarne il consumo, non hanno dato frutti davvero consistenti. Ogni giorno c’è almeno un nuovo adolescente che prova a ”sniffare” cocaina o inocularsi eroina. Come ultima, disperata risorsa Saviano prova a proporre quanto negli Stati Uniti qualcuno ha già segnalato: la liberalizzazione del commercio della droga. Ma lo dice sapendo benissimo quanto sarebbe «terribile»: «Forse una risposta orrenda, orribile, angosciosa. Ma l’unica possibile per bloccare tutto. Per fermare i fatturati che si gonfiano. Per fermare la guerra. O almeno è l’unica risposta che viene da dare quando alla fine di tutto ci si domanda: e ora che si fa?». A nostro giudizio, liberalizzare non sarebbe né facile né in grado di «fermare la guerra». Chi come noi è stato in Colombia, dove operano i missionari della Consolata che tentano di convincere i contadini coltivatori di coca a trasferirsi su altre produzioni, sa benissimo che il narcotraffico è una presenza territoriale e finora ineliminabile in luoghi lontani da efficaci controlli polizieschi, nazionali e internazionali su popolazioni povere e soggette alla schiavitù dai “cartelli”. Così stanno le cose. Beppe Del Colle
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