Don Tonino Bello voce profetica verso gli "ultimi"

Nelle numerose iniziative organizzate in occasione del ventesimo anniversario della morte di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, in Puglia, e presidente di Pax Christi, si avverte l’urgente bisogno di testimoni credibili del Vangelo, un’ansia profonda che attraversa tutte le età, ma che, in modo particolare, investe i giovani. La testimonianza di mons. Bello si presta a scenari ampi, a vette spirituali inaudite; la sua voce profetica ha attraversato i grandi temi del mondo, in particolare l’accoglienza, la pace, il disarmo, la nonviolenza.

«E’ giunta l’ora», diceva, «in cui occorre decidersi ad arretrare (arretrare o spingere) la difesa della pace sul terreno della nonviolenza assoluta. Non è più possibile indugiare su piazzole intermedie che consentono dosaggi di violenza, sia pur misurati o prevalentemente rivolti a neutralizzare gli altri». Ma sarebbe un grave torto se non si tenesse conto che è nel piccolo, nell’ordinario, nei confini del proprio vissuto e della propria terra che il vescovo di Molfetta ha maturato i grandi valori e i grandi slanci con cui ha testimoniato il Vangelo.

Lo racconta con un filo di emozione il fratello minore, Marcello, attraversando la storia di don Tonino a piccoli flash. «Nella sua terra», ricorda, «ha incominciato subito a mettere a frutto le sue esperienze, contagiando con il suo dinamismo e le sue iniziative anche il clero locale e i ragazzi che si affacciavano alla vita. Faceva il giro della diocesi, con la famosa Seicento multipla, per organizzare incontri formativi e dibattiti, la campagna contro il divorzio e contro l’aborto, convegni e tavole rotonde sulla salvaguardia del Creato».

L’incontro con gli altri, che per tutta la vita è stato il paradigma di don Tonino, nasce nella dimensione domestica, nel calore di una famiglia povera, come molte famiglie del Sud. «Della nostra infanzia», racconta ancora Marcello Bello, «ricordo soprattutto la miseria e le difficili condizioni di vita. Mio padre io non lo ricordo; quando morì, Tonino aveva appena 6 anni, Trifone 4 ed io nemmeno due. Mia madre rimase sola a badare a tre ragazzini in pieno tempo di guerra. Erano anni di pane duro e di privazioni, di sacrifici e di ricordi struggenti». Ma anche di affetti profondi che hanno lastricato di evangelici orizzonti di amore l’autostrada della pastorale di don Tonino.  «I suoi rapporti con noi fratelli», ricorda Marcello, «sono stati quasi paterni. Don Tonino  arricchiva con la sua esperienza la nostra formazione culturale e religiosa, integrando quella che ci veniva impartita da nostra madre. Era una grande festa quando, nei periodi estivi e in occasione delle feste natalizie e pasquali, rientrava a casa. Lo aspettavamo con ansia e trepidazione perché ci faceva partecipi di tutte le novità culturali e sociali di cui si era arricchito stando fuori. Era per noi come un padre, anche se lui non ne ha assunto mai l’autorità, si integrava con le nostre piccole esperienze, condividendo le nostre gioie e le nostre amarezze».

La terra da cui è partito don Tonino, Alessano, nel cuore del Salento, quasi l’estremo sud della Penisola, un impasto di Oriente e di Mediterraneo, di culture e di speranza, ha costruito il  fondamento della sua pastorale. «Tonino», conferma il fratello, «è riconoscente alla sua terra anche per questo. Dirà nella sua prima omelia episcopale in Alessano: “Grazie terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che proprio per questo mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli”». La notizia della nomina a vescovo lo raggiunge a Tricase, a pochi chilometri da Alessano, dove è parroco della Chiesa Madre, dedicata alla Natività di Maria Santissima. «A fatica», commenta il fratello, «don Tonino si allontanò dalla riva per prendere il largo e si portò a Molfetta col suo zaino privo di oro e di argento, ma ricco di tanta umiltà e povertà. Si presentò col Pastorale e la croce pettorale di legno d’ulivo, dono dei suoi compaesani; con al dito la fede nuziale di nostra madre, come anello pastorale e con lo stemma raffigurante la Croce alata di Alessano  e con un chiarissimo programma avente come motto “Ascoltino gli umili e si rallegrino”».

Chi pensava che la mitria avrebbe mummificato la sua personalità dovette subito ricredersi. Infatti, dopo pochi giorni dal suo ingresso in diocesi, don Tonino fu denunciato per aver partecipato ad un blocco ferroviario organizzato dai lavoratori delle acciaierie di Giovinazzo, minacciati di licenziamento. «Grazie a lui», aggiunge Marcello Bello, «Molfetta è divenuta la culla dove si sono riposte le speranze dell’umanità non violenta, il punto di riferimento dove convergono gli ideali di tanti giovani che, nonostante tutto, guardano ad un futuro di bontà e di onestà, riflettendosi nella trasparenza dei suoi occhi e del suo stile di vita».

Da vescovo, la pastorale verso i poveri e gli emarginati diventa più pregnante. «Mi sono inorgoglito di essere suo fratello, quando ha riempito la sua casa di sfrattati, di emarginati, di disperati, di giovani in cerca del senso del vivere», commenta Marcello. «Ho condiviso la sua pena e la sua tristezza quando l’ho visto dagli schermi televisivi, in pieno agosto, in mezzo ad una fiumana di profughi Albanesi, là, sul molo del porto di Bari, a denunciare con passione l’assenza dello Stato, già impegnato dalla più proficua attività di Tangentopoli, attirandosi addosso anche l’ira e il sarcasmo del ministro degli Interni. Ho pianto e ho compartecipato alla sua sofferenza per l’incomprensione e la solitudine in cui si è ritrovato durante la guerra del Golfo e nella polemica sulla installazione degli F16 in terra di Puglia. Ci tenne col fiato sospeso e incollati per una intera settimana davanti agli schermi televisivi, finché non sentimmo dalla sua viva voce, da quel teatro di Sarajevo illuminato dalla fioca luce di poche candele, che “l’Onu dei potenti si ferma alle quattro del pomeriggio, mentre l’Onu dei poveri si muove anche di sera”».

Don Tonino mancherà al popolo della pace, agli ultimi, ai costruttori di giustizia, alla Chiesa, ma nessuno può pensare che con la sua morte sia tutto finito. «In quella tomba, che ha voluto nella sua cara Alessano, non vi sono i resti di don Tonino, ma i semi che daranno frutti abbondanti come hanno promesso le migliaia di ragazzi e ragazze», conclude Marcello Bello. «Ci ha trasmesso tanta pace e tanta serenità e non abbiamo più paura. Rimane per noi sempre il Folle di Dio ed il Pastore diverso».

Pasquale Pellegrini



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