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Il sogno perduto nel fu FiladelfiaDue avvenimenti per il Torino Fc. Un avvenimento brutto e un avvenimento che non si sa se sia brutto o bello o una via di mezzo. Il primo riguarda la sconfitta nel derby, domenica scorsa. I granata, secondo un perfido divertimento della sorte, vanno a un pelo dal gol, non ottengono un calcio di rigore e nel finale di partita prendono due sberle dalla Juventus. Il Toro é una squadra povera, sebbene tutti i poveri attualmente in circolazione vorrebbero essere poveri come un giocatore del Torino. La Juventus é una squadra ricca, per quanto si possa essere ricchi di questi tempi. Quasi sempre nei confronti tra ricchi e poveri che non avvengano nei film o nei romanzi, ma nella realtà della vita, vincono i ricchi. Di consolante c’é il fatto che i poveri a non vincere ci sono abituati. Poi viene il Filadelfia. Ormai lo sapete benissimo, sul Filadelfia ogni tanto c’é un sussulto, evviva, evviva, questa volta ci siamo, questa volta il progetto va in porto. Finito il sussulto ci si accorge che è bassa marea. Le parole «ipotesi» e «litigio» sono le più usate non appena il dormiente caso Filadelfia dà segni di risveglio. L’«ipotesi» é la condizione relativa al possibile o eventuale verificarsi o configurarsi di un fatto sul piano della sperimentalità pratica o speculativa. «Litigio» é manifestazione reciproca di risentimento o di puntigliosa insofferenza. Vedi suocera e nuora. I ruoli di suocera e nuora, in questa storia senza fine, saranno gli innamorati granata ad assegnarli. Le cose filadelfiane stanno così. Il piano finanziario di 8 milioni di euro (sette milioni tra regione e città, più un milione del Torino) che dovrebbe servire alla realizzazione di due campi di calcio, di una tribunetta e alcuni uffici, è stato approvato dal cda della Fondazione granata. Il nocciolo del progetto sarà gatta da pelare del solo Torino Fc. Gestione e manutenzione dell’opera saranno problemi della società granata. E la famosa espansione commerciale su via Giordano Bruno? Se la vedano i privati, se ne avranno voglia e interesse. Sarà bene sottolineare che sulla scenografia del nuovo Filadelfia nessuno sa niente di preciso. Del sospirato Polo granata e del museo, nemmeno a parlarne. La burocrazia è lì che sorride e si sfrega le mani (presentazione del piano finanziario al Consiglio comunale ecc.) Nessuno è soddisfatto. Un rappresentante della tifoseria e membro del cda della Fondazione si gratta la nuca e sbuffa perchè viene dato per certo un progetto che neppure la Fondazione conosce, e come se non bastasse non c’è un bel niente che richiami davvero l’origine e le tradizioni del Filadelfia. Insomma, non la rinascita del vecchio covo degli eroi del pallone, ma la costruzione di un centro sportivo per le necessità del Torino Fc, che ha messo appena appena la manina nel portafoglio. Ma allora… Ma allora perché non si fa come fecero a Berlino Ovest con la grandiosa cattedrale di Kaiser-Wilhelm-Gedachtnis? La torre col tetto sfondato dalle bombe dell’ultima guerra, ciò che della chiesa rimaneva, divenne monumento nazionale per l’ammirazione dei tedeschi e dei turisti di tutto il mondo. Il moncone di gradinata, ciò che resta del Filadelfia, potrebbe essere ripulito e protetto da pareti e tetto di lastroni trasparenti. Un monumento con tanto di bella targa commemorativa (un’imitazione rispettosissima e affettuosa dell’attuale collocazione dell’Ara Pacis, con il permesso di Augusto e del Senato romano) assai più significativo d’un centro sportivo di periferia. Ho visto un ragazzo che indossava una maglia color granata e sulla schiena c'era scritto «I love Toro». Era una frase gentile, ma non si capiva perché bisognasse amare il Toro in inglese. Che cosa c'entrava il Grande Torino con l'inglese? Forse il ragazzo voleva rammentare a se stesso e al prossimo la batosta rifilata dai figli di Albione alla nazionale azzurra tutta fatta con lo squadrone di Valentino Mazzola, quattro gol proprio nello stadio torinese che allora si chiamava Comunale? Vai a sapere, sono le contraddizioni dei nostri tempi. Una volta, molti anni fa, sono entrato nel vecchio, stupendo Filadelfia, stagione 1961-‘62 e c'era il sommo scozzese Denis Law, The King, che prendeva il tè e Gigi Peronace, il formidabile raccoglitore di talenti calabro-torinese con un pallino calcistico per l’Inghilterra, gli diceva: «Mi sa che te ne sei messa troppa di quella roba». E Law, che faceva un musetto da bambino sgridato, pigolava: «Ma Gigi, è soltanto tè». Peronace strizzava l'occhio e a bassa voce rivelava: «Un quartino di Glen Grant e due gocce di Earl Grey». Era bello andare al Filadelfia. D'inverno, sotto la tribuna centrale, quella con la tettoia stile Victoria Station, si poteva stare al caldo nel bar da antiquariato con la stufa a legna sempre bollente e si aspettava che l'allenamento finisse parlando dei campioni che in quello stadio di magie non avevano mai perso. Le cannonate di Menti, le rovesciate di Gabetto, l'eleganza di Maroso, la modernità di Bacigalupo. Si parlava dei prodigi operati dalla Sas, Squadra anti sbadigli e Gigi Peronace raccontava che il vecchio Filadelfia gli cullava il cuore. E cullava anche il cuore dei cronisti, ai quali, pensate un po', alla fine dell’allenamento veniva offerto il tè come ai giocatori. Il wisky era concesso, sotto banco, esclusivamente a Law, destinato a formare l’indimenticabile trio britannico Bobby Charlton- Denis Law-George Best e a vincere il pallone d’oro nel 1964. Era infiammante la domenica, durante la partita, sentir pestare suola e tacco delle scarpe sul pavimento di legno della tribuna, era un accompagnamento delle azioni d'attacco del Torino, erano tamburi lontani che diventavano vicinissimi, si apparentavano ai rombi di tuono, annunciavano la folgore del gol. Che squadra quella squadra. Stava in mezzo al campionato come Ercole stava in mezzo alla mitologia greca. Ercole, meglio girargli alla larga. Sia chiaro: non lo rifaranno più quello stadio, e non perchè vogliono farne uno più bello. Non lo rivedremo più il vecchio Filadelfia per il semplice motivo che a commuoversi al ricordo di quel luogo dell’anima, amato come si ama un padre, un fratello, un amico trovato a scuola e conservato per sempre, amato come si possono amare i rimpianti e le cose irrimediabilmente perdute, a commuoversi e a non arrendersi all'italico «ma chi te lo fa fare», sono rimasti in pochi che sembrano tanti perchè non vogliono saperne di mollare. E questi coraggiosi avranno come premio, ma devono star buoni e comportarsi bene, due campetti divisi da una tribuna là dove combatterono Mazzola e Loik, Castigliano e Grezar. Macché Tempio. Non é epoca da case degli dèi, questa. Che ci volete fare, egregi cuori granata, è anche una questione artistica, prima l’arte e dopo il Filadelfia. Avete visto com'è bella la nuova costruzione messa in scena al mercato di Porta Palazzo da quel grande architetto, come si chiama, Fuksas, una star che non si scomoda per due noccioline? Non vi piace? Ma davvero? che peccato. L'igloo di Mario Merz l'avete visto, sulla Spina centrale, circoscrizione 3? Non dite che non vi convince completamente, anzi che non vi convince per nulla. E la Triade di Arnaldo Pomodoro, all’incrocio di corso Unità d’Italia con corso Maroncelli? Quelle tre colonne bianche vi saranno sicuramente piaciute. Purtroppo Pomodoro è stato costretto a riportarsele a casa. La sua opera diletta si stava trasformando in un monumento di ruggine, abbandonato com’era senza cure alle intemperie. E, per carità, non gridate che quando si trovano i soldi, tanti, per realizzare l'orrendo piazzale Valdo Fusi (un mostro incomprensibile, parola di Ernesto Ferrero, direttore della Fiera internazionale del libro), bisogna trovarli anche per il Filadelfia. Sono ragionamenti che disturbano. Disturbano perché la loro stazione di partenza è la nostalgia e non bisogna essere nostalgici. Non è di moda. Nostalgia del vecchio Filadelfia? Ma siamo seri. Il futuro è nelle luci d’autore. Il prossimo Natale ci sarà una sorpresa. Alzeremo lo sguardo e che cosa vedremo? Il Filadelfia, proprio com’era un tempo. Ma no. Ma si. Un Filadelfia tutto di lampadine colorate che si accende di sera, come se si preparasse a una straordinaria partita in notturna. E all’alba si spegne. Perché, lo sappiamo, all’alba i sogni finiscono. Gianni Ranieri
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