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Girotti martire a Dachau«Aiutò gli ebrei»: è l’accusa scritta sul registro del campo di sterminio di Dachau, nel quale padre Giuseppe Girotti venne internato e ucciso. È uno dei 18 sacerdoti italiani, nove diocesani e nove religiosi, tra i 5.545 morti nei lager. La sua beatificazione è più vicina: papa Francesco lo scorso 27 marzo ha infatti autorizzato il decreto sul martirio insieme ad altri 62 martiri delle dittature comunista e nazista. La sua è una famiglia stimata e povera di Alba (Cuneo), dove nasce il 19 luglio 1905. «Il più assiduo chierichetto. Era intelligentissimo», testimonierà il celebre teologo Natale Bussi, compagno di servizio all’altare e di giochi. Gli nasce in cuore un grande desiderio: «Voglio farmi prete». Nel 1918 a 13 anni entra nella Scuola apostolica per aspiranti a Chieri (Torino), istituito nel 1876. Il 15 ottobre 1923 pronuncia i voti e il 3 agosto 1930 è ordinato sacerdote. Innamorato della Bibbia si specializza all’Ecole Biblique di Gerusalemme, e nel 1934 consegue la licenza davanti alla Pontificia Commissione Biblica di Roma. Tornato a Torino, insegna Sacra Scrittura nello Studium domenicano e ai futuri missionari della Consolata, fondati dal Beato Giuseppe Allamano. Testimonierà un ex allievo: «Nei miei passaggi in convento mi chiedeva sempre del denaro per i suoi poveri». Un altro: «Era un pozzo di scienza al servizio della Sacra Scrittura. Quando si lasciava prendere dall’ebraico e dal greco volava troppo alto e subito si scusava: ”Queste cose non fanno per voi che dovete andare in Africa ad annunciare il Vangelo”. E riprendeva la Scrittura come cibo, amore e vita». Collabora al primo commento biblico che appare in Italia: nel 1938 pubblica il VI volume dell’Antico Testamento sui Libri Sapienziali, nel 1941 il VII volume su Isaia: doveva seguire Geremia, che verrà pubblicato nel 1955 nel decennio della morte. Nel convento di San Domenico intensifica l’attività caritativa e il soccorso agli ebrei: dopo l’8 settembre 1943 la loro situazione si fa ancora più drammatica con l’arresto e l’internamento. Sotto l’impulso di Pio XII migliaia di ebrei e di perseguitati politici sono nascosti nei conventi e nelle parrocchie. Chi li aiuta è fermato e deportato. L’avvocato Salvatore Fubini, salvato dal padre, dichiarerà: «Prestò il suo ausilio a tutti i perseguitati, la sua cella in convento divenne simbolo di ospitalità e di salvezza. Tra i maggiormente beneficati furono numerosissimi israeliti. Si immolò per il prossimo e per un ideale di libertà». Una telefonata anonima lo informa che un partigiano, gravemente ferito, richiede il suo aiuto. Così finisce nella rete fascista. Il 29 agosto 1944 inizia una terribile via crucis: sui carri-bestiame il 9 ottobre giunge a Dachau. Il 23enne sacerdote cuneese don Angelo Dalmasso, testimone del martirio, così lo conobbe:«Prima di partire per la Germania gli chiesi di confessarmi: era il primo prete che incontravo da mesi. Ci intrupparono: ebbe un attimo di esitazione e un tedesco gli diede un pugno, lo spintonò, lo fece cadere. L’aiutai, gli raccolsi gli occhiali. Mi ringraziò con un sorriso che non dimenticherò». Dachau è il primo campo di concentramento nazista aperto il 22 marzo 1933 ed è utilizzato per i ministri di culto cristiani. All’ingresso la macabra scritta «Arbeit macht frei. Il lavoro rende liberi». Padre Giuseppe eccelle per umiltà, preghiera, sacrificio, altruismo. Trae vigore da una fede cristallina e dalla Sacra Scrittura. Don Dalmasso: «Arrivati a Dachau dovevamo svestirci completamente per la disinfezione. Mi disse, sconsolato: “Siamo alla decima stazione della Via Crucis, Gesù spogliato delle vesti”. Il nostro calvario iniziò con la quarantena». Bolgia infernale, abbrutimento, privazioni morali e fisiche, da mangiare solo brodaglia con erba di prato e un tozzo di pane nero. «L’umiliazione era il nostro companatico. Un giorno il capobaracca mi chiese di pulire il gabinetto. Protestai dicendo che ero un prete. Mi coprì di botte e mi obbligò a pulire con le mani. Imparai a tacere. Dopo la quarantena la baracca 26. Cercai di entrare nei gruppi di lavoro, perché c’era un supplemento di cibo. Lui aveva fatto amicizia con un luterano, studioso della Bibbia. Un giorno un tedesco portò un po’ di pane e formaggio. Padre Girotti mi disse: "Prendilo tu. Sei più giovane, ne hai più bisogno". Per scaldarci dormivamo tre-quattro insieme». Nell’autunno 1944 il campo trabocca di pastori protestanti, preti cattolici, diaconi, qualche vescovo, pope ortodossi di 30 Paesi europei: un diacono tedesco segretamente è ordinato prete da un vescovo francese. A Dachau passarono 3.800 preti: oltre 1.500 sono stati uccisi con le più raffinate e sadiche sevizie. A un prete tedesco una SS mise la corona del rosario sulla testa e a pugni e calci gli fece girare il campo urlando: «È arrivato finalmente il primo maiale di prete. Poi arriverà il gran prete di Roma e allora la truffa cattolica finirà una volta per tutte». Padre Giuseppe sopporta evangelicamente. Nell’inverno polare 1944-45 su un tavolo si mette alla prova il dialogo ecumenico: il domenicano albese, docente a Torino, e il pastore luterano tedesco Max Lackamann, docente a Munster – che aveva la fortuna di avere una Bibbia – scrivono come possono i commenti alla Scrittura. Tiene una meditazione: «A nessuno sfugge che l’unità di tutte le Chiese è massimamente necessaria ai nostri giorni. La Chiesa fu, è e sempre sarà l’unico rifugio del senso di umanità, di amore e di misericordia; rifugio della verità, dei principi della retta ragione, della civiltà e della cultura. Questa straordinaria missione della Chiesa nel presente gravissimo momento della storia, fratelli carissimi, non può essere perfettamente condotta a termine, se i fedeli di Cristo, uniti nell’anima della Chiesa, rimangono divisi nel corpo visibile a causa di scismi e divisioni». Infuria un’epidemia di tifo e i prigionieri sono divorati dai pidocchi. Dopo sei mesi di stenti e maltrattamenti, la sua fibra cede: «Sono solo un mucchietto di ossa e pelle flaccida». È ricoverato in infermeria. Il suo olocausto si compie il giorno di Pasqua, 1° aprile 1945, ucciso con un’iniezione di benzina, come San Massimiliano Kolbe e il Beato Tito Bransdma. Non ha ancora 40 anni. Lo seppelliscono con altri duecento cadaveri. Sulla cuccetta i compagni scrivono «Qui dormiva San Giuseppe Girotti». Ventotto giorni dopo, il 29 aprile 1945 gli americani liberano Dachau dove si trascinano 32.335 prigionieri scheletriti: «A diverse centinaia di metri dentro il cancello principale, abbiamo trovato il campo. Davanti a noi, dietro un recinto elettrificato di filo spinato, c’era una massa di uomini, donne e bambini plaudenti, mezzi matti, che salutavano e gridavano di gioia. I nostri cuori piangevano vedendo le loro lacrime di felicità». Nel 1988 a Torino comincia il processo canonico. Nel 1995 a Gerusalemme è dichiarato «Giusto tra le Nazioni» e la sua biografia è nel sito dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi). Pier Giuseppe Accornero
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