Chiesa: la riforma sta cominciando

E’ spuntata l’alba per il tanto atteso e invocato processo di riforma della curia pontificia, uno snodo che renda ancora più visibile l’universalità della Chiesa cattolica.

Papa Francesco ha nominato otto cardinali «per consigliarlo nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Costituzione apostolica Pastor bonus sulla curia romana». Ne ha dato l’annuncio la segreteria di Stato, che è quanto dire l’organismo più autorevole. Il comunicato sottolinea che «il Santo padre Francesco», nell’attuare questa decisione, ha ripreso «un suggerimento emerso nel corso delle congregazioni generali precedenti il Conclave».

Molti cardinali in quelle riunioni avevano manifestato stupore alle notizie su dissidi, congiure e scandali, veri o presunti, all’interno della curia pontificia, che deturpavano il volto della Chiesa e che avevano anche influito, al di là dei motivi di età e salute, sulla decisione di Benedetto XVI di rinunciare al ministero petrino. Papa Bergoglio non ha perso tempo. Si tratta del primo atto politico e di governo, che per alcuni ha portata rivoluzionaria, anche se la Chiesa nella sua storia bimillenaria ha sempre saputo rinnovarsi e riformarsi.

Il Papa procede senza strappi e senza forzature. Il primo passo è questo gruppo, composto da cardinali chiamati dai vari continenti, qualcuno «dai confini del mondo», da dove, come si è presentato la sera dell’elezione, egli stesso è venuto. Gli otto consiglieri sono coordinati dal cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, benedettino, arcivescovo di Tegucigalpa, in Honduras. Un volto che il pubblico ha conosciuto proprio in occasione del Conclave. Così come gli altri: Giuseppe Bertello, presidente del governatorato dello Stato della Città del Vaticano, Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo emerito di Santiago del Cile, Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay (India), Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga (Germania), Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo di Kinshasa (Repubblica democratica del Congo), Sean Patrick O’Malley, cappuccino dei frati minori, arcivescovo di Boston (Usa), molto gettonato nel pre-conclave, George Pell, arcivescovo di Sydney (Australia). Le funzioni di segretario sono espletate dal vescovo di Albano, Marcello Semeraro, che il Papa conosce bene, avendolo avuto a fianco nelle riunioni del Sinodo. Così come conosce a apprezza Bertello, torinese di Foglizzo, l’unico di curia, che ha svolto missioni nell’America del Sud.

La prima riunione collettiva del gruppo è stata fissata per i giorni 1-3 ottobre. Un tempo ragionevolmente congruo, anche se «Sua Santità è sin d’ora in contatto» con ciascuno di loro. Segnale forte e chiaro, dunque, di cambiamenti in arrivo che valorizzano nella Chiesa il metodo collegiale e attestano la Chiesa su scelte di rinnovamento e di governo, in proiezione missionaria. Un Comitato a scala mondiale. Solo un europeo, tedesco, e solo un italiano, oltre al segretario. Si fa forte la voce della Chiesa dei Continenti, con i Nord, centro e sud-americani, l’australiano e l’indiano, l’africano del Congo. Tre appartengono ad ordini e congregazioni religiose, a confermare quale è il peso nella Chiesa delle persone consacrate. Attraverso la futura riforma si prevede che si determinerà un nuovo dinamismo.

Gli osservatori vedono giustamente in papa Bergoglio l’Uomo di grande spiritualità, ma anche di governo come servizio per il bene comune. Fare il parallelo con il mondo politico italiano è d’obbligo: gli eventi vaticani di questi due ultimi mesi dovrebbero servire di insegnamento e di stimolo per uscire dall’immobilismo. Uomo di spiritualità e di governo, dunque, papa Bergoglio, vero pastore. «In questo tempo ci sono tanti cristiani che soffrono persecuzioni, in tanti Paesi, preghiamo per loro, con amore dal nostro cuore». E’ un grido accorato prima del Regina Coeli domenicale. Ottantamila persone in piazza con bandiere e striscioni, giovani che hanno assorbito il suo linguaggio. «Buongiorno Francesco», scrivono sui cartelli. Lui spiega che «gli apostoli erano persone semplici, non erano scribi, dottori della legge, né appartenenti alla classe sacerdotale. Come hanno potuto, con i loro limiti e avversati dalle autorità, riempire Gerusalemme con il loro insegnamento? E' chiaro che solo la presenza con loro del Signore Risorto e l'azione dello Spirito Santo possono spiegare questo fatto». Con la fede in Cristo morto e risorto «non avevano paura di nulla e di nessuno, e addirittura vedevano le persecuzioni come un motivo di onore».

In quello stesso pomeriggio domenicale va a prendere possesso della terza grande basilica papale, quella di San Paolo fuori le mura. Anche lì la folla è tanta che la chiesa non la contiene. Vogliono i maxischermi. Il Papa si ferma e saluta, stringe mani. All’interno prega al sepolcro di san Paolo, venera l’icona della Madonna Theotokos Hodigitria del XIII secolo, davanti alla quale il 22 aprile 1541 sant’Ignazio di Loyola e i suoi primi compagni emisero i voti. «San Paolo», dice il Papa, «umile e grande apostolo del Signore, che ha annunciato con la parola, lo ha testimoniato col martirio e lo ha adorato con tutto il cuore». Una sintesi di fede: «Annunciare, testimoniare, adorare». Gli apostoli, flagellati, al comando di non insegnare nel nome di Gesù, rispondono: «Bisogna obbedire a Dio, invece che agli uomini». Incalza papa Francesco: «E noi? Siamo capaci di portare la Parola di Dio nei nostri ambienti di vita? Sappiamo parlare di Cristo, di ciò che rappresenta per noi, in famiglia, con le persone che fanno parte della nostra vita quotidiana?». E conclude con un forte monito: «L’incoerenza dei fedeli e dei pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere, mina la credibilità della Chiesa».

Il suo stile non cambia. Dice messa a Santa Marta e consiglia di non sparlare, di non fare pettegolezzi. Perché dietro c’è il diavolo. Incontra i 300 addetti della segreteria di Stato e li saluta uno a uno. Telefona al calzolaio che lo serve da 40 anni, Carlos Samaria, di non cambiare il modello e di non pensare a scarpe rosse. Intervistato dal «Clarin», quotidiano di Buenos Aires, racconta: «Vuole sempre che gli ripari quelle vecchie. Ora sto preparando un paio semplice semplice, di cuoio di vitello e una tomaia liscia, che gli porterò a maggio, quando andrò a trovarlo». Col segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, affronta i temi della pace, il flagello della tratta delle persone, dei rifugiati, dei migranti. Col premier spagnolo Mariano Rajoy quello della famiglia e dei giovani e col premier del Mozambico le violenze nel Continente nero. Con tutti la difesa del bene comune dell’umanità, la promozione dei diritti fondamentali dell’uomo, le situazioni di conflitto e di grave emergenza umanitaria, soprattutto in Siria e in Corea, dove la pace e la stabilità sono minacciate.

Antonio Sassone

 



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